Pordenone: la nascita di una tradizione
Salisburgo, Praga, Amsterdam, Amburgo, Dresda. Al fianco di queste capitali internazionali della musica, Bolzano e Pordenone sembrerebbero non poter reggere il confronto. L’apparenza inganna: Concorso Busoni, residenza estiva sia della Gustav Mahler Jugendorchester che della European Union Youth Orchestra, sede dell’Accademia Gustav Mahler, una florida vita culturale e una diffusa sensibilità per la musica. La città di Bolzano, cui Abbado e Giulini erano molto legati, ha ormai già costruito una sua tradizione di ampio respiro internazionale. E per quanto riguarda Pordenone?
Per quanto riguarda Pordenone si ha la sensazione che questa tradizione si stia creando adesso. Quante volte rivolgiamo lo sguardo al passato, ad osservare gli immensi segni che giganti della musica e della cultura hanno lasciato, finendo tuttavia per non notare ciò che succede adesso o addirittura per svalutarlo? La scelta di una realtà come la Gustav Mahler Jugendorchester di prendere residenza a Pordenone può essere il preludio ad una nuova tradizione, che potrebbe rendere la cittadina friulana un vero centro dell’attenzione internazionale. D’altronde basta osservare in che circuito si inserisce: le altre residenze della GMJO, oltre alla citata e ormai storica Bolzano, altro non sono che due capitali come Vienna e Lisbona. La città sta forse iniziando a prendere coscienza di questa importanza, come osserva Alessi nella sua recensione del concerto del 4 settembre, ma qui non parliamo solo di importanti ricadute economiche e di prestigio. Parliamo di un’utopia, un’utopia di cui in Italia c’è disperatamente bisogno: l’utopia che anche una città di provincia, senza una sua tradizione, possa riscoprire il valore puramente e schiettamente umano dell’arte e della cultura. Un’utopia che porta il nome di Maurizio Baglini e la forza dello staff del Teatro Verdi. Non si tratta di gratuita adulazione, proprio da queste figure si può partire per costruire un percorso, una storia, una cultura, che possa diventare vanto per la città. L’importante è procedere con sapienza e lungimiranza, unendo cautela e avventatezza, cogliendo sfide internazionali e ponendo basi solide nel territorio. Una miscela complessa, che tuttavia il Teatro di Pordenone sta abilmente dosando.
Quella che sta avvenendo al Teatro, inoltre, è la strutturazione di una coscienza che è anche politica e di immagine, due componenti fondamentali che si devono muovere nel segno di un grande concetto: la qualità. Termine vago per eccellenza, la qualità è certamente soggetta a molteplici interpretazioni. Tuttavia sono convinto che vi siano dei punti fermi: i concerti della GMJO sono tra questi. Si parte da una qualità che è di proposta, alternando la ricercatezza di un repertorio come quello del tour pasquale con i grandi capolavori di quello estivo; qualità che è degli interpreti, portando con sé grandi solisti e direttori e al contempo investendo su direttori che non sono più promesse bensì certezze, come Lorenzo Viotti. Proprio Viotti è il segno di un’altra delle qualità dell’orchestra: la crescita. Un rapido confronto tra i concerti bolzanini, dove l’orchestra ha iniziato la tournée, e quelli pordenonesi, dove l’ha conclusa, mostrano la capacità di orchestra e direttore di crescere incredibilmente nell’arco di sole due settimane. Il Viotti del 4 settembre mostrava un trasporto espressivo e una freschezza che sarebbe potuta sembrare incompatibile col preciso carpentiere che ha costruito tra Aquileia, Gorizia e Bolzano la materia dell’orchestra. E la GMJO ha risposto con forza ed entusiasmo, solida nella tecnica e al contempo espansiva nel gesto. Due settimane possono bastare a 150 selezionatissimi musicisti da tutta Europa (e oltre) per maturare una consapevolezza musicale: ne serviranno alcune di più per un’intera città. Ma il percorso è appena stato tracciato.
Alessandro Tommasi
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