Roma: incanto Argerich

Quando si parla di Beethoven, è molto difficile poter aggiungere qualcosa di nuovo sia in relazione all’immensa letteratura che gli è stata dedicata sia rispetto alle grandi interpretazioni che ci hanno lasciato nel tempo una vasta eredità di soluzioni realizzative, anche molto contrastanti tra di loro. La figura del maestro di Bonn è diventata un mito culturale, caricato di molteplici significati fino a diventare il paradigma del genio per eccellenza.

La grandezza della sua arte prende forma a cavallo tra il periodo del classicismo musicale e la nascente corrente romantica, che cominciava pian piano a conquistare l’Europa nei primi decenni dell’Ottocento, facendo in qualche modo coesistere due mondi stilistici sintetizzati nella sua personalità artistica. Questa doppia natura, probabilmente, ha dato adito spesso a diverse letture delle sue opere; talvolta la tendenza è quella di esaltare la sua musica attraverso una lente di chiara matrice romantica, espressione di quel sentimentalismo quasi esasperato e ricco di contrasti forti e ardenti passioni che ben ne caratterizzano lo spirito; una chiave interpretativa che, prendendo in prestito le parole di Nietzsche, potrebbe essere definita “dionisiaca”.

A questa, si contrappone una visione interpretativa che non dimentica la radice essenzialmente classica della scrittura di Beethoven e che ne valorizza la simmetria nella costruzione della forma e la chiarezza della struttura. Chi decide di intraprendere questa via sembra voler far emergere la razionalità del suo genio compositivo nel quale le passioni non vengono certo tralasciate ma sono filtrate dalla ragione che le trasfigura e cristallizza in una forma ideale di armonia e grazia. Questa scelta restituisce spesso musica dal sapore “illuminista”.

A questo secondo genere appartiene certamente la lettura di Lahav Shani che dirige Marta Argerich nel Concerto n. 2 in Si bemolle maggiore seguito dalla Sinfonia n. 9 in Re minore di Ludwig van Beethoven insieme all’Orchestra e al Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. In entrambe le partiture, Shani conduce l’orchestra attraverso sezioni dove i contrasti sono ben bilanciati e il fraseggio è sempre rivolto verso la massima chiarezza espositiva.

Nel Concerto n. 2, Martha Argerich incanta.  Incredibile la sua capacità di avere sempre un suono brillante e perlato che non rinuncia mai alla delicatezza e all’espressività, rinnovando lo stupore nell’ascolto a ogni occasione. I numerosi passaggi virtuosistici sono affrontati con una combinazione di energia e precisione e, vibrando per tutta la sala, trasmettono un senso di raffinata leggerezza. Orchestra e solista interagiscono con equilibrio impeccabile: Shani dosa magistralmente le dinamiche senza mai sopraffare il pianoforte, ma prolungandone l’impalpabile scia sonora. La cantabilità dello strumento solista risalta nel secondo movimento, Adagio, nel quale Argerich dimostra ancora la sua intensità espressiva con grande garbo ed eleganza. Brio e gradevolezza segnano il passo nell’ultimo movimento, Rondò Molto Allegro, che inevitabilmente porta a un’ovazione del pubblico. Regalando un clima d’incanto fuori programma, Argerich e Shani siedono entrambi al pianoforte e interpretano Le jardin féerique tratto da Ma Mère l’Oye di Maurice Ravel.

Ciascuno dei movimenti della Nona Sinfonia ha una sua dimensione e dignità iconiche per le quali nessuna cronaca, probabilmente, riuscirebbe a essere davvero esaustiva. Si può tuttavia riportare un’impressione globale che denota una certa valorizzazione della pulsazione ritmica e dell’incedere in avanti tra le parti strumentali, quasi che fosse comparso all’improvviso lo spirito della Settima Sinfonia.

L’ultimo movimento, in cui coro e solisti – Chen Reiss, Okka von der Damerau, Siyabonga Maqungo, Giorgi Manoshvili – intonano la celebre ode di Friedrich Schiller, presenta una scrittura vocale particolarmente impervia. La tessitura è ardua e di carattere prettamente strumentale, risultando poco adatta alla vocalità tradizionale. Tuttavia, il fraseggio di Lahav Shani si dimostra incredibilmente efficace: non tralascia gli appoggi musicali nelle voci e nell’orchestra, rendendo l’esecuzione degna della nobiltà e della grandiosità dello stile beethoveniano.

Elisabetta Braga
(14 giugno 2024)

La locandina

Direttore Lahav Shani
Pianoforte Martha Argerich
Soprano Chen Reiss
Mezzosoprano Okka von der Damerau
Tenore  Siyabonga Maqungo
Basso Giorgi Manoshvili
Orchestra e coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Maestro del coro Andrea Secchi
Programma:
Ludwig van BeethovenBeethoven
Concerto per pianoforte n. 2 in Si bemolle maggiore
Sinfonia n. 9  in Re minore

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