Raffaele Cipriano, un italiano (negli States)
Raffaele Cipriano è direttore d’orchestra, compositore e maestro di coro, formatosi in Italia, diplomato ai Conservatori di Padova e Venezia, dottore in informatica e poi accolto dagli Stati Uniti, dove ha iniziato un felice percorso nel caleidoscopio di iniziative che gli States offrono. Questa conversazione diventa dunque l’occasione per esplorare la scena musicale “diffusa” tra Florida e Kansas, dove abita oggi Cipriano, vista dal punto di visa di un direttore italiano.
- La prima domanda è d’obbligo: perché andare in America?
La questione è molto pratica: non c’erano opportunità di lavoro in Italia. Non che non ci fossero cose da fare, le possibilità di diventare assistente c’erano, ma spesso si trattava di lavori della durata ridotta e non di rado nemmeno pagati. Se cerchi qualcosa di stabile, beh, si fa un po’ fatica. Dunque mi sono detto che, dopotutto, in America ci sono più città, più orchestre, più possibilità, ho fatto qualche ricerca e ho visto che c’era anche la possibilità di frequentare corsi avanzati, così mi sono iscritto ad un dottorato in direzione.
- Dottorato che in Italia ancora non esiste.
Appunto. E in America non ho trovato solo docenti preparatissimi, ma anche un approccio molto pratico e orientato alla professione. In un’università americana l’orchestra è gestita esattamente come un’orchestra professionale, con gli stessi meccanismi e lo stesso approccio. Quando esci da lì, soprattutto da un dottorato, hai l’esperienza e i contatti giusti per cominciare da subito ad entrare nel mondo del lavoro.
- Questo è diverso dai conservatori italiani?
Da noi la preparazione è eccellente, di questo non possiamo veramente lamentarci. Abbiamo spesso magnifici insegnanti e molte occasioni per approfondire il repertorio, ma quando esci da un conservatorio, stringi in mano un diploma ma non hai la minima idea di cosa fare. Di colpo sei da solo e devi quasi ripartire da zero.
- Cos’è successo dopo il dottorato negli States?
Ho sfruttato quei contatti e ho trovato lavoro per un anno come direttore assistente di un’opera house in Florida, la Sarasota Opera House, per cui svolgevo tutte le mansioni dell’assistente, dal fare il maestro ripetitore al seguire come un’ombra il direttore principale, aiutarlo con le prove e tutti gli altri compiti dell’assistente. È stata un’esperienza ottima per me, perché mi sono trovato ad assistere un direttore, Derenzi, specializzato in opera italiana, in particolar modo Verdi. Credo che abbia diretto ogni singola cosa di Verdi, in ogni versione ed edizione critica.
- Cosa ti è rimasto più impresso del meccanismo di un teatro americano?
Innanzitutto l’organizzazione efficientissima. La macchina operistica era veramente ben oliata, avevamo attività in continuazione e tutti i giorni c’era qualcosa, con quattro opere in rotazione per tutta la stagione invernale. Un’altra cosa che mi piaceva molto era la disinvoltura con cui si inserivano artisti di fama e dalle carriere ben avviati con giovani emergenti, che li mettessero come comprimari o come cover dei ruoli principali. Visto il gran numero di recite, capitava che il cantante principale avesse la tosse una sera e il giovane subentrasse, così da permettere a tutto il meccanismo di proseguire imperterrito.
- Dopo quest’anno come assistente dove ti sei diretto?
Mentre ero assistente ho mandato un po’ di CV in giro e come conseguenza mi hanno invitato a fare un colloquio come direttore musicale di una chiesa. Mi hanno preso e sono rimasto sconvolto: qui, il direttore musicale di una parrocchia è un lavoro full time, con stipendio, 40 ore a settimana (flessibili in base agli impegni), trattamento pensionistico, assicurazioni sanitarie. Insomma, è un vero lavoro, come gli altri. Io arrivavo dalle varie esperienze italiane, in cui ho sia fatto da organista che diretto vari cori e l’ho sempre fatto gratis, per la gloria potremmo dire.
- In cosa consiste il tuo lavoro?
Tutto ciò che ha a che fare con la musica in parrocchia passa attraverso me. Supervisioni i vari gruppi di cantori, gli strumentisti, seguo i tecnici audio e video. Durante i lockdown siamo stati attivissimi con eventi e occasioni in diretta streaming. Mi occupo di pianificare mensilmente gli eventi e mi assicuro che ogni messa e occasione sia coperta con musica dal vivo che devo scegliere. Poi io stesso seguo le prove di cori, vari ensemble vocali e strumentali, accompagno al pianoforte i gruppi e scelgo i repertori insieme ai musicisti. È sorprendente vedere quante attività ci siano ogni settimana.
- Ma i tuoi incarichi non si limitano a questo.
No, infatti. Sono direttore musicale di due community orchestras.
- Di cosa si tratta esattamente?
In italiano le chiameremmo forse “orchestre di comunità”, ma non rende benissimo. Di fatto sono orchestre amatoriali formate da semi professionisti o dilettanti, come avvocati, professori, medici, che hanno studiato musica all’università e nei conservatori e sono rimasti attivi con il proprio strumento. Questi si mettono insieme e provano in media una volta alla settimana. Circa ogni mese facciamo un concerto in città. Le due città che copro sono Oberland Park e Kansas City. E affrontiamo repertori ben complessi, dalle Sinfonie di Čajkovskij a quelle di Mendelssohn, oltre chiaramente al tradizionale Schiaccianoci di Natale con la scuola di danza della città. Ora invece sto preparando un gala lirico.
- Di orchestre amatoriali ne abbiamo molte anche in Italia, ma è rarissimo che possano anche solo pensare di affrontare la Riforma di Mendelssohn o la Patetica di Čajkovskij. Perché in America sì?
Sai, qui la musica è parte del loro percorso fin da quando sono piccoli. Questa è una delle principali differenze con l’Italia. Un ragazzo americano può studiare musica ad ogni livello e senza necessariamente fare un percorso musicale professionalizzante. Quasi tutte le high school hanno le loro orchestre, poi vai all’università e anche lì trovi le orchestre. Molti fanno una doppia laurea, studiano biologia e violino per dire. Ma c’è anche chi senza cercare il titolo, semplicemente studia strumento al fianco del proprio corso di studi e poi suonano nell’orchestra dell’università. Ci sono così tanti interessati, che spesso le università stesse devono creare due diverse orchestre: una è quella degli studenti di musica, l’altra per gli altri interessati. Quando poi finisci i tuoi studi e inizi a lavorare, molti di questi vanno a cercare la community orchestra più vicina per continuare a suonare e non perdere l’abitudine.
- Questi musicisti vanno poi ad animare la vita culturale della loro città.
Eccome, molti si organizzano e fanno concerti autonomamente, con proprie formazioni di musica da camera, alcuni sono ragazzi che suonano in orchestre giovanili o tutor e preparatori di queste orchestre, poi vengono a suonare o anche a fare le prime parti di una community orchestra.
- E diventano anche pubblico?
Certo, molti seguono attentamente la stagioni della città, organizzano viaggi, vanno a trovare gli amici a New York e si fanno una serata al Met, poi tornano e raccontano, si scambiano le ultime esperienze, gli ultimi concerti. Insomma, è una passione che viene tenuta costantemente attiva.
- E questo conclude le tue varie attività.
In realtà no! Tra i miei vari ruoli c’è anche quello di direttore assistente dell’orchestra sinfonica di Topeka, la capitale del Kansas. Insomma, quando mi sono trasferito qui per trovare più occasioni, non sono stato deluso!
Alessandro Tommasi
Condividi questo articolo