Roma: Anna Bolena con uno sguardo a Rossini
Successo generale con qualche “buh” sparso per la regia al Teatro dell’Opera di Roma per Anna Bolena di Gaetano Donizetti.
Titolo molto amato dagli appassionati del belcanto, assente da quarant’anni dal palcoscenico del Costanzi dove era stato rappresentato solo altre due volte, nel 1977 per la direzione di Gabriele Ferro e la regia di Filippo Crivelli con la regina delle regine donizettiane Leyla Gencer e due anni dopo con Katia Ricciarelli sotto la direzione di Nino Sanzogno.
Nel nuovo allestimento, una coproduzione con Lithuanian National Opera and Ballet Theatre, le scene sono di Luigi Ferrigno da un’idea di Sergio Tramonti, i costumi di Ursula Patzak e le luci di Enrico Bagnoli con la regia di Andrea De Rosa.
Un team nutrito per uno spettacolo minimalista che nella prima parte strizza l’occhio agli sceneggiati tv sui Tudor per poi concentrare l’azione in uno spazio claustrofobico al centro della scena che da camera da letto si trasforma in prigione.
Peccato che lo spirito dell’opera sia stato così travisato, specie nella rappresentazione di Enrico VIII che da personaggio subdolo e di sottile perfidia si trasforma nel solito “vilain” da melodramma dell’Ottocento
Donizetti, trentatreenne all’epoca, fu scritturato, assieme al “rivale” Vincenzo Bellini dal responsabile del Teatro Carcano di Milano, per inaugurare la Stagione di Carnevale 1830-1831: l’impresario seppe sfruttare in questo modo la competizione all’eredità rossiniana tra i due giovani compositori per farsi ottima pubblicità e surclassare in termini economici la più famosa stagione della Scala.
Sia Donizetti sia Bellini usufruirono dello stesso librettista, il ben noto Felice Romani, e di due stelle dell’epoca Giuditta Pasta e Giovanni Battista Rubini. La stagione del Carcano tenne perciò a battesimo due delle maggiori opere del belcanto italiano: a dicembre 1830, l’Anna Bolena di Donizetti e, a marzo 1831, La sonnambula di Bellini.
Dopo il fortunato debutto, nel corso dei decenni l’opera uscì di repertorio, tanto che dal 1877 non fu più eseguita alla Scala. Vi tornò trionfalmente nel 1957, diretta da Gianandrea Gavazzeni, in una versione moto abbreviata ma per la regia di Luchino Visconti e con un cast straordinario che comprendeva Maria Callas, Giulietta Simionato, Nicola Rossi-Lemeni e Gianni Raimondi.
Da allora Anna Bolena è tornata pian piano con una certa frequenza sulle scene italiane prima e internazionali poi.
La particolarità dell’esecuzione romana, diretta da Riccardo Frizza che del Donizetti Festival di Bergamo è il direttore musicale, risiede nella sua integrità.
Finalmente ascoltiamo tutta la musica che Donizetti scrisse per la tragedia lirica in due atti che Felice Romani desume da diverse fonti letterarie, ossia l’Anna Bolena di Alessandro Pepoli (Venezia 1788), l’Enrico VIII ossia Anna Bolena di Ippolito Pindemonte (Torino 1816), che a sua volta costituisce poco più che una traduzione dell’Henri VIII di Marie-Joseph Chénier (Parigi 1791).
Della trilogia Tudor donizettiana, però, Anna Bolena è forse l’opera che tocca i vertici più alti sotto il profilo musicale e melodico, ma è la meno risolta drammaturgicamente.
Non supportata da una regia adeguata la versione integrale ha finito per sottolineare questa peculiarità dell’opera, anche perché del Donizetti trentatreenne che scrive Anna Bolena, Frizza sembra interessato più a porre in evidenza il legame con Rossini e con il melodramma italiano che lo precede che non le grandi aperture al romanticismo nascente.
Detto questo, Anna Bolena è soprattutto un’opera di belcanto e senza poter rivaleggiare con la compagnia della Scala anni Cinquanta il cast proposto dal Costanzi era quanto di meglio oggi offre il mercato operistico.
Così Maria Agresta, intensa e musicale nei brani di maggiore lirismo, è una regina in gran parte convincente anche se arriva al finale un po’ provata e non sempre è in grado di restituire come si deve la parola scenica.
Carmela Remigio che da Anna Bolena passa al personaggio della rivale Giovanna Seymour lo risolve con grinta, anche se i mezzi vocali non hanno più la freschezza dei giorni migliori ma se la vocalità non è perfettamente adeguata la musicalità è a prova di bomba.
René Barbera in Percy canta tutte o quasi tutte le note, acutissime, che Donizetti concepì per il divo dei sopracuti Rubini ma è scenicamente poco credibile, mentre Alex Esposito ha dalla sua un forte talento attoriale di cui la regia sfrutta in minima parte le potenzialità e compensa con esso i limiti di una vocalità nata per altro genere di repertorio.
Lo Smeton di Martina Belli è scenicamente accattivante ma confuso nella dizione e non sempre a posto con l’intonazione.
La compagnia è completata con molta dignità da Andrii Ganchuk del progetto “Fabbrica” Young Artist Programm del Teatro dell’Opera di Roma che è Lord Rochefort fratello della protagonista e dal Sir Hervey di Nicola Pamio oltre che dal magnifico coro stabile del Teatro dell’Opera preparato a dovere da Roberto Gabbiani.
Al termine della lunga serata applausi convinti a tutti gli artefici, tranne come s’è detto al regista e ai suoi collaboratori. La prima è stata trasmessa in diretta su Rai Radio3.
Rino Alessi
(20 febbraio 2019)
La locandina
Direttore | Riccardo Frizza |
Regia | Andrea De Rosa |
Scene | Luigi Ferrigno da un’idea di Sergio Tramonti |
Costumi | Ursula Patzak |
Luci | Enrico Bagnoli |
Enrico VIII | Alex Esposito |
Anna Bolena | Maria Agresta |
Giovanna Seymour | Carmela Remigio |
Riccardo Percy | René Barbera |
Smeton | Martina Belli |
Sir Hervey | Nicola Pamio |
Lord Rochefort | Andrii Ganchuk |
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma | |
Mestro del coro | Roberto Gabbiani |
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