Roma: il Costanzi celebra Puccini col Trittico ricomposto

Nel primo centenario della morte di Giacomo Puccini, il Teatro dell’Opera di Roma ha avviato una collaborazione col Festival di Torre del Lago per realizzare un nuovo progetto. Propone infatti il Trittico scomposto. Nei prossimi tre anni, anziché rappresentare l’insieme dei tre atti unici di Puccini, Tabarro, Gianni Schicchi e Suor Angelica, con cui il compositore toscano volle rinnovare il linguaggio del melodramma dopo la scossa tellurica d’inizio XX secolo, manderà in scena ciascuno dei tre atti in accoppiata con un’opera del Novecento che risponda allo stesso tema. Fortemente voluto dal direttore musicale dell’Opera di Roma, Michele Mariotti e dal compositore Giorgio Battistelli, direttore del Festival di Torre del Lago, il progetto è un modo originale di scandagliare la modernità dell’opera di Puccini attraverso il riverbero con altri capolavori del Novecento. E così, per il primo esperimento riuscitissimo, il 6 aprile al Teatro Costanzi di Roma è andato in scena Il Tabarro seguito da Il castello del principe Barbablù di Béla Bartók, l’unica opera del compositore ungherese composta nel 1911 su libretto di Béla Balázs per l’Accademia di belle arti ungherese, e rifiutata in quanto ineseguibile e incantabile, per poi essere rappresentata per la prima volta al Teatro dell’Opera di Budapest grazie al direttore italiano Egisto Tango, nello stesso 1918, anno del debutto del Tabarro al Metropolitan di New York, e dopo la breve stagione comunista della Repubblica dei Consigli, finire poi sotto la censura del regime del Maresciallo Horthy.  L’anno prossimo il secondo dittico vedrà l’abbinata di Gianni Schicchi e di L’Heure espagnole di Maurice Ravel, un’altra commedia cinica, surreale, che debuttò nel 1911 all’Opéra Comique di Parigi. Infine, il terzo dittico sarà formato da Suor Angelica e da Il prigioniero di Luigi Dallapiccola, l’opera del 1949 che esordì in forma scenica nel 1950 al Maggio musicale fiorentino.

A Roma, dunque, il primo dittico del trittico ricomposto ha offerto la dimostrazione di una felice connubio tra il rigore analitico e la forza della sperimentazione. Con mano sicura, Michele Mariotti ha diretto l’Orchestra dell’Opera del Teatro Costanzi, cesellando le singole componenti della partitura, esaltando le sfumature di un’orchestrazione ricchissima che respira l’influenza di Debussy, ma anche l’estro creativo di Stravinskij, Ravel, Alban Berg, e persino di Gershwin, con inserti e autocitazioni pucciniane tratte dalla Bohème di vent’anni prima, che riecheggia quando per esempio s’intona la canzone di Mimì.

Intenso e convincente il baritono verdiano Luca Salsi   nella presa del ruolo pucciniano nelle vesti di Michele, il marito tradito, il padre disperato per la morte del figlioletto, l’amante perduto. Al meglio della sua musicalità, il soprano Maria Agresta si è mostrata padrona della tecnica   e sicura come presenza scenica nel ruolo di Giorgetta, la moglie fedifraga, offrendo punte di vibrante emozione  nel famoso duetto, in cui ricorda al marito la  felicità di un tempo, svanita con la scomparsa del figlioletto.  Gregory Kunde, da tenore drammatico, ha dato un’interpretazione superlativa di Luigi, l’amante appassionato, lo scaricatore pronto a tutto, persino a tirar fuori il coltello, pur di affermare la violenza del suo desiderio.

Unica incongruenza, la scelta del regista Johannes Enrath di far sfilare a marcia indietro i barcaioli, prima con una sedia in mano, poi col tabarro trasformato in enorme rotolo di stoffa bianco e nero, quasi a riavvolgere il passato per riportarlo in vita. Poco plausibile anche l’entrata in scena tre inservienti in uniforme con gli attrezzi delle pulizie, mentre marito e moglie si confrontano nel duetto più tremendo del Trittico, seguito dalla desolazione di Michele, che insulta la “sgualdrina” quando si rende conto del tradimento, e invasato dalla gelosia accoltella il rivale, mentre il paesaggio fluviale sullo sfondo prende le tinte fosche di un incubo, e lascia emergere dall’acqua il volto sfigurato del morto,  con un’altra licenza poetica rispetto al libretto di Adami, in cui tabarro di Michele serve a nascondere il corpo dell’amante di Giorgetta, finché lei non  lo scopre.

A imporre la doppia lettura di Enrath è l’incomunicabilità della coppia e il dramma della violenza che scoppia tra un uomo e una donna che non riescono più a trovarsi, prigionieri dell’impossibilità di amare.

Lo stesso tema corre nell’opera di Béla Bartók, che rielabora l’antica leggenda di Barbablù su libretto di Béla Balázs. Ed è interessante notare come l’abbinamento tra due partiture apparentemente lontane avvenga in nome del verismo che cede al simbolismo, e del fantastico che scivola nel verismo. Rispetto al Tabarro, la regia del Barbalù sembra più plausibile, con l’enorme impalcatura mobile, e sul fondale le grandi tende in movimento, come ampie velature esposte al vento, e il gioco di fumo e di luci che scandiscono l’ansia di Judit, il lavorio dell’inconscio, e i tempi dell’inchiesta di questa donna curiosa di sapere, di capire, di scoprire il segreto di Barbablù e il mistero del castello dalle sette porte nere sbarrate. Anche qui la coppia soffre di incomunicabilità, con lei che insiste, e cerca di capire, e lui che le resiste, geloso del suo giardino segreto, fino a blandire, schivare e deviare le richieste di lei. Ottima la direzione di Mariotti, che sensibile al “un sismogramma di psicologie antitetiche” guida l’orchestra dentro gli studiatissimi percorsi armonici di Bartok. Grande prova del russo Mikhail Petrenko nella parte di Barbablù, con la sua tessitura calda, brunita, intensa, mentre cede all’insistenza di Judit, spalancandole le sette porte, fino alla porta del lago di lacrime, con i glissandi di arpe, clarinetti che esprimono la gelida immobilità del pianto.  Altrettanto convincente l’interpretazione dell’ungherese Szilvia Vörös, in grado di restituire tutte le gamme della curiosità di Judit, dal sospetto alla sorpresa, passando per lo stupore sino allo sgomento finale, quando l’apertura della settimana porta si conclude nel dolore dell’incomunicabilità e della distanza incolmabile tra i due.

Marina Valensise
(6 aprile 2023)

La locandina

Direttore Michele Mariotti
Regia Johannes Erath
Scene Katrin Connan
Costumi Noëlle Blancpain
Light designer Alessandro Carletti
Video Bibi Abel
Personaggi e interpreti:
Il Tabarro
Michele Luca Salsi
Luigi Gregory Kunde
Giorgetta Maria Agresta
Il Tinca Didier Pieri
Il Talpa Roberto Lorenzi
La Frugola Enkelejda Shkoza
Un venditore di canzonette Marco Miglietta
Due amanti  Valentina Gargano, Eduardo Niave
Il castello del Principe Barbablù  
Judit Szilvia Vörös
Barbablù Mikhail Petrenko
Orchestra e coro del teatro dell’Opera di Roma
Maestro del coro Ciro Visco

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