Roma: la Traviata si fa cinema
Violetta muore sola, a proscenio. Deserti il podio e la buca dell’orchestra, vuota – salvo poche sedie rovesciate – e livida la sala del Teatro Costanzi, l’Opera di Roma. E pazienza se musica ce n’è e secondo il libretto intorno alla morente ci sono – disperati – i maggiori protagonisti dell’opera, che qualcosa dicono e cantano. Le loro voci si sentono, beninteso, così come si sentono i terrei accordi conclusivi, quasi strappati, sui quali di norma cala tela. Ma questo spettacolo, La Traviata di Verdi a firma di Mario Martone e Daniele Gatti, molto attesa, molto annunciata e fin troppo “rivelata” anzitempo, non nasce in tempi normali. Così non scende alcun sipario e sui titoli di coda si assiste invece, in un silenzio rotto solo dal ronzio dei motori elettrici e da qualche tintinnio di cristalli smossi, alla risalita del monumentale lampadario della sala in precedenza in qualche momento abbassato, ma che basso non era durante la scena conclusiva. Metafora forse di un auspicato ritorno alla normalità, metafora accentuata dalla voluta sottolineatura in sovrascritta di quando è avvenuta la lavorazione: febbraio 2021. Nel mezzo della terza ondata epidemica.
A un anno abbondante dall’inizio dell’emergenza, l’Opera di Roma guidata da Carlo Fuortes si conferma la Fondazione lirica più creativa e probabilmente anche più attiva in Italia, avendo realizzato iniziative peculiari e notevoli come il Rigoletto di Michieletto al Circo Massimo e il Barbiere di Siviglia con la regia dello stesso Martone nello scorso autunno (qui la recensione). Con questa Traviata si voleva replicare evidentemente quella sicura e innovativa riuscita, un vero e proprio exploit nel quale il linguaggio cinematografico aveva creato un inedito dialogo con quello teatrale, ampliando le prospettive drammaturgiche senza snaturarle e “raccontando” lo spazio teatrale con vivacità e immediatezza. Ma l’operazione non è riuscita che in parte. In quest’occasione, infatti, Martone ha adottato un linguaggio quasi esclusivamente cinematografico, realizzando un pur notevole esemplare di film-opera, non più un’opera-film com’era avvenuto con il Barbiere. Un film girato in “location” al Costanzi, insomma, che in vari casi rivela le suture del montaggio. Avviene nella citata scena finale, quando Alfredo sparisce dall’inquadratura dopo essere stato fino a un attimo prima accanto a Violetta; avviene anche nel finale del primo atto, quando la grande scena della protagonista inizia nella platea svuotata dalle sedie e arredata per la festa e si conclude bruscamente sul palcoscenico dove c’è solo un grande letto, per il tour de force vocale di “Sempre libera”, che peraltro viene eseguito durante un fitto lancio di cappotti sul letto medesimo, altra allegoria questa volta evidentemente destinata a collegarsi all’antico mestiere di Violetta, ma dal risultato più bizzarro che convincente.
Con queste scelte, il primo atto dell’opera – già complesso di suo, con le scene di massa dentro alle quali s’incastonano i dialoghi “privati” dei protagonisti – finisce per risultare una dispersiva rincorsa di piccoli “quadri” in spazi a volte angusti (come i corridoi dei palchi), a volte dispersivi (sale di foyer), a delineare una narrazione per immagini piuttosto frammentaria.
Non per caso, invece, il momento più convincente dello spettacolo – ovvero del film – si ha nella prima parte del secondo atto, che poi è il cuore drammaturgico-musicale dell’opera, con il duetto fra Germont e Violetta. La scena in questo caso è quasi tutta giocata sul palcoscenico, prima svelato nei suoi elementi scenografici costitutivi a tele mobili dipinte (li firma lo stesso Martone) e poi de-strutturato con il loro progressivo smontaggio da parte del padre di Alfredo. La finzione visiva, già chiarita per tale nelle immagini, cessa nel momento in cui cessano le illusioni della protagonista di avere una vita felice e “normale”. È soltanto una parentesi: la festa a casa di Flora torna a basarsi su un immaginario genericamente descrittivo, in realtà scollegato dallo spazio in cui si svolge: un eclettismo per immagini un po’ dispersivo e non particolarmente incisivo, riflesso anche nei costumi di Anna Biagiotti, che veste le zingarelle della festa a casa di Flora un po’ da gitane e un po’ da odalische.
La concentrata e inesorabile tensione del terzo atto, poi, solo alla fine trova la temperatura giusta, ma per buona parte rimane inespressa se non nella scelta di dare risalto visivo alla solitudine di Violetta all’interno dei grandi spazi della platea o nei ripari offerti dai palchi. L’agonia della protagonista, crudelmente divisa fra speranza e disperazione, finisce per avere una connotazione “itinerante” che racconta forse le proiezioni mentali del personaggio ma molto meno incrocia la drammaturgia musicale verdiana.
Dal podio, Daniele Gatti ha proposto una lettura per molti aspetti antiretorica della partitura, nondimeno drammatica nella sua asciuttezza. Colori nitidi, fraseggio scabro, tempi senza alcuna concessione all’enfasi (valga per tutti la tagliente linea strumentale in “Amami, Alfredo”, centro sentimentale di tante interpretazioni) hanno definito una Traviata di palpitante interiorità, fuori da ogni sentimentalismo fine a se stesso. Lisette Oropesa, belcantista di primo livello, si è mostrata a suo agio non soltanto nelle acrobazie vocalistiche del primo atto, risolte con grande coesione e non sempre analoga efficacia nel colore sull’acuto, ma anche nella progressiva intensificazione drammatica del ruolo, risolto in maniera sempre esemplare per misura stilistica, fino a un finale che giustamente non sposta verso lidi espressivi troppo realistici la linea di canto verdiana. Un Alfredo elegante e tenero è stato Saimir Pirgu, forse in qualche caso un po’ incline al falsetto ma di sicura musicalità. Entrambi poi hanno fatto valere una cifra attoriale di notevole efficacia, indispensabile nella lettura filmica di Martone, molto basata sui dettagli dell’espressione nei frequenti primi piani. Roberto Frontali ha dato a Germont gli accenti della nobile ipocrisia e del virtuoso rimorso con verdiana attenzione per la parola cantata e le sue sfumature, e bene si sono disimpegnati i numerosi comprimari, fra i quali sono da citare almeno l’Annina di Angela Schisano, la Flora di Anastasia Boldyreva, il Douphol di Roberto Accurso e il dottore di Andrii Ganchuk.
Tramessa venerdì in prima visione su Raitre in “prime time” (assai buoni gli ascolti: 3,9% di share e 967 mila telespettatori), La Traviata con la regia di Mario Martone e la direzione di Daniele Gatti (fotografia Pasquale Mari) è ora disponibile on demand su Raiplay all’indirizzo https://www.raiplay.it/video/2021/04/La-traviata-di-Giuseppe-Verdi-Teatro-dell-Opera-di-Roma-c561868e-365e-4226-8420-5e799eda3b20.html.
Cesare Galla
(9 aprile 2021)
La locandina
Direttore | Daniele Gatti |
Regia e Scene | Mario Martone |
Coreografia | Michela Lucenti |
Costumi | Anna Biagiotti |
Fotografia | Pasquale Mari |
Personaggi e interpreti: | |
Violetta Valery | Lisette Oropesa |
Flora | Anastasia Boldyreva |
Annina | Angela Schisano |
Alfredo Germont | Saimir Pirgu |
Giorgio Germont | Roberto Frontali |
Gastone | Rodrigo Ortiz |
Barone Douphol | Roberto Accurso |
Marchese d’Obigny | Arturo Espinosa* |
Dottor Grenvil | Andrii Ganchuk |
Un commissionario | Francesco Luccioni |
Domestico di Flora | Leo Paul Chiarot |
Giuseppe | Michael Alfonsi |
Orchestra ,coro e corpo di ballo dell’Opera di Roma | |
Maestro del coro | Roberto Gabbiani |
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