Roma: al Parco della Musica un Gatti ad alta intensità
Daniele Gatti torna a dirigere l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia con un concerto a forte intensità espressiva: in programma, la sinfonia “Italiana” di Felix Mendelssohn-Bartholdy, in la maggiore n.4 op. 90, composta tra il 1830 e il 1833, dopo l’esperienza del Grand Tour, e poi la Prima Sinfonia di Gustav Mahler in re maggiore, detta “Il Titano”. Sette anni dopo l’esecuzione dell’Italiana di Mendelssohn diretta da Yuri Temirkanov, e cinque anni dopo quella della prima di Mahler diretta da Long Yu, la direzione Gatti, come al solito millimetrica nel gesto e nell’intenzione, dà una lettura filologica rigorosa e però di vibrante espressività.
Dell’opera del musicista berlinese, enfant prodige di una grande famiglia della borghesia ebraica assimilata, che aveva già prodotto un grande pensatore dell’Aufklärung, Gatti restituisce la dimensione originale; quella cioè dell’intellettuale tedesco, che a ventun’ anni visita l’Italia viaggiando in lungo e in largo per nove mesi, curioso di conoscere un paese di cultura millenaria, più che attratto dalla gozzoviglia dei costumi, e dunque interessato a trasfonderne il patrimonio artistico nella tradizione musicale a lui più congeniale. Ecco allora che Gatti espunge dalla sua esecuzione dell’”Italiana” di Mendelssohn i toni apparentemente folkloristici, corregge la presunta levità solare e la superficialità mediterranea della partitura, per liberarne la serietà solenne e di stampo tedesco. Così per esempio, in uno dei passaggi più riusciti, Gatti con l’abituale sua maestria che implica l’estrema economia del gesto, l’eleganza coreografica, la precisione chirurgica dell’intenzione affidata a un mero accenno, vuoi nella rotazione del polso vuoi nel semplice giro di un dito, infila al punto giusto tutti i pianissimo alla fine del secondo movimento, quasi a inseguire le emozioni recondite e i sentimenti più insondabili di una partitura classica, che pur improntata a una forte disciplina formale, respira del pieno romanticismo.
In questa attenzione spasmodica all’ispirazione originale di Mendelssohn, ecco che il Saltarello del quarto movimento perde l’allegria svagata della danza popolare, per acquisire un’intensità diversa, con lo scavo nell’antica ascendenza aristocratica, sino a tradurne il risvolto drammatico in un colore più scuro, a volte persino cupo.
Altrettanto grande l’acribia nella direzione della Prima Sinfonia che Mahler iniziò a comporre a 24 anni, nel 1884, e continuò a lavorarci per anni, fino al debutto nel 1888 a Budapest e poi al fiasco del 1894 a Weimar. “La mia sinfonia è stata ricevuta con un misto di furibonda disapprovazione e di applausi sfrenati (…). È divertente sentire il contrasto di opinioni per strada e nei salotti” scrisse Mahler. “Quando i cani abbaiano è segno che siamo in sella!”, concluse senza scomporsi il compositore boemo, salvo continuare a modificare l’opera, eliminando l’Andante del secondo movimento, riducendola a quattro tempi e dandole un’orchestrazione molto più ampia, per rappresentare le tante reminiscenze, le citazioni, alle esaltazioni, alle parodie e alle evocazioni che costellano questa sorta di ideale autobiografia in forma sinfonica.
Notevolissima la resa dei maestri di Santa Cecilia, con la sospensione dei suoni della natura, che a metà del primo movimento sembra quasi rarefarsi sino a distillare il colore stesso del silenzio. L’emozione dello spettacolo dal vivo permette di seguire Gatti mentre entra senza sforzo in dialogo con tutti gli orchestrali, mantenendolo costante col semplice accennare per ognuno di loro a un gesto infinitesimale, a un movimento impercettibile, e però sempre efficacissimo, come quello riservato ai violini alla fine del secondo movimento. Il ritmo del concerto può risultare spezzato, concitato, legato, sospeso, interrotto e continuamente ripreso come il succedersi delle immagini di un sogno. Ma la vera sorpresa oltre il governo impeccabile della grande orchestra su ogni singola nota, sta nella naturalezza del risultato e nel suo prodigio, per esempio nell’eco delle danza boema del quarto movimento, quando l’ultima tempesta si traduce in una pioggia di lampi e fulmini, o nel suono del clarinetto che alla fine dell’ultimo movimento sembra spuntare fuori dal nulla, per rasserenare il tutto, prima che la stretta energica si imponga su trionfo finale, gonfio di ottoni.
Marina Valensise
(24 febbraio 2022)
La locandina
Direttore | Daniele Gatti |
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia | |
Programma: | |
Felix Mendelssohn-Bartholdy | |
Sinfonia n.4 in la maggiore, op.90 “Italiana” | |
Gustav Mahler | |
Sinfonia n.1 in re maggiore “Il Titano” |
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