Roma: il ritorno dell’Elisir “circense”
Doppio debutto applauditissimo al Teatro dell’Opera di Roma con l’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti per il soprano Aleksandra Kurzak e per il direttore Francesco Lanzillotta. E solo questo vale la ripresa dopo più di due lustri dell’allestimento di questo melodramma giocoso in due atti di Donizetti, su libretto di Felice Romani, messo in scena nel 2011 dal regista e scrittore Ruggero Cappuccio. Oggi come allora, rivivono al Costanzi le scene di Nicola Rubertelli col rilievo di un borgo di montagna stilizzato sul fondale, che si tinge dei colori pastello grazie alle luci cangianti di Vinicio Cheli, mentre contadini e contadinelle di quel borgo forse dei Paesi Baschi forse delle colline toscane, vestiti negli abiti bianchi intarsiati di rosso e arancione di Carlo Poggioli saltando sui tavoli e accalcandosi senza troppa convinzione sulle gradinate del proscenio. L’arrivo di Dulcamara, uno strepitoso Simone del Savio, che spunta fuori dalla tenda mobile del piazzista sciamano imbonitore piegato in due sulle ginocchia come se fosse un nano, e poi s’alza con uno scatto per raggiungere la sua statura normale, aggiunge la sorpresa all’allegria. E forse è una delle poche trovare riuscita di una regia che non sempre (vuoi perché troppo ricca di acrobati, acrobazie, circensi, e danzatori, fino all’invadenza, vuoi perché troppo povera di sicurezza nella direzione dei movimenti) sembra sposare la magia in sé della partitura di Donizetti.
E così per esempio il coro, perfettamente diretto da Ciro Visco, appare spesso come una massa statica, quasi immobile in attesa di istruzioni, praticamente impermeabile allo sviluppo drammaturgico del testo. E per fare un altro esempio, la giovane danzatrice e acrobata s’arrampica imperterrita lungo una fune di seta sospesa dal soffitto, e se l‘attorciglia intorno al busto, alle gambe, ai piedi, mentre il povero Nemorino, l’innamorato infelice, avendo scoperto che la sua amata Adina, promessa al soldato Belcore, forse nei suoi confronti ha cambiato idea, intona l’aria più bella che esista nel melodramma italiano. A nulla vale lo splendido bis di “Una furtiva lacrima” che John Osborn, in forma smagliante ha regalato al pubblico romano rispondendo ai suoi applausi torrenziali Anche lì, la speranza che l’acrobata se ne restasse tranquilla, acquattata dietro la fune di seta è svanita subito, nuocendo alla concentrazione e alla magia dell’opera.
E comunque il punto forte dello spettacolo romano sta nelle voci superbe dei cantanti, la Kurzak intensa, credibile, volubile, Osborn sempre giovane come se il tempo non toccasse le corde vocali, Alessio Arduini, tronfio e vanesio, ma convincente, Simone Del Savio, possente, e la Giannetta mirabile di Giulia Mazzola: insomma tutti perfetti, maestri della tecnica, padroni degli attacchi, degli acuti, delle variazioni, sempre connessi all’orchestra grazie al sapiente controllo e alle imboccate di Lanzillotta, al suo esordio al Costanzi, ma attentissimo al tessuto orchestrale in buca e a seguire sul palco il respiro dei cantanti.
Romano, compositore in proprio, un importante apprendistato in Bulgaria come principale direttore ospite dell’orchestra del Teatro dell’Opera di Varna, Lanzillotta, conosce a menadito la partitura di Donizetti (sua la direzione dello stesso Osborn nell’Elisir del 2018 messo in scena allo Sferisterio di Macerata per la regia del grande Damiano Michieletto) ha impeccabilmente guidato l’Orchestra dell’Opera di Roma nell’esecuzione della partitura presentata finalmente in forma completa, senza i tagli, senza le amputazioni delle riprese delle cabalette. Ed è riuscito cosi non solo a esaltare il fortissimo collegamento tra le note del compositore e le parole del librettista Felice Romani, ma anche a restituire tutte le soluzioni armoniche inventate da Donizetti, come quelle nel concertato del secondo atto, con le loro modulazioni inaspettate che suonavano ardite per il 1832, e risultano oggi strabilianti per le anticipazioni che rappresentano.
D’altra parte, era facile da aspettarsi tanta acribia da parte di un musicista esperto e generoso come Francesco Lanzillotta. Non tutti sanno che col baritono Bruno Taddia, anni fa a Isola Liri ha fondato “Operando”, un corso per fare lavorare insieme cantanti e direttori d’orchestra sull’analisi interpretativa del repertorio, non solo italiano. Inoltre, Lanzillotta unisce alla didattica la passione per la composizione, al punto da curare col regista Olivier Fredji un progetto innovativo per il Théatre de la Monnaie di Bruxelles, dove in primavera andrà in scena Bastarda! 1 (Pasticcio), uno spettacolo in due serate, che racconta come una serie di Netflix la vita di Elisabetta I, attraverso le quattro opere di Donizetti sulle regine (Anna Bolena, Maria Stuarda, Roberto Devereux, e Il castello di Kenilworth), riprendendo lo stile donizettiano per i dialoghi parlati e aggiungendo il suo stile di compositore contemporaneo.
Marina Valensise
(11 gennaio 2022)
La locandina
Direttore | Francesco Lanzillotta |
Regia | Ruggero Cappuccio |
Scene | Nicola Rubertelli |
Costumi | Carlo Poggioli |
Luci | Vinicio Cheli |
Personaggi e interpreti: | |
Adina | Aleksandra Kurzak |
Nemorino | John Osborn |
Belcore | Alessio Arduini |
Dulcamara | Simone Del Savio |
Giannetta | Giulia Mazzola |
Orchestra e coro del Teatro dell’opera di Roma |
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