Simone Beneventi, “Wooden Songs”
Ad un approccio superficiale il mondo delle percussioni lignee – al contrario dei metallofoni e delle pelli – potrebbe sembrare in certa qual maniera “arido”, ove l’aggettivo si riferisca ad una supposta durezza, ad una minore responsività e, infine, a un suono privo di ricchezza.
Non è così, e il CD Wooden Songs, uscito alla fine dello scorso per la Stradivarius, lo dimostra pienamente.
Qui Simone Beneventi, Leone d’Argento alla Biennale Musica del 2010 con il progetto Repertorio Zero, scava a fondo nel legno attraverso una scelta di impaginati – tutti in prima incisione assoluta – tanto oculata quanto intrigante.
In Scraping Song (1997- revisione 2001), che apre il programma, David Lang indaga sonorità che si rifanno ad un naturalismo ancestrale, deprivandole di qualsiasi gioco retorico; Beneventi rende l’atmosfera della pagina con incuriosita partecipazione, scavando nel profondo della materia che va via via sublimando in una dimensione di pura sensorialità.
Wooden (2015) di Silvia Borzelli è un viaggio dentro la materia. Il legno è esplorato nella sua forma fisica che si fa suono e Beneventi si fa a sua volta strumento in un’esecuzione tesa e meditata.
Le dieci “stazioni” di One Man Band (2016) di Johan Svensson – al netto di un’esecuzione di sublime acribía in cui il percussionista reggiano profonde tutto il suo virtuosismo – non sembrano andare oltre ad una mera esposizione di atmosfere urbane, con suoni che rimandano ad echi postindustriali e dove tutto soccombe ad una sperimentazione timbrico-ritmica che sa di “déjà vu”.
Beneventi riserva la conclusione del disco ad à (Grammatica del delirio) che Riccardo Nova ha composto nel 2017 per percussioni ed elettronica; un viaggio tutto interiore in cui la componente etnica si estrinseca in un’onomatopea che rimanda ad una visione dionisiaca delle percussioni, che dapprima drammaticamente incalzanti si sciolgono via via in sussurri pieni di inquietudine.
Complessivamente davvero un bel CD.
Alessandro Cammarano
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