Renata Tebaldi. «Dolce maestà». Figlia, donna, icona

Meno nutrita di quella callasiana, anche la bibliografia su Renata Tebaldi comincia a diventare imponente e all’ormai classico Renata Tebaldi, la voce d’angelo che Electa pubblicò nel 1981 si sono aggiunti negli anni nuovi titoli di nuovi autori. C’è stato chi, come l’ex Sovrintendente del San Carlo di Napoli Francesco Canessa con il suo C’eravamo tanto odiate, ha tentato di fare il punto sull’eterna rivalità che oppose la Divina Maria alla Renata, come la definivano i suoi ammiratori milanesi.

Il più prolifico è di più fervente fede tebaldiana è però senz’ombra di dubbio Vincenzo Ramón Bisogni, gentiluomo napoletano di nascita, fiorentino d’adozione e da parecchio tempo ormai triestino d’elezione. Molto attivo sulle reti sociali, Bisogni è dedicatario di una voce sul Dizionario enciclopedico della musica classica di Rizzoli-Bur.

Laureato in giurisprudenza ha seguito studi privati di pianoforte con Alba Baldereschi e collabora con innumerevoli pubblicazioni. Vincenzo è uomo d’inguaribile simpatia e facondia e questo dà poca sintesi e molti particolari talvolta superflui ai suoi scritti, che sono sempre una gradevole lettura, ma hanno il vezzo di disperdersi in mille rivoli, non escluso quello del pettegolezzo.

Detto questo, il suo Renata Tebaldi, “Dolce maestà”. Figlia, Donna, Icona da poco uscito presso Zecchini (pagg. 248, euro 25) nella collana Grandi Voci dell’editore lombardo, di là dal titolo che rimanda alla lunghezza di quelli dei film di Lina Wertmüller e che, ci perdoni l’Autore, non ci sembra troppo azzeccato, è una lettura molto piacevole.

Bisogni si era già occupato della sua adorata Icona (il Mito, lo vuole lasciare all’aborrita rivale), con il precedente Renata Tebaldi: Viaggio intorno alla voce uscito, sempre con Zecchini, nel 2000. A vent’anni di distanza e nel settantacinquesimo anniversario dal debutto della Grande Parmigiana, Vincenzo torna sui suoi passi celebrando in un sol colpo anche i quindici anni dall’addio a questo mondo dell’eterna Signorina.

I dettagli si moltiplicano, quasi tutti di prima mano e svolti con raro garbo e delicatezza, e, nella distanza aumenta anche l’amore di Vincenzo Ramon Bisogni per la voce di Renata Tebaldi che, a questo punto, è senza limiti. E’ un omaggio alla bellezza di una voce e all’eccellenza italiana nel canto il suo Renata Tebaldi, “Dolce Maestà” di cui ci fa piacere occuparci in occasione della Festa della Donna.

Nata a Pesaro nel 1922 ma parmigiana (di Langhirano) per parte di madre, Renata Tebaldi si formò musicalmente nella città materna e si perfezionò, con la celebre Carmen Melis, al Conservatorio di Pesaro, da cui proveniva il padre. Fra il 1944, anno in cui in un’Italia ancora sotto le bombe della seconda guerra mondiale, esordì nel Mefistofele di Boito al Sociale di Rovigo, e il 1976 quando si congedò trionfalmente dal suo pubblico alla Carnegie Hall di New York prima e alla Scala poi, Renata Tebaldi ebbe una carriera luminosa. Nel 1946 era la “voce d’angelo” che Toscanini predilesse e diresse nel concerto per l’inaugurazione del ricostruito Teatro alla Scala. La denominazione “voce d’angelo” fu coniata nel corso delle prove del concerto, quando il lMaestro chiese che la voce solista del Te Deum verdiano fosse installata più in alto del coro, per dare la sensazione che arrivasse dal cielo.

L’anno successivo, e siamo nel 1947, la Tebaldi era Eva nei Maestri cantori di Norimberga di Wagner diretti da Serafin per il suo esordio scenico nella sala del Piermarini. Fu subito sulle maggiori ribalte italiane, all’Arena di Verona esordì nello stesso anno di Maria Callas, l’una in Faust di Gounod, l’altra ne La Gioconda di Ponchielli. Il teatro che più l’apprezzò fu però il San Carlo di Napoli dove Vincenzo Ramon Bisogni l’ascoltò le prime volte. Il successo arrise a Renata su tutte le maggiori ribalte europee.

Nella prima fase della carriera, la più interessante, il repertorio fu più ricco e variato, e Renata Tebaldi cantò sì i prediletti Verdi e Puccini, ma non disdegnò il Wagner in italiano che all’epoca era in uso, si misurò con titoli rari come L’Assedio di Corinto di Rossini, il Fernando Cortez di Spontini e, con esiti particolarmente memorabili, la Giovanna d’Arco di Verdi, fu Cleopatra nel Giulio Cesare di Haendel e la Contessa ne Le Nozze di Figaro mozartiane.

Nel 1951 si presentò in America del Sud e nacque la rivalità con Maria Callas che la portò, per amore di pace, a lasciare la Scala alla mercé della Maria per scegliere il dorato esilio americano debuttando nel 1955 al Metropolitan di New York (“Otello” accanto a Del Monaco) e dove fu, fino al 1973, l’incontrastata regina delle programmazioni liriche.

Il lascito di Renata Tebaldi, scomparsa a San Marino nel 2004, conservato dalla testimone di una vita Ernestina Viganò, è stato destinato dal Comitato Renata Tebaldi di cui è presidente la signora Giovanna Colombo a perpetuare la vicenda, artistica e umana, della “voce d’angelo”. Tramontato il progetto di creare nella patria materna “un Castello per la Regina” nel castello di Torrechiara a Langhirano, e su interessamento di Riccardo Muti, molto affezionato alla Tebaldi, il Comune di Busseto ha reso disponibili le Scuderie di Villa Pallavicino.

A San Marino fervono invece le attività del Concorso intitolato a Renata Tebaldi. Come dire, l’Icona dai modi schietti e dal sorriso contagioso, ha saputo, da donna avveduta, conservare le proprie memorie anche oltre la morte. E se nel Museo di Busseto si possono ammirare i tesori del lascito – una sala è dedicata a Madama Butterfly personaggio con cui Tebaldi si ripresentò al pubblico nel 1958 a Barcellona dopo la morte dell’adorata madre – l’occhio è appagato da costumi e oggetti personali che restituiscono l’eleganza della Donna, la ricca discografia, ufficiale e non, ne testimonia la voce straordinaria. Aveva uno Stradivari in gola, si usa dire di Renata Tebaldi, e così è, basta ascoltare una delle tante incisioni Decca che Renata consegnò alla sala di registrazione.

Conobbi Renata Tebaldi agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, mentre ero occupato nella traduzione dei Reisebilder (Visioni di viaggio) di Heinrich Heine per la collana I Classici Classici di Frassinelli diretta da Aldo Busi che mi commissionò il lavoro.

Trieste, una delle prime tappe di una carriera leggendaria dove la Tebaldi ebbe un battesimo tormentato nel 1945 per la sua prima Desdemona, il suo personaggio Icona testimoniato anche da un video berlinese dei primi Anni Sessanta sotto la direzione di Giuserppe Patanè.

Il Sovrintendente Barison affiancò la giovane Tebaldi a due artisti consumati, Francesco Merli e Piero Biasini. Furono loro a difendere la collega più inesperta quando il concertatore e direttore Edmondo De Vecchi diede segni d’impazienza per un errore durante una prova ed era già pronto a sostituire la debuttante Desdemona con la sua protetta, Alma Degrassi in locandina nel successivo Andrea Chénier come seconda di Franca Somigli.

Il risultato fu che la Tebaldi non solo inaugurò la stagione triestina ma, su richiesta del Maestro Argeo Quadri, sostituì la collega in Andrea Chénier creando, per la prima volta, con Mario Del Monaco, che le aveva predetto una grande carriera, la famosa coppia del secolo delle incisioni Decca.

Trieste, dunque, rese omaggio a Renata Tebaldi con varie manifestazioni che videro la grande artista tornare, dopo tanti anni, nella città di uno dei teatri che fu tra i primi ad accoglierla fresca del debutto rodigino.

Sulla Tebaldi era stato da poco pubblicato un volume di Anna Maria Gasparri Rossotto, una signora toscana tebaldiana sfegatata, di dimensioni piuttosto notevoli che fu presentato alla Libreria Minerva che avevamo da poco inaugurato in via San Nicolò con la mia famiglia.

Le due signore Tebaldi e Gasparri Rossotto, accompagnate dalla coordinatrice delle manifestazioni triestine di cui Vincenzo Ramon Bisogni fu incognito artefice, e presentate dal Barone musicista Raffaello de Banfield furono le protagoniste di un incontro con il pubblico in libreria che vide la nostra modesta saletta – la capienza è di una cinquantina di posti – stipata fino all’inverosimile.

Quanta gente abbiamo dovuto mandare via, e con quanto dispiacere lo abbiamo dovuto fare. L’incontro ebbe molto successo. De Banfield fu un conversatore molto disinvolto e piacevole, cosa che stupì mio padre che nutriva affetto, si conoscevano fin da ragazzi, ma non grande considerazione per Falello.

Renata Tebaldi era una donna simpatica e senza tanti fronzoli, ma quando fece ingresso nella libreria, e con mia sorella Irene le andammo incontro per accoglierla, il suo incedere era quello di una regina.

La accompagnai in ascensore nella sala conferenze dove si sarebbe svolto l’incontro e le dissi il mio dispiacere di non averla mai potuta ascoltare dal vivo. Grazie ai dischi della Decca che, ancora bambino, mi aveva regalato mio nonno, aggiunsi, la mia prima Mimì e la mia prima Violetta era stata lei. Per fortuna che ci sono quelli, commentò la Tebaldi laconica.

Il calendario cui la Signorina si sottopose a Trieste era fittissimo e prevedeva anche una cena in suo onore. La coordinatrice delle manifestazioni continuava a venirmi a ragguagliare sulle persone che aveva intenzione di invitare o che aveva già invitato. Erano tante. Io, però, che comunque avevo messo a sua disposizione la libreria e che, coadiuvato dai miei dipendenti, mi ero occupato della vendita dei volumi, non ero contemplato finché, all’ultimo momento, non so chi rinunciò alla famosa cena da Suban, e fui ripescato in extremis.

A quel punto, però, mi trovavo in imbarazzo. Avrei potuto esserci, ma solo per la prima parte della serata. Contemporaneamente al Politeama Rossetti era in programma un incontro su Amore e inganno di Schiller in cartellone al Politeama Rossetti che prevedeva la partecipazione, fra gli altri, di Aldo Busi.

L’occasione di incontrarlo non volevo lasciarmela scappare e, a metà della cena, ottima come sempre da Suban, mi avvicinai alla Tebaldi salutandola con una battuta di Adriana Lecouvreur, “chiedo in bontà di ritirarmi”.

Renata si mise a ridere. Deve già andare? Che peccato. E fu davvero un peccato perché, arrivando trafelato al Rossetti trovai il mio amico Mario Brandolin, che all’epoca curava l’ufficio stampa del Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, in tutti gli stati suoi. Il teatro aveva mandato una macchina a prelevare Busi a casa sua, vicino a Bergamo. Quando vide che non si trattava di una Rolls Royce ma di una vettura più modesta, Busi fece i capricci e, di punto in bianco, si rifiutò di venire a Trieste. Peccato che gli altri, prima fra tutti Natalia Aspesi chiamata a coordinare l’incontro triestino, aspettavano soprattutto lui, all’epoca molto visibile in televisione.

Chi era più Diva? Busi o Renata Tebaldi?

Rino Alessi

Vincenzo Ramón Bisogni
Renata Tebaldi
«Dolce maestà». Figlia, Donna, Icona
Zecchini Editore 2019

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