Roma: le sottigliezze di Boccanegra

Con il Simon Boccanegra di Verdi si è inaugurata, con grande successo, la Stagione lirica 2024/2025 dell’Opera di Roma. Oltre ad annunciare un calendario ricco di titoli d’opera, balletti e concerti, la Fondazione lirica della capitale si è presentata per l’occasione rinnovata nei suoi principali ambienti. Il pubblico è stato accolto all’ingresso da un nuovo ed elegante shop, completamente ristrutturato nella forma, con una nuova scaffalatura bianca a muro e l’installazione di luci a led. Ridisegnate anche le livree delle maschere del Teatro. Rifatta la tinteggiatura degli ambienti interni, mentre il pavimento del foyer ha subìto lavori di livellamento e lucidatura generale. Il rinnovamento ha interessato anche la moquette del quarto piano, a livello dei posti di Galleria. Grazie ad Acea, inoltre, una nuova illuminazione fa risplendere il gruppo scultoreo bronzeo di Luigi Scirocchi, raffigurante le Muse, e la facciata principale esterna del Teatro. Sempre all’esterno del Costanzi, infine, è stato disposto un grande schermo che trasmetterà, durante il giorno, locandine e trailer degli spettacoli in cartellone. Insomma, un grande lavoro di rinnovamento per accogliere, dopo parecchi anni d’assenza, il titolo verdiano che sancì l’inizio della collaborazione fra il Maestro di Busseto e Arrigo Boito cui fu affidata la riversificazione del testo di Piave e l’aggiunta di nuove scene che diedero un aspetto più completo a questo lavoro fra i più affascinanti del catalogo verdiano.

Alcuni giorni dopo l’andata in scena alla Scala della seconda versione, scrivendo all’amico Opprandino Arrivabene, Verdi osservò che Simon Boccanegra è opera “triste, perché dev’essere triste, ma interessa”. Nel porre l’accento sulla caratteristica più evidente di quest’opera, la sua tinta scura e malinconica, questo giudizio solleva un interrogativo di fondo: quali ragioni spinsero Verdi a tornare su questa partitura a distanza di decenni, in un momento delicatissimo della sua carriera, per di più interrompendo la composizione di Otello? Le motivazioni sono molteplici: se da un lato l’operazione si giustifica come una sorta di prova generale volta a saggiare, dopo tanti anni di silenzio, le reazioni del pubblico di fronte alla sua nuova musica, nell’attesa di proporre un’opera originale; dall’altro le parole del musicista lasciano intendere che quest’opera, nonostante l’insuccesso, era rimasta nel suo cuore. Si racconta infatti che Verdi abbia confidato al nipote Carrara di aver voluto bene al Simon Boccanegra “come si vuol bene al figlio gobbo.”

Incentrato su un tema ricorrente nel teatro verdiano – la crisi di un sistema di potere cui s’intrecciano le crisi di molteplici affetti familiari – Simon Boccanegra capovolge i convenzionali rapporti di forza tra i personaggi: non solo il protagonista è il baritono, ma il suo vero antagonista non è il tenore (Adorno, l’innamorato giovane e romantico) bensì il basso, e la donna contesa non è l’amante, bensì la figlia dell’uno (Simone) e nipote dell’altro (Fiesco).

Le passioni torbide e irrisolte che animano quest’opera buia, complessa e tormentata sono destinate a sciogliersi solo con l’inesorabile trascorrere del tempo. Tra il prologo e i tre atti trascorrono ben venticinque anni, ed è suggestivo raffrontare questo scarto temporale con il lasso di tempo – ventiquattro anni: dal 1857 al 1881 – che separò nella realtà la nascita delle due versioni: si direbbe che lo stesso Verdi, per trovare il vero senso di questo dramma, abbia avuto bisogno di riconsiderarlo con uno sguardo retrospettivo.

Se dal punto di vista drammaturgico la modifica più importante riguarda il quadro che chiude il primo atto, composto ex novo e destinato a diventare la scena più intensa e spettacolare dell’opera, sul piano poetico appaiono non meno determinanti i cambiamenti alla prima parte del prologo e, in particolare, l’aggiunta di quel breve ma straordinario preludio che sembra far scaturire il dramma dalle brume della memoria, dando piena evidenza musicale all’idea fondamentale del trascorrere del tempo.

Il colore complessivamente scuro deriva sia dal largo impiego di uno stile vocale tra il declamato e l’arioso (quanto a dire dall’assenza di motivi orecchiabili: a nessuna delle arie è toccato di entrare a pieno titolo nel repertorio concertistico), sia dal predominio delle voci gravi e virili, cui si contrappone una sola voce femminile: quella di Amelia, la giovane donna, coinvolta suo malgrado nel dramma esistenziale e politico degli uomini che l’amano e ne fanno l’oggetto delle loro contese.

Musicalmente la partitura risente inevitabilmente degli anni che trascorrono tra la prima e la seconda versione. Le parti nuove sono facilmente riconoscibili e presentano una finezza di scrittura e una brillantezza ritmica e timbrica, lontane dallo stile disadorno e un po’ monocorde dell’opera del 1857. La tinta ombrosa che caratterizza la prima versione permane anche nella seconda, ma è attraversata da lampi sinistri che, nella terribile scena della maledizione che chiude il primo atto, arrivano a coagularsi in effetti espressionisti.

Opera avara di grandi arie, Simon Boccanegra si fa invece apprezzare per una straordinaria aderenza della musica al dramma. Unica pecca dell’opera – è stato riscontrato – è la presenza di un secondo atto che, per ragioni di struttura narrativa, Verdi non ha potuto rielaborare se non in minima parte e che, nella sua brevità ha quasi l’aspetto di una parentesi e di un ritorno al Verdi più convenzionale. Anche qui, però, la qualità della musica e la sintesi drammatica sono tali da giustificare la piena riabilitazione che la critica ha ormai accordato a questa partitura intensa e sottile, che, tra le altre cose, ha il merito di offrirci uno dei ritratti più autentici dell’uomo Verdi: pessimista, scuro ma – come la sua opera – sempre umano e profondo.

Lo spettacolo accolto con molto favore al Costanzi restituisce al pubblico questa misteriosa opera verdiana in modo egregio. Il nuovo allestimento firmato per la regia da Richard Jones con la collaborazione di Antony McDonald per scene e costumi, da Adam Silverman per il disegno luci e da Sarah Fine per le coreografie e i movimenti mimici gioca le sue carte migliori nel Prologo dove in una Piazza d’Italia ispirata alla pittura di Giorgio De Chirico si gettano le basi per i contrasti futuri. L’ambientazione è spoglia, quasi scialba, il mare è evocato dalla presenza di un grande faro fra gli scogli che sostituisce la magione patrizia dei Grimaldi fuori Genova. Non sappiamo quanto efficace possa rivelarsi trasformare questa truce storia di passioni in un conflitto familiare borghese situato negli anni Cinquanta del secolo scorso, ma grazie al cielo non offende la musica.

Ed è nell’esecuzione musicale che questo nuovo Simon Boccanegra dell’Opera di Roma si rivela vincente. Eccellente è la concertazione e direzione che Michele Mariotti con grande sottigliezza le dedica e che coinvolge a meraviglia l’Orchestra stabile del Costanzi e il magnifico coro preparato come meglio no0n si potrebbe da Ciro Visco.

Quanto ai solisti, Luca Salsi è un Boccanegra sanguigno e vigoroso, di vocalità baritonale salda, ma capace di morbidezze paterne che bene riflettono la figura del primo Doge di Genova diviso fra amore e potere. Michele Pertusi è un Fiesco di grande spicco scenico che grazie a un’accurata preparazione supplisce a una vocalità non sempre adeguata al personaggio quasi mefistofelico di Fiesco. Eleonora Buratto è un’Amelia molto intensa e partecipe, dalla vocalità pregiata, e sorprendente per nitore del suono e drammaticità d’accento è il suo spasimante Adorno impersonato come meglio non si potrebbe da Stefan Pop. Più in ombra ci è sembrato il Paolo Albiani del baritono armeno Gevorg Hakobyan, cui sfugge la potenzialità di un personaggio che anticipa la perfidia di Jago. Negli altri ruoli si disimpegnano con onore Luciano Leoni (Pietro), Michael Alfonsi e Angela Nicoli (Ancella).

Bella serata, bella inaugurazione che fa ben sperare per la nuova stagione del Teatro dell’Opera di Roma.

Rino Alessi

(27 novembre 2024)

La locandina

Direttore Michele Mariotti
Regia Richard Jones
Scene e costumi Antony McDonald
Luci Adam Silverman
Coreografia per i movimenti mimici Sarah Kate Fahie
Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
Personaggi e interpreti:
Simon Boccanegra  Luca Salsi
Maria Boccanegra (Amelia) Eleonora Buratto
Jacopo Fiesco Michele Pertusi
Gabriele Adorno Stefan Pop
Paolo Albiani Gevorg Hakobyan
Pietro Luciano Leoni
Ancella di Amelia
Capitano dei balestrieri Michael Alfonsi
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Maestro del Coro Ciro Visco

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