Salisburgo: la Zauberflöte tra Little Nemo e Inkheart
Non c’è opera per la quale si possano percorrere così tante forme di declinazione di quante ne consente la Zauberflõte. Favola, viaggio iniziatico, rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta, psicoanalisi, esoterismo: tutto è è lecito e, in certo senso, “giusto” nel mettere in scena l’estremo capolavoro mozartiano senza che la sua più intima natura ne venga minimamente intaccata o sminuita. Sicuramente alcuni allestimenti o letture risultano più convincenti di altri, ma tutte hanno comunque qualcosa da dire.
Questa volta – al Festival di Salisburgo – siamo di fronte ad una favola, didascalico-maieutica come tutte le favole, di cui è protagonista una famiglia vagamente disfunzionale di inizio Novecento.
La regista Lydia Steier – coadiuvata dai drammaturghi Ina Karr e Maurice Lenhard – decide in certa maniera di sottrarsi alle insidie dei dialoghi tradizionali affidando le parti recitate del Singspiel trasformandole nel racconto delle vicissitudini dei protagonisti affidato al Großvater, ovvero al Nonno, che le racconta ai nipoti a mo’ di fiaba della buonanotte, ma – come avviene nei fumetti di “Little Nemo” e più recentemente nel film “Inkheart” – la fantasia diventa proiezione plastica della realtà.
I tre bambini sono dunque i tre Fanciulli, sempre più coinvolti nell’azione man mano che si procede, mentre la madre fragile e “isterica” nell’accezione freudiana del termine è la Regina della Notte, con le tre cameriere di casa a farle da Dame.
Sarastro è il pater familias che i compagni di loggia – occupati in “cose da uomini” come la guerra – vengono a prendere a casa durante la cena cui si assiste durante l’ouverture, così come Papageno è il macellaio fornitore di uccelli morti e spennati destinati alle cucine governate dalla Vecchia che si trasformerà in Papagena.
Monostatos e i suoi sgherri sono gli addetti alla caldaia domestica e, lavorando in mezzo al carbone, hanno la faccia annerita; così si risolve pure il “problema” della neritudine.
Pamina è la proiezione della Nonna raffigurata nel ritratto che campeggia nella sala da pranzo e che poi scopriremo suicida, al contrario della protagonista salvata dagli Knaben-Nipoti.
Funziona davvero tutto nello spettacolo della Steier, grazie anche al fantasmagorico e mobilssimo impianto scenico ideato da Katharina Schlipf e illuminato dalle luci prodigiose di Olaf Freese, oltre che ulteriormente arricchito dai costumi davvero assai belli di Olaf Freese e dai video di Momme Hinrichs: il racconto del Nonno è fluido – magari se in alcuni moneti non parlasse sulla musica sarebbe meglio, ma tant’è – e contribuisce alla comprensione dell’azione scenica senza snaturarla.
Un Regie-Theater 2.0 che non stravolge ma indaga con garbo.
Joana Mallwitz, alla testa dei sempre miracolosi Wiener Philharmoniker, opta per una lettura lucidamente analitica, poggiata su dinamiche asciutte, scevra da pomposità inappropriate, cerebrale ma non pedante, perfettamente in linea con quanto avviene in scena; quasi un’esecuzione storicamente informata.
Roland Koch veste I panni del Großvater con classe mista a lodevole understatement mente i Fanciulli sono affidati a tre Wiener Sängerknaben – il cui nome non è dato sapere ma che si vorrebbe abbracciare con un misto di ammirazione stupore per quanto sono bravi non solo nel canto ma anche e soprattutto nella recitazione.
Mauro Peter è Tamino gagliardo e mai incline a scivolare in falsettini e falsettoni oltre che ottimo fraseggiatore, mentre Regula Mühlemann disegna una Pamina poggiata su una linea di canto limpida e forte di un timbro accattivante.
Molto buono il Sarastro poco incline alla ieraticità e dalla bella cavata di Tareq Nazmi, al contrario della Regina della Notte di Brenda Rae, ottima attrice ma protagonista di una prova senza agilità è con i sopracuti appena sfiorati.
Bene il Papageno colloquiale di Michael Nagl, così come convincenti risultano la Pagena-Cupcake di Maria Nazarova e il Monostatos di Peter Tantsits.
Bene pure le tre Dame, ovvero Ilse Eerens, Sophie Rennert e Noa Beinart, e Henning von Schulman nel triplo ruolo di Sprecher, Primo Sacerdote e Secondo Armato. Simon Bode è invece buon Secondo Sacerdote e Primo Armato.
Divertente e mai sopra le righe Stefan Vitu nei panni della Vecchia Papagena qui in veste di cuoca sporcacciona.
Strepitosa la Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor diretta da Jörn Hinnerk Andresen.
Applausi convinti per tutti, con ovazioni strameritate ai tre giovanissimi Fanciulli.
Alessandro Cammarano
(17 agosto 2022)
La locandina
Direttrice | Joana Mallwitz |
Regia | Lydia Steier |
Scene | Katharina Schlipf |
Costumi | Ursula Kudrna |
Luci | Olaf Freese |
Video | Momme Hinrichs |
Drammaturgia | Ina Karr, Maurice Lenhard |
Personaggi e interpreti: | |
Sarastro | Tareq Nazmi |
Tamino | Mauro Peter |
Königin der Nacht | Brenda Rae |
Pamina | Regula Mühlemann |
Erste Dame | Ilse Eerens |
Zweite Dame | Sophie Rennert |
Dritte Dame | Noa Beinart |
Papageno | Michael Nagl |
Papagena | Maria Nazarova |
Monostatos | Peter Tantsits |
Sprecher / Erster Priester / Zweiter geharnischter Mann | Henning von Schulman |
Zweiter Priester / Erster geharnischter Mann | Simon Bode |
Großvater | Roland Koch |
Drei Knaben | Wiener Sängerknaben |
Wiener Philharmoniker | |
Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor | |
Maestro del coro | Jörn Hinnerk Andresen |
Angelika-Prokopp-Sommerakademie der Wiener Philharmoniker Bühnenmusik |
Condividi questo articolo