Pier Luigi Pizzi, eterno ragazzaccio del teatro non solo d’opera, firma in toto un allestimento di grande rigore storico ma al medesimo tempo scevro da ogni calligrafismo.
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Un cartellone all’insegna di Gaspare Spontini in occasione dei 250 anni della nascita.
Angela Meade, ormai artista di casa al Carlo Felice dopo i passati successi, è l’indiscussa protagonista musicale del pomeriggio
Oggi assistiamo a un’interessante operazione che vede protagonista Diego Fasolis alla testa dell’orchestra I Classicisti.
Il programma delle attività avrà inizio il 16 marzo al Teatro Pergolesi di Jesi con replica il 17 marzo al Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno, con il concerto inaugurale dell’Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini” diretta da Riccardo Muti.
L’idea di Michieletto è quella di portare in scena la paidèia di Hoffmann che, narratore-protagonista, apprende attraverso il fallimento dei suoi amori la sua totale appartenenza all’Arte e al Genio.
Alla vigilia della prima si sono ovviamente scatenate schermaglie tra e “progressisti” e “conservatori” – le virgolette sono d’obbligo – gli uni pronti ad accendere la miccia dei fuochi d’artificio della novità, pronti a tirare secchi di sabbia per spegnere qualsiasi entusiasmo gli altri.
L’idea dalla quale tutto ha preso le mosse è di Francesco Micheli che firma anche la regia dello spettacolo: a lui abbiamo rivolto qualche domanda.
L’allestimento proposto dal LAC di Lugano ad inaugurare la Stagione 23/24 presenta più di un motivo d’interesse riscuotendo alla fine un successo ben più che meritato in cui si coniugano il rigore di un’esecuzione storicamente informata – oltre che pressoché integrale – e un allestimento capace di scavare a fondo nella psicologia dei personaggi.
È opera difficile, Norma. Difficile per chi la canta, chi la dirige, chi la suona, chi la mette in scena, chi la programma. Aprendo spesso e sovente le faide tra passatisti, puristi, innovatori, studiosi e tutti coloro che, a proposito o a sproposito, tendono a dare la propria versione dei fatti.
Dopo il Faust “in tempore pandemiae” dello scorso giugno il regista andorrano Joan Anton Rechi la torna alla Fenice con la medesima opera ma in un allestimento completamente diverso e tutt’altro che convincente.
Il mito di Medea è stato declinato in molteplici forme nel corso dei secoli assumendo di volta in volta le caratteristiche che maggiormente si attagliavano al “presente”: è così da Euripide a Pasolini passando per Corneille.
Il problema – perché un problema c’è – è una certa qual staticità dell’azione, che pone al regista del nostro tempo non pochi problemi.
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