È raro trovare tanta sintonia di intenzioni fra buca e palcoscenico, ma nella fattispecie l’alchimia è stata encomiabile.
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Se anno pucciniano deve essere, al Teatro Regio di Torino lo si è celebrato a dovere.
Lode al Teatro Lirico di Cagliari, che oramai da anni dedica l’aperura di stagione ad opere “desuete” e a riscoperte intriganti, per averla riportata in scena riaccendendo su di essa un interesse che ci si augura porti ad ulteriori approfondimenti.
Quello di Mario Pontiggia è un allestimento nato nel 2017 proprio per Palermo, e in questa terza edizione conferma (ma diremmo quasi esaspera, dato che non è più una novità), una concezione registica asfittica, forse troppo concentrata sugli effetti delle belle scenografie di Francesco Zito e Antonella Conte piuttosto che su un reale lavoro di analisi e svisceramento delle dinamiche emotive dei personaggi.
È avvolta nelle tenebre la nuova produzione scaligera de La Gioconda, melodramma in quattro atti di Amilcare Ponchielli su libretto di un certo Tobia Gorrio, al secolo Arrigo Boito.
Riccardo Frizza lavora di cesello tessendo una trama sonora punteggiata di colori soffusi e retta da dinamiche calibratissime, il tutto a rendere il narrato musicale fluido e affabulante.
Dopo un anno e mezzo di pandemia, Il Teatro dell’Opera di Roma riapre le porte per accogliere il suo pubblico col teatro pieno, rimettendo in scena, per la prima volta dal 1972, la Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi.
È uscita nelle scorse settimane, per la Warner Music Italy, una nuova incisione dei Paglicci che presenta non pochi elementi d’interesse, primo tra tutti l’assoluta “calabresità” della produzione affidata a Filippo Arlia
Non per caso, invece, il momento più convincente dello spettacolo – ovvero del film – si ha nella prima parte del secondo atto, che poi è il cuore drammaturgico-musicale dell’opera, con il duetto fra Germont e Violetta.
Sparito il dedalo ferrigno del Marino Faliero il teatro si mostra in tutta la sua nudità, capace di generare un contrasto di sensazioni in cui convive un misto di smarrimento e fascinazione. Il Belisario – capolavoro che dovrebbe tornare stabilmente in repertorio – rappresentato in forma di concerto si nutre di questa dimensione sospesa svelandosi all’ascolto in tutta la sua meravigliosa complessità.
Fraseggiatore finissimo, cultore della parola cantata, attento nelle scelte di repertorio Roberto Frontali è interprete ideale del ruolo-titolo nel Belisario – che sarà eseguito in forma di concerto prossimo 21 novembre nell’ambito del Festival Donizetti Opera – sostituendo l’indisposto Placido Domingo. Lo abbiamo raggiunto per fargli qualche domanda, non solo sul Belisario.
Quando si sbuca in alto sulle gradinate, il colpo d’occhio è di quelli che restano nella memoria. Al centro il palco per l’orchestra – collegato ai due ingressi principali dell’anfiteatro con passerelle di egual colore – è di un bel rosso vivo, lo stesso degli scranni ad altezze diverse allineati lungo l’ellisse, destinati agli artisti del coro.
Prosegue, con un numero sorprendente di visualizzazioni, la programmazione della webTv del Teatro Massimo che continua a proporre il meglio delle sue produzioni di opere, balletti e concerti degli ultimi anni.
Scelta dal Teatro dell’Opera di Roma per inaugurare la sua stagione 2019/2020 Le Vêpres siciliennes è tornata sul palcoscenico del Costanzi dopo un’assenza più che ventennale nella sua versione originale francese e in un’esecuzione musicale di assoluto pregio.
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