Rimini: un Rigoletto di tradizione che infiamma il teatro

Nell’ambito degli eventi di “Rimini, il capodanno più lungo del Mondo”, a inaugurare il 2020 sul palcoscenico del teatro Galli, è stato quest’anno “Rigoletto” di Giuseppe Verdi.

Il luminoso Teatro Galli esaurito per 3 sere. Questo basterebbe a mettere il punto sulla presente recensione. Tutto si è svolto come tradizione comanda, che sia ben inteso tradizione e non banalità riduttiva: una Mantova notturna e fumosa illuminata da torce, cortigiani impreziositi da costumi coloratissimi, Gilda nel giardino fiorito che canta le sue pene d’amore, il giullare deriso e buffone, il Duca sfacciato e spavaldo e poi ancora: tavolate, vino a fiumi, divertimento, assassini, il temporale: insomma tutte le immediatezze di Rigoletto proprio come Verdi voleva e come forse molta gente che va a teatro si aspetta di vedere. Questo è il Verdi che fa infiammare i teatri e che avvicina gli italiani al nostro preziosissimo patrimonio culturale musicale. Verdi nell’800 per divulgare la sofferenza, il sacrificio e il risentimento popolare, scelse personaggi normali, sconosciuti, popolari o “diversi” ma in grado di emozionare, sconvolgere e coinvolgere allo stesso tempo raccontando trame intime e profonde. Nel Rigoletto parole e musica hanno lo stesso peso, si sorreggono a vicenda e la forza narrativa e musicale risulta dirompente, al Galli è bastato semplicemente seguire i sopratitoli e il pubblico è stato trascinato nell’emozione più pura.

Intenso dramma di passioni, tradimenti, amore filiale e vendetta, Rigoletto offre melodie e potenza drammatica; il ripetersi costante del tema della maledizione, unito all’amore paterno tra padre e figlia creano una combinazione magica che se compresa fino in fondo porta alla commozione.

Come accennato, il regista Paolo Panizza ha voluto raccontare il dramma seguendo attentamente il dettato verdiano. La scena era una struttura lignea quasi fissa: una Mantova buia e polverosa non certo una Mantova evocativa della reggia gonzagesca del Palazzo Ducale o di Palazzo Te, la tendenza registica generale insomma era quella di un teatro dalla fortissima vocazione conservatrice. I cortigiani variopinti con i bellissimi costumi di Carla Galleri di tutti i protagonisti animavano il buio fumoso illuminato da lanterne che faceva da sfondo alla vicenda. La luce appare finalmente nel giardino fiorito del secondo atto, “Caro Nome” viene intonato dalla bravissima Gilda di Giulia Della Peruta che canta le sue pene d’amore senza scadere in alcuna svenevolezza. Lei è stata la vincitrice della serata, senza dubbio, la voce è limpida e sonora da soprano lirico che mostra una notevole facilità negli acuti: il mi bemolle alla fine del duetto con Rigoletto è stato dirompente.

Il Rigoletto di Andrea Zese, è stato bravo nel muoversi in scena e molto espressivo nei suoi assoli, a tratti delicatissimo a tratti introspettivo, voce brunita e verdiana dosata in alto ma in grado di cantare a mezza voce; un canto controllato e un fraseggio intimistico che hanno centrato il personaggio.

Quanto al Duca di Carmine Riccio che si può dire? Esemplare nella sua recitazione: spavaldo, sfacciato e prepotente come tradizione impone. Il tenore forse non è ancora pronto per il ruolo verdiano, la tecnica c’è, la voce è di bel colore ma pur elegantissimo nel porgere la frase e con timbro dolcissimo mancava la veemenza, il vigore, il passaggio ad acuti sfacciati, insomma in questo tipo di spettacolo forse ci voleva da parte del cantante un po’ più di protervia, di irruenza quindi meno concentrazione sul canto a fior di labbra e invece un piglio più baldanzoso, o forse il cantante era semplicemente stanco dalle recite dei giorni precedenti.

Comprimari tutti bravissimi, menzione speciale alla Maddalena di Antonella Colaianni dalla fortissima presenza teatrale, voce di metallo e brunita che riempiva il teatro, passando dalla volgarità, alla paura, alla dolcezza con estrema spontaneità. Un ruolo secondario ma che ha lasciato il segno.

 

Il giovane maestro bolognese Massimo Taddia ha diretto con molta attenzione concentrandosi sul canto degli interpreti che aveva preparato e seguito a dovere, accompagnandoli, incoraggiandoli, respirando insieme a loro. Il Direttore ha mostrato il suo ottimo mestiere: l’orchestra aveva un suono ampio, morbido dove richiesto e irruento se necessario, l’universo drammatico-romantico verdiano è arrivato al pubblico che ha tributato un trionfo enorme a questo Rigoletto.

Insomma, le regie e la recitazione devono cambiare, evolversi, peggiorare o migliorare nel corso degli anni, così come il modo di concepire l’opera e il teatro in generale, altrimenti rimarrebbe solo la parodia di un teatro d’opera che fu e che non potrebbe tornare sempre identico a se stesso, ma a mio avviso nel rispetto della semplice tradizione esecutiva, in questa occasione, a Rimini, il teatro vero, quello che riempie di entusiasmo, che ti fa canticchiare il giorno dopo, che ti rimane per sempre nei ricordi e che ti scalda il cuore è stato fatto e con successo.

Renato Olivelli
(4 gennaio 2020)

La locandina

Direttore Massimo Taddia
Regia Paolo Panizza
Scene Franco Armeri
Costumi Carla Galleri
Luci Fiammetta Baldisseri
Personaggi e interpreti:
Rigoletto Andrea Zese
Duca di Mantova Carmine Riccio
Gilda Giulia Della Peruta
Sparafucile Paolo Battaglia
Maddalena Antonella Colaianni
Giovanna Elisa Luzi
Monterone Gaetano Triscari
Marullo Giuseppe Esposito
Borsa Roberto Carli
Ceprano Luca Gallo
Contessa di Ceprano Elisa Luzi
Paggio Ilenia Tosatto
Usciere Riccardo Lasi
Figurante Alessandro Semprini
Orchestra della Scuola dell’Opera del Teatro Comunale di Bologna
Coro Lirico città di Rimini Amintore Galli
Maestro del coro Matteo Salvemini

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