Rosetta Cucchi: “La musica è il punto di partenza”
In occasione della prima di Risurrezione, dramma lirico in quattro atti di Franco Alfano su libretto di Cesare Hanau tratto dall’omonimo romanzo di Lev Tolstoj, in scena al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, Le Salon Musical ha incontrato Rosetta Cucchi, regista della produzione.
Rosetta Cucchi, che non ha bisogno di presentazioni, vanta un’esperienza professionale piuttosto sfaccettata: pianista, musicista, regista ed ora anche direttore artistico del prestigioso Wexford Opera Festival.
- Riportare in teatro un’opera dimenticata non è un’operazione facile, soprattutto per il pubblico di oggi abituato a frequentare un repertorio di tradizione.Tuttavia il caso di Risurrezione, andata in scena per la prima volta a Torino nel 1904 e di cui esistono significative testimonianze discografiche, è abbastanza singolare. Quali sono state le cause, secondo lei, che hanno portato all’emarginazione di quest’opera?
Le vicende legate ad opere dimenticate sono sempre un mistero.
Io lavoro al Wexford Festival Opera in Irlanda dove si rappresentano unicamente titoli usciti dal repertorio. La ricerca generalmente ti porta a scoprire veri e propri capolavori che meritano di essere riproposti al grande pubblico.
Risurrezione fino agli anni ‘50 ebbe un successo straordinario, meritatissimo, perché innanzitutto la musica è meravigliosa ma anche per la fonte letteraria da cui attinge.
Si tratta, infatti, dell’ultimo romanzo di Tolstoj, l’apoteosi di una conversione dell’autore che si rappresenta in questa storia.
Forse dei suoi tre grandi romanzi Risurrezione è il più autobiografico. Dimitri, in qualche modo, è Tolstoj, in quanto lui stesso si innamorò di una ragazza, la sedusse e successivamente questa giovane si perse.
Nel romanzo inoltre c’è anche la conversione di Dimitri, attraverso il discorso della Montagna, con le varie citazioni del Vangelo, che poi è il percorso che ha compiuto Tolstoj.
Alfano e il suo librettista Cesare Hanau fanno un passo che a me affascina molto di più, se devo essere sincera, in quanto spostano l’attenzione sul personaggio di Katiuscia e la risurrezione di cui si parla -la rinascita- non è per forza religiosa ma passa attraverso il ritrovamento della spiritualità.
- Quindi ci sono delle differenze significative tra il romanzo e l’opera?
Certamente! Il romanzo parte dal terzo atto in cui lei è in attesa di giudizio.
Alfano i primi due atti li aveva visti a Parigi in una versione teatrale. Nel romanzo, ad esempio, l’atto del treno non c’è, molti dettagli sono raccontati.
Nell’opera si racconta l’arco di una vita: da una ragazzina pura, un po’ naïf, di estrazione contadina, si arriva a una donna che ha perso ogni dignità umana per poi ritrovarla.
È un percorso interessantissimo per un’opera e per un regista ancora di più.
- Infatti emerge subito, già dal primo atto, il netto contrasto fra una religione di devozione popolare e l’aspetto puramente spirituale.
Un personaggio spirituale che Alfano lo fa vedere subito nel rapporto tra la governante e Katiuscia.
- E la scelta della bambina che compare durante i quattro atti?
Nel terzo atto compare una bimba, è scritto in partitura, questo è stato lo spunto.
È come se Katiuscia si ritrovasse bambina nella ricerca di una purezza spirituale, è un percorso parallelo che si incontra alla fine.
In questo caso non ho voluto fare trasposizioni, raccontare la vicenda in modo diverso, spostare tempi e luoghi, perché c’è una tale densità di psicologia e di profondità dei personaggi che secondo me è già una sfida realizzare Risurrezione nel suo tempo.
In altre produzioni ho fatto delle trasposizioni ma in questo caso non c’era bisogno. Qui bastava andare dritti al personaggio.
È importante, per me, che il pubblico possa capire la psicologia di Katiuscia e di quelli che le stanno attorno che altri non sono che il panorama sociale che hanno fortemente contribuito alla sua storia.
- Lei è anche musicista, avrà avuto anche un approccio intrinseco con la partitura…
Ma noi ci diamo del lei o del tu?
- Ma diamoci del tu!
Benissimo!
La prima cosa che faccio per qualsiasi opera che devo mettere in scena è suonarla al pianoforte. Ciò mi dà delle vibrazioni e tanti spunti: un colore, un modo, una maniera di compiere un gesto.
La musica è il punto di partenza, non bisogna tradirla, il che non significa essere “tradizionali”.
In Risurrezione Alfano, a differenza di ciò che fa Cilea in Adriana Lecouvreur, usa un solo leitmotiv: nel primo e quarto atto quando i due personaggi si sfiorano per un un istante. Poi l’anima di Katiuscia muore, rinasce e alla fine rincontra Dimitri per lasciarlo definitivamente.
È un arco molto affascinante.
- Come si può inquadrare, secondo te l’anima di Risurrezione? È un’opera verista, tardo-romantica…?
Dal punto di vista stilistico e storico ho una mia interpretazione: è Verismo lirico. Il Verismo può essere fatto in tanti modi: alla «Hanno ammazzato compare Turiddu» senza razionalità, a quello più lirico e contenuto. Alfano musicalmente non scrive un’opera esasperata né musicalmente né drammaturgicamente.
Nel duetto finale del terzo atto, che secondo me è il punto più alto dell’opera in quanto Katiuscia è all’apice della sua disperazione, quando esclama: «Ah perché non sono morta» il suo urlo totalmente verista -dove lei quasi parla- viene subito stroncato dalle guardie.
Quindi non c’è mai un momento di abbandonato al Verismo spudorato.
Io mi commuovo ancora quando nel terzo atto lascio in scena quel tavolino con lei da sola e la sua disperazione.
- Sedotta e abbandonata da Dimitri ed emarginata dalla società la vita di Katiuscia prende una piega rovinosa e autolesionista. Nonostante la violenza sulle donne sia ancora un tema purtroppo attuale, secondo lei si può ancora parlare di espiazione?
Lei arriva in fondo al dolore per poi risalire. Il tema dell’espiazione può essere attuale solo se lo pensiamo come una catarsi psicologica, perché donne ferite dalla vita ce ne sono tante e in tanti livelli, non solo un abuso fisico ma anche psico-sociale.
Il ritrovare una propria identità è molto attuale.
Qui la catarsi è ancora più profonda perché l’abuso all’epoca di Tolstoj era normalità, oggi invece è una bomba che esplode. A quei tempi, purtroppo, una ragazza incinta che veniva buttata fuori di casa era consuetudine.
Per me l’aspetto più atroce, per cui non ho voluto ricorrere ad attualizzazioni, è il contrasto tra la normalità dell’abuso e la catarsi.
- Ciò ci fa riflettere su come un’opera dimenticata possa in realtà raccontare molto del passato e farci riflettere sul presente. Venendo all’attualità, quali sono i tuoi futuri impegni?
Adriana Lecouvreur a Bologna, Evgenij Onegin in America, più qualche segreto che per ora non posso svelare.
E poi da venti giorni sono direttore artistico del Wexford Opera Festival in cui farò un anno dedicato a Shakespeare. Il programma prevede Le songe d’une nuit d’étè di Thomas, Wintermärchen di Goldmark, e l’Edmea di Catalani, che è un’opera che io amo tantissimo.
- Complimenti, hai dei progetti bellissimi. Sono dell’idea che il pubblico deve essere rieducato ad apprezzare questi titoli.
Vero, ci sono ancora tante opere da riscoprire e penso sia davvero importante riconsiderare il Novecento storico.
Gian Francesco Amoroso
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