Scala, perché su Musorgskij il console ucraino ha preso una cantonata
Fino all’altro giorno, il confronto era rimasto su Internet, con opposte petizioni sulla piattaforma Change.org. Da una parte l’appello lanciato il 30 ottobre da 23 associazioni italo-ucraine, intitolato “La Scala non favorisca la propaganda di Putin”; dall’altra la replica partita il 4 novembre con il titolo “Stop alla russofobia”. In questo caso, fra i promotori nomi noti come quelli degli storici Alessandro Barbero e Angelo D’Orsi, degli artisti Fiorella Mannoia, Elio Germano, Moni Ovadia, Riccardo Scamarcio, dei giornalisti e attivisti politici Vauro, Michele Santoro, Luigi De Magistris e Alessandro Di Battista. Fino a ieri sera, le oltre 4 mila 500 firme raccolte da quest’ultima iniziativa staccavano di molto le quasi 900 ottenute dal primo appello.
Poi l’altro giorno, a sorpresa, il console di Ucraina a Milano, Adrii Kartysh, ha scritto al sovrintendente della Scala, Dominique Meyer, al sindaco di Milano, Giuseppe Sala e al presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, per chiedere che la prossima inaugurazione di stagione della sala del Piermarini, il 7 dicembre, non avvenga con Boris Godunov di Modest Musorgskij. Questo indiscusso capolavoro del teatro musicale non solo russo viene definito come strumento della propaganda del Cremlino e del suo autocrate; metterlo in scena sarebbe – in questa tesi – un’operazione che darebbe “peso alla sua asserzione di grandezza e potenza” e sosterrebbe “per estensione le sue ambizioni scellerate e i suoi innumerevoli crimini”.
Difficile credere che il diplomatico pensasse di avere qualche possibilità di essere ascoltato. E infatti l’esito della lettera è stato in pratica un “fin de non-recevoir”. Pochissimi commenti ufficiali, nessuna reazione politica.
Anche la tempistica sottolinea la pretestuosità dell’intervento, visto che la scelta di inaugurare la stagione con il Boris era già ampiamente nota quando la Russia ha invaso l’Ucraina. E oggi lo spettacolo è in fase avanzata di preparazione.
Iniziativa a sua volta propagandistica, dunque, che attacca la cultura russa del passato considerando insufficiente l’embargo nei confronti degli artisti di oggi che non prendono le distanze da Putin (come nel caso del direttore d’orchestra Valery Gergiev).
Ma soprattutto iniziativa che svela una evidente non conoscenza, o sottovalutazione, o idea fuorviante di quale sia il senso profondo e tuttavia indubitabile del “dramma musicale storico” di Musorgskij.
La storia che si racconta in quest’opera – tratta dal dramma omonimo di Puškin, a sua volta basato sulle ricerche di uno storico di nome Nikolaj Karamzin – è quella degli eventi accaduti durante il cosiddetto Periodo dei Torbidi, tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600: un’epoca in cui la crisi dinastica dell’impero russo dopo la morte dello zar Ivan il Terribile coincide con la fame e la disperazione delle masse. Di queste vicende non è protagonista soltanto lo zar Boris, shakespearianamente sconvolto dal senso di colpa per avere mandato alcuni sicari a uccidere l’ultimo figlio del Terribile, un bambino di 7 anni, legittimo erede al trono. Ne è protagonista anche il popolo. E specialmente nella versione dell’opera che verrà rappresentata alla Scala, la prima realizzata da Musorgskij nel 1869 e la più vicina al dramma di Puškin e agli studi di Karamzin, si tratta di un popolo che appare quasi rassegnato, incapace di reagire all’oppressione dell’assolutismo imperiale.
La partitura di Musorgskij – una creazione di inaudito realismo, basata su un declamato avvincente nel suo oscillare fra la parola poetica e quella in prosa con continue alterazioni di metro e di ritmo – è di un desolato pessimismo. Qualcosa che fa del compositore stesso, come ha osservato lo storico della musica americano Richard Taruskin, una sorta di musicale “cronista” del destino della Russia. Per certi aspetti, un “doppio” del fondamentale personaggio del monaco Pimen, che si è dato il triste compito di raccontare i crimini del Potere al suo tempo. Detto in altri termini, come ha scritto durante gli anni della glasnost’ il saggista russo Anatolij Volkov, Musorgskij è un artista a cui essere grati “per domande a noi oggi così vicine”.
Lungi dall’essere un sia pure involontario strumento di propaganda del tragico imperialismo russo di oggi, dunque, Boris Godunov è semmai un formidabile “j’accuse” nei confronti di questo imperialismo, tragedia ricorrente e mai archiviata nella storia russa. La visione del suo autore è rispecchiata nelle parole pronunciate dall’Innocente poco prima della conclusione: “Sgorgate lacrime amare, /piangi anima ortodossa!/ Presto arriverà il nemico e scenderà l’oscurità, /tenebre profonde e impenetrabili. / Dolore sulla Russia. /Piangi popolo russo, /popolo affamato!”. Solo in pochi casi è sembrato che questo destino non fosse inevitabile. L’ultima volta, alla caduta del regime sovietico, con speranze ben presto deluse dall’affermarsi “di un’oligarchia autoritaria gas-petrolifera” (Taruskin). In breve tempo – e tanto più oggi – la storia russa è tornata a negare al popolo anche solo la speranza. Di questa tragica condizione, Modest Musorgskij ci fa ascoltare da oltre 150 anni la musica straordinaria.
Cesare Galla
Articolo pubblicato l’11-11-2022 su Tag43 (https://www.tag43.it/prima-scala-boris-godunov-musorgskij-console-ucraino-milano/)
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