Presente e futuro della musica contemporanea: intervista a Marco Angius
In vista della nuova edizione di Veneto Contemporanea, la rassegna dell’Orchestra di Padova e del Veneto dedicata alle espressioni musicali del presente e del Novecento storico, da domenica 28 aprile all’Orto botanico di Padova, abbiamo intervistato il Direttore artistico e musicale OPV Marco Angius sulle tematiche di attualità della musica contemporanea, sia dal punto di vista artistico che gestionale.
- Partiamo dal presente. Cosa sta facendo in questo momento?
Sto lavorando con l’Orchestra Sinfonica Siciliana a un programma costruito insieme a Dario Oliveri sulla figura di Wagner e dedicato a lavori meno consueti: in particolare spicca l’elaborazione fatta da Hans Werner Henze dei Wesendonck-Lieder qui trasformati in pezzi impressionistici, molto sofisticati e ricchissimi di colori. C’è anche un lavoro di Sciarrino mai eseguito in pubblico, Languire a Palermo, che il compositore siculo ha lungamente ritoccato e che cuce le ultime melodie di Wagner composte proprio nel suo estremo soggiorno palermitano, quello in cui concluse anche la partitura del Parsifal. Poi ci sono altri brani più noti come Idillio di Sigfrido che abbiamo collegato al Waldweben, estratto sinfonico dalla seconda e terza scena del secondo atto del Siegfried: siamo nel 1857 quando Wagner interrompe la composizione di quest’opera per dedicarsi a Tristano e Isotta. In una lettera a Liszt, spesso citata, Wagner dice di aver lasciato l’eroe ai piedi del tiglio, ma oltre l’aspetto visionario del dialogo con la Vogelstimme, trovo molto interessante la scrittura orchestrale che nelle voci naturalistiche individua anche strutture ritmiche indipendenti, anticipando certa poliritmia novecentesca in chiave drammaturgica. Nella prima metà di questa mini-silloge, l’orchestra viene nebulizzata, ora in polveri tremolate ora in macchie sonore. Trovo una grande prossimità tra questa rarefatta scrittura wagneriana e quella di Sciarrino che immagina Wagner sulla veranda di Villa Porrazzi -ora non più esistente- ad ascoltare le voci notturne (dei grilli), mentre dentro casa risuona dal pianoforte uno struggente Schmachtend (languendo)…
- Dal Prometeo di Nono a Henze lo scarto è notevole…
Prometeo è stata un’esperienza entusiasmante che ha permesso all’Orchestra di Padova e del Veneto di tornare a Venezia solo grazie all’Archivio storico della Biennale ASAC e alla Fondazione Archivio Luigi Nono: ci sarà un seguito in un progetto discografico e in un documentario filmico. Nono, come Henze, demeure: sono compositori che lasciano un’eredità straordinaria e di cui abbiamo bisogno, da approfondire e studiare sempre. Per quanto mi riguarda continuerò a proporli ed eseguirli perché arricchiscono il mio percorso artistico. L’interprete può infatti trovare in queste figure spunti e interessi inesauribili. Dal mio punto di vista l’interprete agisce in modo simile al compositore, in sua assenza o in sua presenza: è colui che deve plasmare l’opera in tempo reale secondo delle coordinate e una fantasia che ne possano prolungare nel tempo l’identità sonora. L’interprete ricerca sé stesso attraverso un’alchimia del testo musicale in respiro sonoro.
- Di Henze mi attira questa sua capacità di ripensare il passato, di restaurarlo cioè reinventarlo in termini imprevedibili.
Con l’orchestra di Padova e del Veneto abbiamo realizzato recentemente un disco di falsi d’autore in cui Henze rilegge la Ciaccona di Tommaso Vitali, le Sonate da chiesa di Mozart, la Fantasia di Carl Philipp Emmanuel Bach. Tutto un Settecento immaginario che si specchia nel presente: l’armonia degli opposti è sempre feconda. Anche Carlo Scarpa, in altro ambito, si muoveva su queste traiettorie in certi suoi straordinari rifacimenti museali: proprio a Palermo c’è lo splendido Palazzo Abatellis.
- E la musica di oggi come Le appare? Altrettanto intrigante?
La ringrazio della domanda provocatoria! Diciamo pure che si tratta di una domanda senza risposta e ciò non dipende dalla musica in sé o dai compositori, quanto dalle trasformazioni della società. Tutto viene inserito in un sistema commerciale e la cosa negativa è che per esistere bisogna stare in questo sistema assoggettandovisi. Ne derivano alcune sciocchezze ideologiche sulla comprensibilità del messaggio/linguaggio musicale come se il pubblico fosse una massa di idioti cui la musica va spiegata o indorata. Certamente la musica contemporanea intesa come ricerca si è trasformata in un genere, e ciò la ghettizza. Invece sarebbe dotata di un’efficacia rivelatrice, anche in ambito didattico. Parlo per esperienza personale, tenendo periodicamente Workshop internazionali in cui giovani direttori sono attratti dalla musica di Schönberg, Romitelli, Manzoni e non dalla sbobba neotonale ripassata. Ciò ovviamente riguarda anche la mia esperienza al Conservatorio “G. Tartini” di Trieste. Quest’anno alcuni allievi dirigeranno The turn of the Screw di Britten e lo scorso anno il Barbablu di Bartók è stato portato fuori confine, fino a Belgrado. Nel frattempo si cerca disperatamente un rapporto con il pubblico per riempire le sale e fare sbigliettamento, per avere finanziamenti, per dimostrare di esistere, appunto. La musica più sperimentale viene affidata ad ensemble specialistici mentre l’orchestra come organismo sinfonico sta tornando a una programmazione che possa garantire l’appeal del pubblico perlopiù attraverso la presenza di star del concertismo o di un repertorio accattivante. Tutto qua. Anzi peggio: il musicista deve inventarsi talvolta una serie di formule per essere elemosinato dalle istituzioni.
Il teatro musicale è invece ancora vitale perché più interdisciplinare e legato all’impatto visivo che domina la nostra epoca.
- Quale formula alternativa per un possibile cambiamento di tendenza?
C’è poco spazio per una programmazione innovativa perché bisogna intrattenere, sia pure a livello elevato e professionale, oppure diventare un fenomeno turistico e ciò risulta particolarmente evidente nel mondo della lirica. Almeno in Italia, la parola rinnovamento sembra ancora utopistica. Non c’è ricambio generazionale e la gestione artistica diventa spesso asfittica. La cosa triste è notare che la musica, soprattutto quella contemporanea, non riceva sostegno forse perché foriera di valori umanistici ed etici fuori moda e non ottenga un apprezzamento all’interno della società (italiana), non essendo considerata né sostenuta come un bene collettivo, salvo rarissime realtà.
- Eppure l’Orchestra di Padova e del Veneto in questi anni è stata capolista di un repertorio contemporaneo rigoroso quanto innovativo in ambiti molteplici e molto apprezzati.
L’esperienza, ormai quasi decennale, con OPV, dimostra appunto che l’isolamento culturale è reale e che non si vuole cambiare anche a fronte di risultati artistici clamorosi, se non miracolosi. Certo parliamo di un’orchestra, ovviamente il mio giudizio è di parte, che sta contribuendo in modo intensivo alla diffusione della musica italiana del Novecento storico e della contemporaneità: chi altri se ne occupa così sistematicamente? Anche per questo ho creato la rassegna Veneto Contemporanea. Spero che la politica si accorga di questa preziosa risorsa e realtà regionale perché i risultati sono sotto gli occhi di tutti: Premio Abbiati del disco 2023 per le opere di Giacomo Manzoni su Dickinson e Beckett, premio internazionale Coups de cœur 2022 dell’Académie Charles Cros per Dante/Sciarrino, 30 puntate televisive sui canali RAI di format innovativi (Lezioni di suono, lmmortali amate, Migrazioni, Ritratti incrociati), una ventina di dischi (sui 70 complessivi) che ricostruiscono un percorso storico dagli anni Venti di Respighi e Malipiero fino a oggi, innumerevoli prime assolute, una progettualità unica in Italia e per l’Italia. Ma anche prima del mio arrivo, OPV era già stata protagonista a Venezia di importanti incursioni nel repertorio contemporaneo.
- Come si sta preparando per le celebrazioni di Berio e Dallapiccola del 2025?
Sono autori che con OPV propongo da anni in dischi e televisione (abbiamo già eseguito Verdi/Berio, Brahms/Berio, Mahler/Berio, Schubert/Berio, Boccherini/Berio, per non fare che alcuni esempi). In particolare seguo le declinazioni trasversali degli stili, quando un compositore parla di sé attraverso un’altra musica, anche in questo caso ricercando sé stesso nell’altro.
Larga parte della musica contemporanea attinge a piene mani dal passato: del resto è sempre stato così e ci sono casi ancora da approfondire come quello di Monteverdi ripensato da Dallapiccola, per esempio, oltre che Malipiero, per rimanere nel Novecento. Ne ll ritorno di Ulisse in patria con cui, in pieno secondo conflitto mondiale, prepara concettualmente il suo Ulisse più estremo (ma anche nelle coeve Liriche greche), Dallapiccola si rifugia in un mondo mitico cercando una salvezza spirituale più che materiale attraverso intuizioni cruciali sul presente del passato. Anche Malipiero, con Ecuba del 1940 e il suo ventennio di rifacimenti monteverdiani, ricerca un rapporto inedito con il Rinascimento musicale italiano. Appena qualche anno prima Schönberg aveva ripensato Händel in uno dei Concerti più enigmatici e sorprendenti del Novecento musicale europeo. Tutto il periodo italiano che va dagli anni Venti al secondo conflitto mondiale va riscoperto e ricollocato con rinnovata attenzione interpretativa.
- Il futuro?
Bisogna ripensare i luoghi comuni della storia musicale del nostro Paese, bisogna studiare e documentarsi con serietà per innovare e sviluppare idee. Per quanto riguarda OPV, si tratta di tracciare una direzione artistica di ampio respiro rispondendo con i fatti a una perenne crisi musicale ma soprattutto essere un’orchestra regionale a tutti gli effetti: come si diventa ciò che si è? Non si tratta solo di volontà ma soprattutto di politica. Basti dire che mentre attendiamo di essere nuovamente sul palinsesto di RAI 5 con le puntate di Migrazioni dedicate a Mahler e Schubert, continuiamo a non avere una nostra sede fissa per i concerti: veramente un’onta per un’orchestra che dimostra di essere tra le più prestigiose realtà musicali italiane. Appena rientrato a Padova riprenderò i progetti di Veneto contemporanea con Oiseaux exotiques di Messiaen all’orto botanico in una conferenza ornitologico-musicale con il pianista Ciro Longobardi come solista (domenica 28 aprile), poi Cadenzario di Sciarrino e le Proses lyriques di Debussy orchestrate da Umberto Benedetti Michelangeli con la voce di Chiara Osella (sabato 4 maggio), oltre a un ritratto monografico di Luca Antignani (mercoledì 15 maggio) e un approfondimento al repertorio veneto attraverso pagine di Malipiero, Fano e Omizzolo (5 giugno); saremo in residenza estiva al Festival Internazionale di Musica di Portogruaro con un Workshop per direttori d’orchestra dedicato a Beethoven (dal 15 luglio) e porteremo l’integrale delle sue Sinfonie in giro per il Veneto con il ritorno del Ludwig Van Festival. Nel futuro l’Orchestra di Padova e del Veneto suonerà alla Elbphlharmonie di Amburgo e ritornerà in diversi festival e stagioni concertistiche da Roma a Milano, giacché nemo propheta in patria.
Alessandro Cammarano
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