Roma: Yamada e Santa Cecilia convincono nella Lobgesang
Direttore artistico e musicale della Filarmonica di Monte-Carlo, Direttore stabile della Japan Philharmonic, Direttore ospite principale della Yomiuri Nippon Symphony Orchestra, Kazuki Yamada sarà dall’aprile 2023 Chief Conductor e consigliere artistico della City of Birmingham Symphony Orchestra, l’orchestra inglese resa celebre da Simon Rattle. In Italia il suo nome non è particolarmente noto, ma il direttore è stato più volte ospite dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, oltre che dell’Orchestra Sinfonia Nazionale della Rai.
Il suo ritorno con l’Orchestra dell’Accademia, il 25, 26 e 27 novembre, valeva dunque l’occasione di recarsi al Parco della Musica di Roma per vederlo dal vivo. Il repertorio era dei più congeniali: alla Quinta Sinfonia di Schubert, il direttore giapponese ha affiancato la Sinfonia n. 2 di Mendelssohn, la “Lobgesang”, maestoso lavoro sinfonico-corale che ha visto impegnati Orchestra e Coro dell’Accademia, insieme ai soprani Masabane Cecilia Rangwansaha e Ann Hallenberg e al tenore Werner Güra. Il programma era impegnativo, già solo per la lunghezza, ma non vi sono stati particolari segni di stanchezza né sul palco, né in platea. La Quinta Sinfonia è scorsa liberamente, con notevole elasticità e costante freschezza espressiva. Yamada non si è arrestato di fronte alle strutture classicistiche e a volte un po’ ingessate dei primi lavori orchestrali di Schubert, al contempo evitando di forzarle in una lettura eccessivamente romantica. L’equilibrio si è manifestato in un flusso musicale costante, in cui i momenti più tempestosi riuscivano ad inserirsi coerentemente nell’architettura generale, anche grazie alla sonorità ben piantata dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. Una buona lettura, non rivoluzionaria ma coerente ed efficace, della non poi così comune Quinta Sinfonia. Schubert non era però che l’antipasto.
Il piatto forte della serata era ovviamente la Lobgesang, divenuta persino titolo del concerto nella traduzione italiana “Inno di Lode”. L’Ottocento tedesco è sicuramente tra i punti di forza di Yamada, ma per Mendelssohn in particolare sembra esserci una naturale predisposizione. Il disco OPMC con la Filarmonica di Monte-Carlo e Prima e Terza Sinfonia è più che notevole e anticipa l’ascolto in sala con l’Accademia. Il Mendelssohn di Yamada è carnoso e rigonfio, non si rifugia in scarne catene di note, non cerca le sonorità più lignee che pure ben si addicono al compositore, ma ne offre una lettura dalle sonorità piene, lo slancio convinto eppure morbido, la concertazione omogenea. Se l’effetto è raggiunto già con l’orchestra monegasca, questo è amplificato dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che si mostra compatta e segue bene il gesto non sempre chiaro ed eloquente di Yamada. Assolutamente da segnalare la transizione tra primo e secondo movimento, quando senza soluzione di continuità dall’orchestra sgorga un valzer di cantabile malinconia.
Notevole è il piglio drammaturgico, quasi operistico, con qui il direttore affronta il complesso lavoro di Mendelssohn, riuscendo a tenere viva l’orchestra non solo nei tre movimenti iniziali, puramente sinfonici, ma anche nell’ampia sezione corale, in cui l’orchestra non si è mai adagiata su un semplice accompagnamento ai solisti al coro. Coro che si è comportato bene, pur mostrando degli evidenti limiti nella compattezza delle sezioni, in particolar modo quelle femminili, dall’emissione a volte forzata e sonorità disuguali e sfilacciate. Rimane comunque evidente la preparazione di Piero Monti e l’insieme tra coro e orchestra è sempre stato eccellente.
Tale è stato anche l’insieme con i tre solisti, di cui è da segnalare soprattutto il soprano sudafricano Rangwansaha. Splendida e ampia voce dal timbro morbido e scuro e di notevole solidità, Rangwansaha ha trovato un’aderenza totale con orchestra, coro e direttore. Meno riuscito invece l’insieme con gli altri cantanti, soprattutto per diversità di timbro. Nel duetto “Ich harrete des Herrn”, la voce di Rangwansaha e quella di Anna Hallenberg hanno faticato a trovare un impasto, proprio per le diversità di colore (e qualche difficoltà di intonazione per Hallenberg), problema che si è ripresentato nel duetto con il tenore Werner Güra. Questi, lungi dall’aver bisogno di segnalazioni, ha confermato la sua buona fama e ha interpretato magistralmente le parti del tenore, affiancando al tormento e al dubbio la totalizzante lode a Dio. Se le voci dei due cantanti (tanto morbida e pastosa una, tanto severa e sagomata l’altra) faticavano ad unirsi, il contrasto ha donato alcuni dei momenti più alti della Sinfonia, sotto l’acuto e sensibile sguardo di Yamada. Tra questi vi è sicuramente la transizione dall’inquieto “Stricke des Todes” del tenore, in cui l’uomo è prigioniero della notte eterna cui la morte lo avvolge, alla luce evocata da una singola frase del soprano “Die Nacht ist vergangen”, la notte è passata. Questa irrompe sulla scena come un solitario raggio di luce, cui la risposta del coro sul medesimo verso si unisce con la maestosità del sole che sorge. Abilissimo nella concertazione, Yamada è riuscito alla perfezione a trasformare il colore dell’orchestra e a disporre degli ingredienti in suo possesso con sapienza, riuscendo in una direzione di grande effetto eppure mai superficiale, che è stata premiata dall’applauso entusiasta del pubblico in sala.
Alessandro Tommasi
(25 novembre 2022)
La locandina
Direttore | Kazuki Yamada |
Soprani | Masabane Cecilia Rangwansaha, Ann Hallenberg |
Tenore | Werner Güra |
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia | |
Maestro del coro | Piero Monti |
Programma: | |
Franz Schubert | |
Sinfonia n. 5 | |
Felix Mendelssohn | |
Sinfonia n. 2 “Lobgesang”, per soli, coro e orchestra |
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