Rimini: una Lucia funerea illuminata da Gilda Fiume
Tinte funeree, fosche, spettrali su sfondi tombali invadono l’allestimento di Lucia di Lammermoor, uno dei capisaldi dell’intero repertorio lirico, andato in scena con successo al Teatro A. Galli di Rimini. Lo spettacolo a firma di Stefano Vizioli, creato nel 2002, si è ispirato ad un allestimento dallo stesso curato nel 2002 per il Saint Louis Opera Theater e riproposto successivamente nel 2006 all’Opera di Sainkt Gallen, con scene su bozzetti di Allen Moyer e disegno luci di Nevio Cavina.
La scelta registica isola l’essenza della trama in un universo familiare borghese, un monotono mondo maschilista e ostile, senza alcuna concessione emotiva per la mortifera Lucia, di nero vestita fin dal suo ingresso in scena. I protagonisti dello spettacolo, storicamente posticipato di almeno un secolo, indossano abiti dal gusto tardo ottocentesco; nessun riferimento in scena rimanda alle torbide e brume vicende romanzate da Walter Scott in The Bride of Lammermoor (1819). Niente Scozia durante il regno della regina Anna di Gran Bretagna, ultima sovrana del casato degli Stuart (1702-1714), niente faide tra Clan privi di autorità regnante, che si scontrano per i domini territoriali nelle Highlands. Sul palco assistiamo al dramma borghese claustrofobico e opprimente della famiglia Asthon, scontando una certa monotonia nella perenne atmosfera cimiteriale e cupa, che rimanda piuttosto a Ibsen o Strindberg. Un ambiente, quindi, in cui le ambizioni sociali ed economiche della nuova potente famiglia Asthon soffocano qualsiasi sentimento o aspirazione della povera figlia femmina, il cui unico scopo nella vita dovrà essere quello di unirsi in matrimonio a un Lord di superiore livello sociale che possa innalzare ancor di più il blasone del casato.
L’illustre Alessandro Taverna nelle note al libretto di sala “Scandalo a Lammermuir Hills”, anglicizzazione dallo scozzese originale Lammermuir, cita, tra altri interessantissimi spunti, la stretta unione che collega Emma Bovary a Lucy Asthon. Gustave Flaubert certamente assistette alla celebre opera di Donizetti a diciotto anni, quando nel 1839 al Théâtre de la Renaissance si recitava una Lucie de Lammermoor abbreviata nella trama e nella partitura musicale, nella versione francese di Gustave Vaëz e Alphonse Royer. Nel 1851, la stessa opera veniva rappresentata a Parigi, ed egli, già adulto, al ritorno dal viaggio in Oriente compiuto con l’amico Maxime Du Camp, proprio mentre si accingeva alla composizione della Bovary, si era recato sicuramente a rivedere l’opera.
Con Emma Bovary, Flaubert ha voluto rappresentare in letteratura una delle più importanti demistificazioni del mito dell’amore romantico, dell’assolutismo della passione amorosa che proprio con le letture nasce e si accresce, nutrendosi di esse. (Del resto, anche Walter Scott fa di Lucia una grande lettrice: «Lucia Ashton si trovò spersa nei labirinti dell’immaginazione, pericolosissimi, per le persone giovani e sensibili. […] una fanciulla di tendenze romantiche, che si deliziava delle storie d’amore e di fantasia al punto da identificarsi con le leggendarie eroine le cui avventure, in mancanza di letture migliori, le avevano riempito la mente»).
Nell’opera flaubertiana, l’autore ha introdotto, a chiusura della seconda parte del romanzo, la rappresentazione dell’opera di Donizetti, in versione francese, al Théâtre des Arts di Rouen a cui assistono alcuni dei protagonisti del romanzo. Tale episodio, che non solo agevola lo svolgimento della trama del romanzo, ma getta luce, retrospettivamente e potenzialmente, sul carattere della protagonista, è l’avvenimento conclusivo e per così dire charnière dell’esistenza di Emma Bovary. Nel romanzo, il racconto della serata all’opera di Emma e Charles occupa lo stesso posto del celebre sestetto Chi mi frena in tal momento nella partitura dell’opera di Donizetti che avvia il finale del secondo atto come il récit conclude la seconda parte del romanzo. In entrambi i casi si tratta di un evento, di un coup de théâtre che fa coincidere perfettamente la finzione con la realtà: al ritorno inaspettato di Edgardo, quando Lucia viene unita in sposa a Lord Bucklaw, corrisponde la riapparizione inattesa di Léon, che non ha cessato di amare romanticamente Emma e che ora vuole possederla. La follia di Lucia, e la sua morte, si rifletteranno come en abyme nel destino di Madame, che non esiterà a incontrare il nuovo amante, a dilapidare il proprio patrimonio e quello del marito, e realizzerà il suicidio che già una prima volta l’aveva tentata.
Ma Lucia è una povera adolescente isolata e rinchiusa in un castello scozzese che perde il senno fino a commettere un omicidio e morire solo per aver scoperto di non poter amare il suo eroe, scontrandosi con una famiglia spietata. Anche il romanticismo di Emma Bovary l’ha portata a lungo a sognare, nella sua adolescenza, insieme a Walter Scott, castellane, manieri, fontane e cavalieri, come si legge nella prima parte del romanzo, quando le letture di Emma tredicenne al convento aprono la sua vicenda e disegnano il suo carattere. Anche Madame ha una visione dell’amore che si scontra inevitabilmente con la realtà e resta rinchiusa nel suo mondo fiabesco di sognatrice, ma si rivela poi vera femme du monde: bella ed elegante, non le ci vorrà molto per assoggettare il povero marito a tutte le sue follie e i suoi desideri, assaporerà presto tutto il gusto delle sue liaisons dangereuses, e sarà catapultata in un mondo fiabesco, di cui ha sempre sognato: un modo fatto di piaceri e di intimi segreti, un modo da favola, che però presto si trasformerà in catastrofe. Ma la Bovary è solo vittima di se stessa, non di suo fratello o della sua famiglia, resta il simbolo dell’adultera, un personaggio complesso e contraddittorio, con i suoi sogni e le sue chimere, che ammala se stessa volontariamente e inevitabilmente muore, avrebbe potuto scegliere un destino diverso, Lucia no.
Emma Bovary nel capitolo XIV, il finale della seconda parte del romanzo, durante la scena della pazzia di Lucia esclama a voce alta, quasi maleducatamente: “Grida troppo, […] fa un caldo qui, soffoco, andiamo via.” Seduti all’aperto in un caffè i protagonisti del romanzo ascoltano gli spettatori che all’uscita del teatro canticchiano felici O bell’alma innamorata, ma Madame si è annoiata durante la Lucia, importante era solo l’Outfit da sfoggiare, stupidamente rimane affascinata dai racconti di Léon, lui che ha ascoltato Tamburini, Rubini, Persiani e persino la Grisi. Povero Charles! Lui sì, che era rimasto colpito, e lamentandosi afferma di non aver potuto ascoltare tutto il finale dell’opera che dicono:” sia grande davvero”, ma i capricci della moglie regnano sovrani.
Il parallelismo comunque risulta forzato e non aiuta certo lo spettatore, leggendo il libretto di sala, a capire lo spettacolo e il dramma femminile intimo della protagonista dell’opera, schiacciata da una famiglia maschilista assetata di potere, una fanciulla innocente che scopre improvvisamente di non poter avere il futuro che aveva appena iniziato a sognare, anzi ella sarà solo oggetto di scambio per territori da dominare.
In scena un enorme scatolone occupa una piattaforma che si protende verso il proscenio. I cantanti devono destreggiarsi su instabili pezzi di macerie grigie che dalla platea sembrano un cantiere ma sono pietre tombali sparpagliate su tutto il palcoscenico e proiettate anche sullo sfondo. La sfrenata e ossessiva ambizione ha provocato solamente una rovinosa e sanguinosa decadenza della famiglia Asthon, spargendo morte e lapidi ovunque. L’ atmosfera tetra e appesantita da un buio continuo, ostentato, ossessivo – luci di Nevio Cavina – trova dei punti di calore solo in alcuni momenti dello spettacolo, i quali, a sprazzi, dovrebbero illuminare lo spettatore su elementi specifici della trama ma, nel complesso, tutto risulta monocorde, e a tratti noioso. La lunga tavolata dove i potenti maschi Asthon si riuniscono, bevono, brindano, festeggiano, ostentando il loro potere conquistato si contrappone alla pedana posta di fronte, dove Lucia incontra il suo Edgardo, un Ravenswood decaduto e odiatissimo. Un incontro ideale, quando distante ed estranea, racconta alla fidata damigella Alisa, la brava Shay Bloch, l’antica lugubre storia di un Ravenswood che in quello stesso luogo uccise per gelosia la propria amata il cui fantasma, da quel giorno, si aggira inquieto presso la fontana della Sirena, e anche un incontro fisico durante il meraviglioso duetto con l’amato, finale della prima parte dell’opera.
La messa in scena che senza un cast di livello sarebbe risultata un po’ scontata è stata illuminata invece da Gilda Fiume. L’interprete vale tutto lo spettacolo. Diplomatasi in canto nel 2009 al Conservatorio di Salerno con il massimo dei voti e lode, si è perfezionata all’Accademia di Santa Cecilia sotto la guida di Renata Scotto. Dal 2014 è stata allieva di Mariella Devia, e i risultati sono evidenti.
Molti soprani di celebrata carriera e fama hanno interpretato Lucia come una squilibrata che mostra segni di follia sin dall’inizio dell’opera degenerando sempre di più, nell’omicidio e poi nella morte.
Invece, Gilda Fiume in scena non è una povera pazza adolescente che da subito vede fantasmi e vive in preda alle decisioni altrui sognando amori immaginari, promessi e poi svaniti. Puro soprano lirico di coloratura è una bella fanciulla innamorata, ci crede, si ribella al fratello che addirittura tenta di strozzarla, è volitiva, sbatte con forza i pugni sul tavolo, solo quando è posta di fronte alla falsa lettera notiamo in lei un primo barlume di cedimento nella sua mente.
Mortificata in scena da un pesante abito nero, che sicuramente simboleggiava la sua condizione ma purtroppo i costumi della Sartoria Teatrale Farani e Sartoria Fiorentina di Massimo Polper non hanno certo aiutato a focalizzare i personaggi, la protagonista comunque è stata sempre molto elegante e padrona di sé. Per fortuna poi, durante la scena della pazzia, ha potuto recitare aiutandosi con il lunghissimo velo nuziale con cui giocava, si divertiva, si avvolgeva, si proteggeva e poi lo getta via improvvisamente con le mani insanguinate piene di petali di rose rosse che cadono al suolo o vengono lanciati in aria a celebrare le sue nozze immaginarie.
Nel solco delle Lucie soprani lirici d’agilità, elimina ogni drammaticità dal ruolo non giunge, cioè, né come tinte, né come colori, né come tensione vocale a creare una Lucia drammatica e tragica ma dona al personaggio un timbro caldo e consistente, agilità precisissime, sovracuti centrati e timbrati, “presi dall’alto”, soprattutto tenuti con molta eleganza senza strafare o ottenere l’effetto-applauso, facilissimo in Lucia, che avrebbe potuto tranquillamente realizzare vista la perfetta tenuta di fiato.
Tanti applausi per la protagonista dopo la classica e bellissima cadenza col flauto, leggermente variata e per fortuna senza glassarmonica. Gilda Fiume insomma ha donato al pubblico un’onorevole e splendida rappresentazione di Lucia.
Giorgio Berrugi Edgardo, purtroppo anch’egli penalizzato dai costumi, sembrava uno stalliere invece che un nobile Ravenswood, per fortuna la voce ha un bel volume e un colore caldo, il fraseggio generoso come richiesto da un Edgardo di traduzione e l’interprete è stato molto coinvolgente. Pur palesando a volte leggerissimi slittamenti nell’intonazione, il tenore di onorata carriera, ha saputo recuperare l’equilibrio istantaneamente.
Con Ernesto Petti, Lord Enrico Asthon, la natura è stata generosa donandogli voce forte, di bel timbro e ampiezza. In scena ha interpretato un personaggio forse un po’ troppo rude e violento.
Viktor Shevchenko, Raimondo, molto bravo, basso profondo e tuonante ma troppo “biblico” nell’interpretazione, visto il contesto del dramma.
Bravi gli altri comprimari: Giuseppe Infantino Lord Arturo Bucklaw, Cristiano Olivieri Normanno, capo degli armigeri di Ravenswood
Il Direttore d’orchestra, Alessandro D’Agostini guidando una discreta Filarmonica dell’Opera Italiana Bruno Bartoletti ha sicuramente il merito di aver condotto una versione integralissima dell’opera e ha assicurato un’esecuzione puntuale, ma purtroppo il risultato finale, per scelte di ritmo e ricerca di timbri, è stato mancante dell’abbandono romantico d’impronta italiana del primo ottocento richiesto dall’opera, a tratti sembrava di ascoltare un eroico primo Verdi. Non si è notato il giusto amalgama tra palcoscenico e buca dovuto a un’opera apparentemente semplice ma in verità molto complessa.
Successo e applausi per tutti, in particolare per la bravissima protagonista, da parte di un teatro finalmente pieno quasi in ogni ordine di posti.
Renato Olivelli
(5 novembre 2021)
La locandina
Direttore | Alessandro D’Agostini |
Regia | Stefano Vizioli |
Bozzetti originali delle scene | Allen Moyer |
Costumi | Sartoria Teatrale Farani, Sartoria Fiorentina di Massimo Poli |
Luci | Nevio Cavina |
Personaggi e interpreti: | |
Lucia | Gilda Fiume |
Sir Edgardo di Ravenswood | Giorgio Berrugi |
Lord Enrico Asthon | Ernesto Petti |
Raimondo Bidebent | Viktor Shevchenko |
Lord Arturo Bucklaw | Giuseppe Infantino |
Alisa | Shay Bloch |
Normanno | Cristiano Olivieri |
Filarmonica dell’Opera Italiana Bruno Bartoletti | |
Coro Lirico di Modena | |
Maestro del Coro | Stefano Colò |
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