Roma: Elektra si addice a Pappano

Il direttore dell’Orchestra nazionale di Santa Cecilia, Antonio Pappano ha scelto l’Elektra, capolavoro di Richard Strauss per inaugurare la stagione sinfonica 2022. Per la la sua ultima stagione, dopo diciotto anni  alla guida di Santa Cecilia, Pappano ha voluto affrontare una sfida, e l’ha stravinta sia sul piano dell’orchestra, sia sul piano delle voci, eseguendo per la prima volta, e in forma di concerto, l’atto unico che Strauss presentò nel 1909 al Königliches Opernhaus di Dresda, e che compose ispirandosi  alla tragedia  di Sofocle e alla riduzione teatrale vista a Berlino nel 1903, riscritta dal poeta e drammaturgo austriaco Hugo von Hofmansthal, al quale chiese d il libretto per il suo secondo dramma musicale dopo il successo della Salome.

Al Parco della Musica Ennio Morricone, infatti, chi ha seguito la prima dell’Elektra d il 18 ottobre scorso, ha potuto apprezzare la perfetta drammaturgia di questo capolavoro del Novecento esaltata dalla forma concerto. Con la sua direzione appassionata e meticolosa, Pappano, che a detta degli stessi interpreti ha preteso un numero di prove esorbitante, molto più alto di quelle abitualmente richieste da un teatro d’opera, è riuscito a restituire l’essenza di quest’opera di Strauss, permettendo al pubblico di concentrarsi sulle sole note, sugli accordi, sulle strabilianti voci, mai soverchiate dell’orchestra, e sulla sulla  poesia del libretto di Hoffmanstahl.

E infatti si è potuto seguire il racconto in musica dell’antica tragedia degli Atridi, senza subire le distrazioni da palcoscenico dettate dalle scenografie, dai movimenti scenici, dalle coreografie, dagli orpelli e spesso dalle provocazioni, come i ganci da macelleria di alcune recenti regie. All’Auditorium di Roma  c’era spazio solo per l’Orchestra di Santa Cecilia, una massa imponente di più di cento eccellenti strumentisti, maestri nel suono di una partitura complessa  concepita da un genio eclettico, padrone della tecnica e della duttilità richiesta dal passaggio senza soluzione di continuità dalle linee melodiche del tardo romanticismo, come l’evocazione sinfonica di Malher, a certi picchi di espressionismo feroce,   dissonante e barbaro, come la tragedia di Sofocle ripresa da Hofmannstahl.

Elektra, dal greco Alektra, alpha privativo e lektron, cioè senza letto, senza talamo, dunque condannata al nubilato, è la tragedia della vendetta famigliare che si consuma in un inarrestabile scia di sangue nella stirpe degli Atridi, i discendenti da Atreo, re di Argo. Dal sacrificio di Ifigenia perpetrato da Agamennone all’assassinio di quest’ultimo al suo ritorno vittorioso da Troia per mano della moglie Clitennestra , e del di lei amante Egisto,  all’assassinio di Clitennestra voluto dalla figlia Elektra  per vendicare il padre, e compiuto per mano di Oreste, il fratello dato per morto che invece torna a casa e viene riconosciuto da Elektra, durante la scena dell’anagnoresis, e ha la missione di liberare il trono dall’usurpatore Egisto, cugino di Agamennone, in quanto figlio Tieste, e unico sopravvissuto alla strage perpetrata da Atreo, che fece a pezzi i nipoti per servirli arrostiti all’ignaro fratello Tieste.

Del mito greco Hofmansthal riprende la durezza inesorabile, i tormenti dell’animo soggetto al fato padrone dei destini, ma la immerge nella cultura del suo tempo, dilatando nella psiche il dissidio classico tra l’umano e il divino attraverso la dimensione inconscia che, sino a farlo lacerare da pulsioni nevrotiche devastanti. Così, l’aspetto sconcertante e maestoso di questa tragedia del primo Novecento sta nel riverbero tra il suono e le parole, nella corrispondenza, che di per sé si fa scena, tra la potenza degli accordi e la forza di un testo che scarnifica il dramma classico, epurandolo, diradando, sino a mostrarne il nucleo tragico e ultra contemporaneo della nevrosi, dell’isteria, di una manipolazione sfrenata ma cieca a se stessa, prima di diventare ferale per sé e per gli altri.

Sin dalle prime quattro note iniziali che costituiscono il tema ossessivo di una tragedia moderna, che a differenza del dramma classico è priva di prologo, non ha ouverture, Pappano dà prova di un prodigioso sforzo per tenere insieme e in perfetto equilibrio le voci e l’orchestra, coi suoi tempi che variano di continuo, si contraggono, si dilatano come nel dialogo tra madre e figlia, quando Clitennestra   racconta i suoi sogni e Elektra le rivela che potrà uscirne solo immolando se stessa. Tempi violenti e solenni, che vengono rincorsi quando si fanno sincopati e allentati quando diventano estenuanti, ma senza mai mollare la presa. Lo stesso accade nella direzione delle  voci, coi loro timbri mutevoli e intricati, ora aguzzi, ora deliranti, ora languidi, ora sinuosi, mentre il testo di Hofmannsthal respira di una sconcertante modernità con le sue metafore triviali, il gatto selvatico che soffia via i mosconi; con le  allucinazioni di Elektra che rivede il padre  per riviverne la morte, scannato nel bagno,  e gridare vendetta; con la mestizia di Crisotemide, la sorella minore che   assetata di vita  invoca pietà per ché sogna solo un destino di donna; con gli incubi della madre che chiede aiuto alla figlia e attraverso le sue parole vede la propria fine;  e  poi col grido di Clitennestra fuori scena mentre cade sotto i colpi di Oreste, e l’estasi finale del delirio con cui Elettra  dissolve la sua follia dopo la vendetta.

Magistrale nel ruolo del titolo il soprano lituano Aušriné Stundyté, che ha confermato coi suoi acuti furiosi e spezzati il successo di due anni fa al Festival di Salisburgo e dell’anno scorso alla Staatsoper di Amburgo. Intensa l’interpretazione del soprano svedese Elisabet Strid che ha cantato con timbri caldi e vibranti lo struggimento di Crisotemide, riluttante alla vendetta.  Convincente e molto straniante come nel teatro espressionista la prova del mezzosoprano wagneriano Petra Lang al suo debutto nel ruolo di Clitennestra. Ottima la performance delle cinque ancelle, con la loro comicità involontaria di attrici della trivialità della vita quotidiana. Da segnalare l’Oreste denso e bruno del basso baritono lituano Kostas Smoriginas e la compattezza dell’italiano Nicolò Donini nel ruolo del suo precettore.

Marina Valensise
(18 ottobre 2022)

La locandina

Direttore Antonio Pappano
Personaggi e interpreti:
Elettra Ausrine Stundyte
Crisotemide Elisabet Strid
Clitennestra Petra Lang
Egisto Neal Cooper
Oreste Kostas Smoriginas
Il prcettore di Oreste Nicolò Donini
Prima Ancella Ariana Lucas
Seconda Ancella Anne Schuldt
Terza Ancella Monika-Evelin Liiv
Quarta Ancella Katrin Adel
Quinta Ancella Alexandra Lowe
Un servo giovane Leonardo Cortellazzi
Un servo anziano Andrea D’Amelio
La sorvegliante Maura Menghini
La confidente Marta Vulpi
L’ancella dello strascico Bruna Tredicine
Sei serve Cristina Cappellini, Sara Fiorentini, Antonella Capurso, Roberta De Nicola, Federica Paganini, Tiziana
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia

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