Roma: a Santa Cecilia Olafsson non convince

Venerdì 20 gennaio presso il Parco della Musica di Roma l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia si è esibita nella penultima produzione con il suo direttore musicale, Antonio Pappano. Seconda di tre date che precedono una tournée europea, la produzione doveva prevedere Martha Argerich come solista nel Concerto in Sol di Ravel, prospettiva purtroppo sfumata a causa della cancellazione da parte della pianista argentina. Al suo posto è stato invitato Víkingur Ólafsson, lasciando invariato il programma. Questo prevedeva, prima del Concerto di Ravel, la Prima Sinfonia, la celebre “Sinfonia Classica”, di Prokof’ev e in seconda parte la Quinta Sinfonia di Sibelius. Tre visioni musicali che non a caso hanno dato il titolo “I colori del Novecento” alla produzione.

Procediamo con ordine. La Sinfonia Classica di Prokof’ev è un brano rischioso. Non solo per il virtuosismo richiesto agli orchestrali e per la scrittura tersa che nulla perdona, ma anche perché l’organico contenuto e la sfavillante energia ne fanno da sempre un brano tra i più amati da pubblico e musicisti. Trarre qualcosa di nuovo da un brano inflazionato è una sfida: Pappano la raccoglie e la vince. La sua Sinfonia Classica non si limita a respirare un clima di neoclassicismo incipiente, ma lo rilegge in una visione meccanico-cubista che frammenta i fraseggi, gioca sulle dinamiche in contrasti di volumi quasi pittorici. In generale, Pappano sembra rileggere il capolavoro giovanile di Prokof’ev, scritto quando il compositore abitava ancora in Russia, alla luce degli anni ’20, trascorsi tra Parigi, l’Europa e gli Stati Uniti. Mi permetto poi una piccola annotazione biografica: il concerto a Roma era per me all’indomani del concerto dei Berliner Philharmoniker con Esa-Pekka Salonen (qui la recensione), e un minimo di confronto era inevitabile. L’Accademia romana non può competere per precisione e non poche erano le sbavature negli archi e nelle vorticose parti dei legni, ma la quantità e varietà di dettagli, la freschezza degli slanci e la duttilità degli impasti erano una boccata d’aria, rispetto all’incrollabile solidità berlinese. Si riuscisse a trovare un punto di incontro e unire flessibilità e precisione, l’Accademia non avrebbe veramente nulla da invidiare alle massime orchestre europee.

Per il Concerto in Sol di Ravel, bisogna fare qualche premessa. Quella di Martha Argerich non è un’assenza facilmente colmabile, tanto più quando il concerto in questione è uno di quelli più legati alla pianista. Sapendo questo, ho cercato di analizzare con attenzione l’interpretazione di Ólafsson, senza pregiudizi e senza confronti inevitabilmente sfavorevoli. Nonostante tutte le cautele, però, il parere rimane decisamente negativo. Capolavoro di integrazione tra la scrittura orchestrale e quella pianistica, il Concerto di Ravel alterna gli elementi più meccanicistici con sorprendenti sfumature, in una girandola variopinta e ricchissima di dettagli, che purtroppo non sono arrivati ins ala. Ólafsson è instabile nei passaggi più meccanici, sfoggia a tratti splendide e disinvolte cadenze solistiche, ma manca in generale di solidità, faticando inoltre non solo ad espandere il suono nella complessa acustica della Sala Santa Cecilia, ma proprio a passare sull’orchestra. La ragione è facilmente detta: già altissimo, Ólafsson si siede su un seggiolino molto alto, probabilmente per cercare una presa del suono dall’alto che compensi una tecnica imperniata sull’articolazione del dito, ma senza la necessaria forza. Non scaricando il peso sulla tastiera, il pianista rinuncia ad un reale controllo del tasto, riducendo enormemente la gamma sia timbrica che dinamica. Traducendo, Ólafsson non riesce che a offrire un ventaglio limitato di sfumature e il suono non corre. Ne è l’esempio perfetto il secondo movimento. Partito molto bene, con un bellissimo pianissimo presto sfumato in dinamiche quasi al limite dell’udibile ma sempre pronunciate, con il proseguire del lungo monologo pianistico Ólafsson ha mostrato di non riuscire a distaccarsi dal primo colore, perdendo rapidamente di interesse e non riuscendo a seguire le sfumature che lo svolgersi del tema richiederebbe.

Mi perdoni il lettore per questa lunga analisi, ma il fenomeno Ólafsson e il suo notevole successivo di pubblico meritano qualche approfondimento più generale. L’effetto complessivo all’ascolto del pianista, nei dischi come dal vivo, è di una sostanziale costruzione a tavolino dell’intero congegno sonoro, in una sorta di “gymnopedizzazione” di ogni repertorio, con la finalità di trovare un facile effetto nel pubblico più che di svilupparsi con naturalezza dalla parte musicale. La conferma di questo atteggiamento aprioristico è emersa dai bis, il primo una trascrizione pianistica da una Sonata per organo di Bach e il secondo una Sonata di Cimarosa. Il pianista islandese ha sfoggiato in entrambi i brani lo stesso suono utilizzato per l’Adagio del Concerto di Ravel, con una pedalizzazione soffusa e sparsa a piene mani, la creazione di un mondo sonoro efficace ma artificiale, adatto ad ascolti brevi ma senza contrasti a causa del range timbrico-dinamico, come si diceva, molto limitato. Dalla sua, Ólafsson può vantare sicuramente una certa attitudine al palco, da cui conversa agevolmente con il pubblico, annunciando personalmente tutti i bis e motivandone la scelta. Una pratica che sicuramente può essere adottata da altri grandi interpreti.

In seconda parte, dopo un breve intervento di Pappano volto ad introdurre al pubblico la musica del compositore finlandese, la Quinta Sinfonia di Sibelius ha terminato con efficacia il concerto, pur senza raggiungere il risultato ottenuto con la Sinfonia Classica. Per affrontare la forse più popolare delle Sinfonie di Sibelius (palma contesa alla Seconda), Pappano ha fatto affidamento sulla plasmabilità della compagine, mettendo in rilievo l’innovazione degli impasti anche grazie ad una prova generalmente buona dell’orchestra, nonostante un po’ di quelle imprecisioni sopra menzionate, quale il celebre passaggio dei corni nel terzo movimento. Si poteva comunque raggiungere una maggiore compiutezza nel rendere la complessa e irregolare impalcatura formale della Sinfonia, ma si è trattato comunque di una buona esecuzione, con la giusta carica di entusiasmo necessaria a convincere l’ampio pubblico presente in sala, che ha salutato la sua orchestra con ampi applausi.

Alessandro Tommasi
(20 gennaio 2023)

La locandina

Direttore Antonio Pappano
Pianoforte Víkingur Ólafsson
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Programma:
Sergej Prokofiev 
Sinfonia n. 1 “Classica”
Maurice Ravel
Concerto in Sol
Jean Sibelius
Sinfonia n. 5

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