Salisburgo: l’attualità stringente della Greek Passion
Ci sono occasioni nelle quali si esce da teatro felicemente a pezzi, emotivamente provati da quanto si è visto ed ascoltato, ma allo stesso tempo grati per essere stati non solo testimoni parte di una serata che lascia il segno.
È quanto è successo alla conclusione della Greek Passion in scena al festival di Salisburgo in un allestimento che tutti, ma veramente tutti dovrebbero vedere.
Composta da un esule, il cèco Bohuslav Martinů, e il cui libretto deriva dal romanzo Cristo ricrocifisso (o La Passione Graca) di Nikos Kazantakis, anch’egli in esilio, The Greek Passion è, per la tematica trattata – l’accoglienza dei rifugiati e la cecità della chiesa – di stringente attualità.
Nel 1958 il Covent Garden, che l’aveva commissionata, decise di non mandarla in scena visti i rapporti tesi tra Regno Unito e Grecia a causa della crisi di Cipro e l’opera, in una versione rivista dallo stesso compositore fu rappresentata postuma nel 1961 allo Städtisches Theater di Zurigo.
La musica è travolgente nel suo eclettismo e Martinů dovrebbe trovare maggior spazio nei teatri.
Tema attualissimo si diceva perché mai come oggi l’accoglienza, o meglio l’ipocrisia dell’accoglienza, riguarda o dovrebbe riguardare strettamente ciascuno di noi.
Nell’opera gli abitanti del villaggio greco di Lycovrissi, guidati dal pope Grigoris appaiono animati da fede sincera quando – come ogni anno – si accingono ad allestire una rappresentazione vivente della Passione di Cristo, ma devono fare i conti con un gruppo di rifugiati, condotti padre Fotis, che sfuggono dalla guerra greco-turca e chiedono ospitalità e aiuto, che alla fine verrà loro negato in un crescendo di tensione che rimanda direttamente ad un presente in cui tutti si sciacquano la bocca con parole come “solidarietà” o peggio “inclusività” fino a che il problema non li tocca da vicino.
Allora iniziano i distinguo e l’individualismo prevale, sulla scia di “questa gente porta malattie” o “ci levano il pane”.
I cittadini di Lycovrissi vivono la vicenda identificandosi progressivamente nei ruoli loro assegnati per la Passione, soprattutto Manolios che chiamato a interpretare Cristo si immedesimerà sempre più nella figura del Salvatore fino a quando il potente e ipocrita Grigoris – incarnazione plastica del marciume di certa politica – lo scomunicherà e ne fomenterà l’uccisione che avverrà per mano di Panais-Giuda; i profughi lasceranno alla fine il villaggio.
L’allestimento firmato da Simon Stone è di assoluta bellezza formale ma soprattutto animato da una forza capace di coinvolgere emotivamente gli spettatori: teatro vero, con la T maiuscola, crudo come lo è la vita e capace di costringere a pensare.
Lo spazio straniante della Felsenreitschule diventa in certo modo neutro grazie alla parete senza colore immaginata da Lizzie Clachan e sulla quale si aprono due botole, due ingressi e alcune finestre; l’ultimo ordine di archi, lasciato a vista, diventa le montagne dove i profughi trovano momentane asilo.
In questa dimensione sospesa si muovono gli abitanti del villaggio che Mel Page veste in abiti contemporanei rigorosamente grigi a richiamare le coscienze sopite, mentre invece sono i profughi a portare il colore nei loro poveri vestiti, colore che passerà a quelli che di Lycovrissi – Manolios, ma poi Yannakos-Pietro e altri – decideranno di accogliere gli “stranieri” vivendo in prima persona l’insegnamento cristiano.
Il gesto scenico è tanto icastico quanto misurato, a ricordare quello della tragedia greca, e capace di grande forza evocativa senza mai diventare retorico. Un capolavoro.
Maxime Pascal – e con lui i Wiener Philharmoniker in stato di grazia – mette in risalto la coralità della Greek Passion esaltandone i colori e le contraddizioni in una lettura turgida nelle arcate melodiche, sontuosa nell’allargare i tempi ove necessario e stringendo invece nei momenti più drammatici, il tutto a dare vita ad una narrazione di coinvolgente rapsodicità.
Maiuscola la prova dei due cori – il Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor preparato da Huw Rhys James e il Salzburger Festspiele und Theater diretto da Wolfgang Götz – qui impegnati come non mai.
Nella compagnia di canto, tutta davvero spettacolare, svettano il Manolios-Cristo ispiratissimo di Sebastian Kohlhepp, lo Yaknnakos-Pietro di un Charles Workmann inossidabile, il Padre Fotis volitivo di Łukasz Goliński al quale si contrappone lo sprezzante e luciferino Padre
Grigoris di Gábor Bretz.
Sontuosa Sara Jakubiak nei panni di Katerina-Maddalena e perfettamente centrata la Lenio di Christina Gansch cosi come perfettamente centrati nei loro personaggi risultano Aljoscha Lennert (Nikolios), Robert Dölle (Ladas) e Scott Wilde (Un vecchio) .
Un plauso corale a comprendere tutti gli altri, davvero molto, ma molto bravi.
Successo pienissimo e pubblico che indugia, quasi stordito – potenza della musica e del testo – prima di sciogliersi in un applauso liberatorio.
Chi può corra a vedere questa Passione Greca, che verrà replicata ancora il 22 e il 27 agosto.
Alessandro Cammarano
(18 agosto 2023)
La locandina
Direttore | Maxime Pascal |
Regia | Simon Stone |
Scene | Lizzie Clachan |
Costumi | Mel Page |
Luci | Nick Schlieper |
Drammaturgia | Christian Arseni |
Personaggi e interpreti: | |
Padre Grigoris | Gábor Bretz |
Patriarcheas | Luke Stoker |
Ladas | Robert Dölle |
Michelis | Matthäus Schmidlechner |
Kostandis | Alejandro Baliñas Vieites |
Yannakos | Charles Workman |
Manolios | Sebastian Kohlhepp |
Panait | Julian Hubbard |
Nikolio | Aljoscha Lennert |
Andonis | Matteo Ivan Rašić |
La vedova Katerina | Sara Jakubiak |
Lenio | Christina Gansch |
Una vecchia | Helena Rasker |
Fotis | Łukasz Goliński Priester |
Despinio | Teona Todua |
Un Vecchio | Scott Wilde |
Wiener Philharmoniker | |
Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor | |
Maestro del coro | Huw Rhys James |
Salzburger Festspiele und Theater Kinderchor | |
Maestro del coro | Wolfgang Götz |
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