Roma: nell’Aida di Mariotti il dramma intimo prevale su quello patriottico

Finalmente, con un anno di ritardo, va in scena al Teatro Costanzi di Roma l’attesissima Aida messa in scena da Davide Livermore. Promessa per l’apertura della stagione 2021-22, è slittata di un anno, regalando al pubblico romano una Giovanna d’Arco, come titolo in sostituzione, diretta da Daniele Gatti. Ma l’attesa è pienamente compensata. Non solo perché Michele Mariotti nel frattempo ha assunto la direzione musicale dell’Opera di Roma, ma perché la nuova produzione ha avuto il tempo di prosciugarsi, di smaltire il superfluo per rivelare l’essenza intima di un melodramma, in cui la lotta tra psicologia e monumentalità si risolve a netto vantaggio della prima.   Alla direzione di Mariotti, che ha diretto la sua prima Aida all’aperto in Piazza del Plebiscito a Napoli, in piena pandemia, e poi all’Opéra di Parigi solo in streaming e senza pubblico in sala, va il merito di aver pienamente restituito la cifra intimistica del triangolo infernale tra l’egiziano Radames, il condottiero vincitore degli Etiopi,   Amneris, la figlia del Re che lo ama e dal padre gli viene destinata come trofeo di guerra, e Aida, la  schiava  etiope di Amneris che ama Radames di passione segreta e di cui Radames è a sua volta innamorato e alla quale non può rinunciare, perché brama di coronare con lei il suo sogno di amore, sino a prospettare la fuga e mettere in opera il tradimento.

Sin dal preludio, Mariotti ha insistito sulla natura del dramma d’amore, un dramma che per certi versi appare quasi preterintenzionale, visto che cresce al di là della dimensione pubblica, della corte, del trionfo, delle scene di folla. Di cesello in cesello, restituendo il pathos dei pianissimi, dirigendo il canto sottovoce, rivelando la trasparenza, l’ingenuità delle passioni strette nella loro morsa velenosa, lavora sul non detto, sul sospetto, sul respiro trattenuto, sul gorgo indicibile dei sentimenti.

Così, la scena del trionfo al secondo atto, solitamente deputata all’esaltazione del patriottismo e della gloria guerriera, sembra restare isolata rispetto al resto della partitura, come una volontaria stonatura a sé stante. E d’altra parte che il patriottismo si intrecci per tutta l’opera con la psicologia dei sentimenti, e dell’amore in particolare, è sin dall’origine un tema cruciale per lo stesso Verdi, come si evince per esempio dal tremendo duetto tra Aida e Amonasro del terzo atto, dove il padre subdolamente propone alla figlia di tradire l’amato Radamès, e al suo rifiuto l’insulta e la sconfessa, “Non sei mia figlia…/Dei Faraoni tu sei la schiava”, gettandola nella sconforto, sino al  scatenare in lei, come dimostra il successivo duetto con Radames, il sentimento della patria come istinto,  anziché come astratto dovere politico, che trova espressione musicale alla “terrestre animalità” delle “estasi beate”, fra foreste vergini, di fiori profumate, preludio alla fuga d’amore e alla conseguente distruzione di quel sogno disperato e struggente. Sensibilissima a questa dimensione intimistica, Mariotti insiste sulla storia racconta dal lato dei più deboli, degli sconfitti, evoca la scelta della regia   di Luca Ronconi che alla Scala lasciò il Trionfo in secondo piano, e esalta la modernità della partitura di Verdi, rintracciando nelle sue note alcuni elementi che poi verranno ripresi da Mahler nella Quarta sinfonia e persino per esempio nei pizzicati da Bela Bartok.

I cantanti seguono la scelta di Mariotti piegandosi mansueti alla sua direzione con risultati notevoli, nonostante la dizione non sempre limpidissima del mezzosoprano Ekaterina Semenchuk nel ruolo di Amneris, in alternanza con Irene Savignano, e in quello di Aida affidato al soprano bulgaro Krassimira Stoyanova, che si alterna con la bravissima Vittoria Yeo.  In compenso ottima la prova del tenore Gregory Kunde, che ha sostituito all’ultimo momento Fabio Sartori, e a 69 anni suonati conserva intatta l’irruente freschezza del giovane condottiero innamorato, alternandosi nel ruolo col convincente Luciano Ganci. Misurato ma con qualcosa di riluttante l’Amonasro, dal volto color cenere, del baritono Vladimir Stoyanov, persuasivo il basso Giorgio Manoshvili nel ruolo del re egiziano, e ancora di più l’italiano Riccardo Zanellato nel ruolo di Ramfis.

S’adegua alla perfezione alla partitura e alla direzione Mariotti il regista musicista Davide Livemore, con una magnifica messa in scena, colorata ma parca, inventiva ma priva di eccessi, quando valorizza con sapienza i singoli interpreti, esalta le masse del coro, magistralmente dirette da Ciro Visco, e si cimenta persino nei movimenti coreografici delle sacerdotesse che danzano in onore del possente Ftha, e dei danzatori che festeggiano il trionfo di Radames, vincitore degli Etiopi. I sontuosi costumi di Gianluca Falaschi fanno sognare di favolose antichità egizie, secondo il desiderio originario di Isma’il Pasha, Khedivé d’Egitto, committente di Verdi nel 1870, mentre il monolite virtuale di D Wok,  agenzia di entertainement design, domina la scene scabre e incisive dello studio Giò Forma,  proiettando dall’inizio alla un video continuo che scandisce il racconto e il cambio di passo con immagini fantasmagoriche, illuminate dalle luci sapienti dello spagnolo Antonio Castro.

Marina Valensise
(3 febbraio 2023)

La locandina

Direttore Michele Mariotti
Regia e movimenti coreografici Davide Livermore
Scene Giò Forma
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Antonio Castro
Video D-WOK
Personaggi e Interpreti
Aida Krassimira Stoyanova
Amneris Ekaterina Semenchuk
Radamès Gregory Kunde
Amonasro Vladimir Stoyanov
Ramfis Riccardo Zanellato
Il Re Giorgi Manoshvili
La Sacerdotessa Veronica Marini
Il Messaggero Carlo Bosi
Orchestra e coro del Teatro dell’opera di Roma
Maestro del coro Ciro Visco

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