Ravenna: pacifico cambio al vertice per la XXXI edizione del Festival

Un passaggio di consegne senza scosse, di fatto già in corso da due o tre anni, è stato annunciato ufficialmente durante la presentazione del XXXI Ravenna Festival, avvenuta sabato 14 dicembre. Cristina Mazzavillani Muti, fondatrice della manifestazione di cui è stata l’anima per un trentennio, ha rinunciato, per i limiti fisiologici imposti dall’avanzare dell’età, alla carica di presidente e condirettrice artistica e ha accettato invece il titolo di presidente onoraria, che le è stato conferito dal sindaco di Ravenna Michele De Pascale nel corso della presentazione. Nessuna sorpresa, anche perché nei giorni scorsi era circolata su diversi quotidiani una lettera che la signora Muti aveva mandato, in forma privata, allo staff del Festival parlando proprio della sua intenzione di ritirarsi. Inviata in forma anonima alla stampa, la lettera è stata prontamente  – e scorrettamente – pubblicata: Cristina Muti ha, pur con la sua innata cordialità, pubblicamente rimproverato le testate locali per non averle permesso di dare l’annuncio a modo suo e per non averla consultata prima di diffondere quello che doveva essere un messaggio riservato. «È così che vanno le cose ora» ha sottolineato. «Bisogna dare la notizia, ma si perde in umanità.»

Sorridendo, la Muti ha anche esortato a non pensare di sostituirla: «Si può sostituire una mamma?», ed è più volte tornata sul sentimento materno che prova nei confronti della sua creatura, il Festival, e di tutti quelli che ci lavorano. Purtroppo, negli stessi giorni la rassegna ravennate ha perso anche un padre, per restare nella stessa immagine: l’11 dicembre è morto all’età di 89 anni un altro degli ideatori del Festival, di cui fu sovrintendente, l’avvocato Mario Salvagiani, gentiluomo squisito di vastissima cultura che per decenni diede un’impronta speciale a tutta l’attività teatrale e musicale ravennate. Lunghissimi applausi e una standing ovation sono stati tributati alla sua memoria nel corso della presentazione, così come a Cristina Muti che ha raccolto, commossa, una testimonianza di stima e di affetto non comune dai partecipanti.

Di fatto, comunque, il Ravenna Festival prosegue sugli stessi binari, poiché i due condirettori artistici, Franco Masotti e Angelo Nicastro, con l’attuale sovrintendente Antonio De Rosa (che ha tra l’altro comunicato ai presenti i più che soddisfacenti dati di pubblico e di riscontro economico ottenuti nel 2019), hanno già da tempo assunto su di sé il passaggio di consegne, mentre l’inserimento di una persona nuova, come ha affermato Cristina Muti, porterebbe un disequilibrio in una gestione già ampiamente rodata. Frutto di tale intesa è il programma della nuova edizione del Festival, intitolata «Dolce color d’oriental zaffiro», che si terrà dal 3 giugno al 17 luglio 2020. Il verso che dà il titolo al Festival è tratto dal Purgatorio di Dante, il sommo poeta di cui fra due anni si celebreranno i 700 anni dalla morte, avvenuta proprio a Ravenna. Un interessante momento  della presentazione è stato l’intervento di Paolo Rumiz, noto giornalista, scrittore e viaggiatore, con il racconto di sue esperienze significative tra Oriente e Occidente.

Per l’inaugurazione del Ravenna Festival 2020 è stato prescelto uno dei capolavori del Novecento, il film del 1982 Koyaanisqatsi (un termine della lingua amerinda degli hopi che significa vita tumultuosa o squilibrata) di Philip Glass e Godfrey Reggio, che verrà proiettato al Palazzo Mauro de André con le musiche di Glass eseguite live dall’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e dal Coro omonimo, direttore Michael Riesman. Il tema dell’Oriente, cui Ravenna è profondamente legata fin dai tempi dell’Impero bizantino, verrà declinato in numerosi modi; saranno messe in rilievo anche le traversie contemporanee di un luogo non più favoloso, ma travagliato da tremendi conflitti, con l’annuale concerto delle Vie dell’Amicizia nel nome della Siria dedicato in particolare a Hevrin Khalaf, la giovane segretaria generale del Partito del Futuro siriano uccisa in un agguato nello scorso mese di ottobre. Il Ravenna Festival aveva già offerto alla Siria un concerto delle Vie dell’amicizia nel 2004, nel Teatro Romano di Bosra, tra Damasco e Aleppo; nel 2020, data l’impossibilità di recarsi sul posto, l’unica data del Concerto per la Siria sarà quella ravennate, il 3 luglio al Paladeandré, quando Riccardo Muti dirigerà la Sinfonia n. 3 “Eroica” di Beethoven sul podio dell’Orchestra Cherubini integrata da musicisti curdi e siriani.

Sarà dedicato alla preziosissima Pala d’oro bizantina della basilica veneziana di San Marco il concerto del 6 giugno nella meravigliosa cornice di San Vitale, con la Cappella Marciana diretta da Marco Gemmani in brani di Monteverdi, Merulo, dei Gabrieli e di altri compositori legati a San Marco; The Nagash Ensemble, gruppo vocale e strumentale, proporrà «il suono dell’antica Armenia reinventato per il ventunesimo secolo», con musiche di John Odian, il 21 giugno al Teatro Rasi; i Carmina burana di Carl Orff, ispirati ai canti dei medievali clerici vagantes, saranno rappresentati il 14 luglio al Paladeandré nella versione visionaria della Fura dels Baus, con drammaturgia e regia di Carlos Padrissa e con l’Ensemble Ars Ludi diretto da César Belda. Tra gli altri appuntamenti in programma, quello con la Budapest Festival Orchestra diretta da Iván Fischer (16 giugno); i due concerti dell’Orchestra del Teatro Mariinsky che vedranno il ritorno a Ravenna di Valery Gergiev il 26 e il 27 giugno, con la partecipazione nella seconda data dell’Orchestra Cherubini; sempre la Cherubini sarà diretta dal suo fondatore Riccardo Muti l’11 luglio al Paladeandré.

Tra le numerosissime altre proposte di musica, danza e teatro elencate nel cartellone del Festival, il ritorno dei 100 Cellos di Giovanni Sollima dal 9 al 13 giugno e la prima assoluta del Don Juan del coreografo Johan Inger affidata all’Aterballetto, poi la Hofesh Shechter Company-Shechter II, il 1° luglio al Paladeandré, e il gran gala di danza Hommage à Alicia Alonso che concluderà il Festival. Per quanto riguarda la Trilogia d’autunno, Cristina Muti ha annunciato che non si occuperà più delle regie d’opera, ma ha contribuito alle scelte per l’edizione 2020, in programma dal 6 al 15 novembre con il titolo «Progetto Dante: il divino, l’umano e il diabolico»: rispettivamente, uno spettacolo del ballerino ucraino Sergei Polunin, Don Giovanni di Mozart e Faust di Gounod.

Patrizia Luppi

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