Torino: le malinconie gelide della Dama di Picche

Il Teatro Regio di Torino inanella, dopo due opere di carattere più nazional-popolare ben apprezzate dal pubblico, ovvero l’Elisir donizettiano prima e il Rigoletto  dopo, una proposta di assai interessante gusto musicale: La dama di picche realizzata l’anno scorso dalla Deutsche Oper di Berlino e progettata poco prima della pandemia da Graham Vick, purtroppo scomparso nel 2021. Quell’idea è stata poi ripresa e sviluppata dal regista inglese Sam Brown che, nella sua ripresa torinese curata da Sebastian Häupler, si dimostra solida e coerente, declinando la tensione drammatica della vicenda in un contesto visivo cupo, pieno, quasi claustrofobico, ben sostenuto dalle scene di Stuart Nunn, che evocano una San Pietroburgo notturna, gelida, opprimente, specchio del tormento psicologico che attanaglia German.

Le luci di Linus Fellbom, in perfetta sincronia con i video di Martin Eidenberger, avvolgono lo spettatore in un’atmosfera sospesa tra l’incubo e la malinconia, arricchendo l’impianto visivo con citazioni sottili al simbolismo russo e alla decadenza nobile e borghese.

La direzione di Valentin Uryupin, si distingue per una lettura attentissima al fraseggio e alla tavolozza emotiva del capolavoro čajkovskiano: sebbene Uryupin non riesca a risolvere tutti i passaggi musicali (e gli attacchi) e spesso la direzione risulti scollata da ciò che succede in buca e sul palcoscenico, i colori orchestrali sono restituiti con sensibilità, specialmente nei momenti più intimi, come ad esempio la cavatina di Liza o il lamento funebre della Contessa, grazie però più alla preparazione dei maestri d’orchestra stessi che non di chi li dovrebbe condurre.

Altrettanto si apprezzano i grandi affreschi corali, qui resi con precisione e ricchezza timbrica, grazie anche all’eccellente prestazione del Coro del Regio preparato da Ulisse Trabacchin (mi si permetta l’emozione vibrante del coro maschile finale) e del Coro di voci bianche preparato da Claudio Fenoglio.

Sul fronte vocale, il tenore Mikhail Pirogov, nel ruolo di German, convince solo a tratti. La sua prova, sebbene sostenuta da una notevole tenuta scenica e da recitazione intensa e tormentata, appare vocalmente discontinua. Il timbro, seppur interessante nei centri, manca talvolta di omogeneità nel registro acuto, e l’espressività – elemento fondamentale per un personaggio tanto psicologicamente stratificato – risulta talvolta monocorde, soprattutto nelle scene centrali, dove l’ossessione dovrebbe tradursi in una crescente disperazione musicale. Pirogov sembra contenuto, quasi trattenuto, laddove invece ci si aspetterebbe un abbandono totale al delirio interiore del protagonista.

Al contrario, Zarina Abaeva, nei panni di Liza, pur partendo in tono minore nel primo atto – dove la linea di canto si rivela un po’ incerta e timidamente proiettata – recupera progressivamente vigore e pathos nel corso della rappresentazione. La sua aria nel terzo atto è il suo momento di grazia, ricco di dolcezza e struggente consapevolezza. In quel frangente, la sua voce acquista corpo e profondità, restituendo tutta la tenerezza e il dolore di un personaggio schiacciato tra amore, dovere e disperazione. Il fraseggio si fa più articolato, la dinamica più curata, e l’accento finalmente vibra di autentica partecipazione emotiva.

Merita una menzione d’onore la Contessa interpretata dal mezzosoprano Jennifer Larmore, che, seppur in un ruolo meno centrale, domina la scena con classe e autorevolezza. La sua presenza vocale è magnetica, e la celebre scena del “fantasma” viene da lei affrontata con impeccabile controllo tecnico e teatralità degna del personaggio leggendario che incarna.

Tra gli altri protagonisti, si distingue Vladimir Stoyanov nei panni di Eleckij, offrendo un’interpretazione solida e di eleganza vocale d’altri tempi, confermando le sue ben conosciute doti da baritono lirico, mentre Elchin Azizov, quale Tomskij, regala uno dei momenti più godibili della serata con un’aria brillante, eseguita con eleganza e disinvoltura, nonostante la voce risulta talvolta poco controllata. Buona anche la prova di Deniz Uzun (Polina), la cui romanza nel secondo atto è stata accolta con calorosi applausi grazie alla sua intensità lirica e alla ricercatezza dell’intonazione, mentre ha convinto (molto) meno nel duetto con Liza.

A completamento del cast troviamo anche alcuni artisti già apprezzati in quanto parte del Regio Ensemble, come Ksenia Chubunova, qui nei panni della Governante, Irina Bogdanova quale Maša, per poi continuare con Alexey Dolgov (Čekalinskij), Joseph Dahdah (Čaplickij e maestro delle cerimonie), Vladimir Sazdovski (Surin), Viktor Shevchenko (Narumov) e Luca Degrandi nei panni del Piccolo comandante dei bambini.

In conclusione, la Dama di picche al Teatro Regio di Torino si rivela una produzione di valido interesse, che riesce a restituire tutta la complessità dell’opera di Čajkovskij, dove l’insieme regge (nonostante le perplessità evidenziate) e coinvolge, offrendo al pubblico un’esperienza teatrale di grande impatto.

Leonardo Crosetti
(3 aprile 2025)

La locandina

Direttore Valentin Uryupin
Regia Sam Brown
Ripresa da Sebastian Häupler
Scene e costumi Stuart Nunn
Coreografia Ron Howell
Ripresa e adattamento della coreografia Angelo Smimmo
Luci Linus Fellbom
Video Martin Eidenberger
Drammaturgia Konstantin Parnian
Personaggi e interpreti:
German Mikhail Pirogov
Liza Zarina Abaeva
La Contessa Jennifer Larmore
Il conte Tomskij Elchin Azizov
Il principe Eleckij Vladimir Stoyanov
Polina Deniz Uzun
Čekalinskij Alexey Dolgov
Surin Vladimir Sazdovski
La governante Ksenia Chubunova
Čaplickij e Il maestro di cerimonie Joseph Dahdah
Narumov Viktor Shevchenko
Maša Irina Bogdanova
Orchestra, Coro e Coro di voci bianche Teatro Regio Torino
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Maestro del coro di voci bianche  Claudio Fenoglio

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