Torino: le meravigliose contraddizioni della Leningrado

Negli ultimi tre anni l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI ha attinto frequentemente dalla produzione sinfonica di Dmitrij Šostakovič: ricordiamo la Quarta con James Conlon; la Quinta con Krzystof Urbański; la Sesta con Constantinos Carydis; l’Ottava con Dmitrij Matvienko; la Nona con Andris Poga e successivamente con Carydis; la Decima ancora con James Conlon e poi con Daniele Gatti; la Quindicesima con Poga.

Nel novembre 2022 all’Auditorium Toscanini fu diretta dal giovane Aziz Shokhakimov e ora la Settima ritorna per l’undicesimo concerto della stagione RAI. Il previsto Andrés Orozco-Estrada, indisposto, è sostituito da Pietari Inkinen, direttore principale della Deutsche Radio Philharmonie di Saarbrücken e Kaiserslauten dal 2017 e già ospite dell’OSN Rai. Se da giovane ha fatto parte di una rock band, poi però ha studiato violino e direzione d’Orchestra all’Accademia Sibelius e nel 2023 ha diretto l’intero Ring di Wagner al Festival di Bayreuth. Proprio per il suo Rheingold al Massimo di Palermo aveva vinto a suo tempo il Premio Abbiati della critica musicale italiana.

Ma non soltanto Wagner sembra essere nelle corde del direttore finlandese, se con poco preavviso riesce ad affrontare un lavoro così impegnativo come la “Leningradskaia”. Nel 1941 la città di Leningrado è assediata dalla Wehrmacht, un assedio che durerà fino agli inizi del ‘44. Il lavoro di Šostakovič denunciava appunto quella situazione ma si può intendere anche come manifesto contro i crimini del Nazismo. Si può dire che la Settima stia alla musica come alla pittura sta Guernica, la città basca rasa al suolo dagli aerei tedeschi e italiani nell’aprile 1937. Anche la tela fu dipinta da Picasso nell’immediatezza dell’evento.

Ma che cosa voleva dire scrivere musica nel mezzo della guerra, con l’odore dei fumi e delle bombe, i legami recisi per fuggire altrove? Non c’è il rischio che i sentimenti, fortemente sollecitati da una situazione così tragicamente impellente potessero prendere il sopravvento su una scrittura che dovrebbe essere invece meditata? E quanto conta poi la nazionalità dell’esecutore? Due anni e mezzo fa qui a Torino fu un uzbeko, ora è un finlandese, un abitante di un paese che si sente minacciato proprio dalla Russia! E per rendere il quadro ancora più complesso, a proposito di Nazismo, sono dei nostri tempi i rigurgiti neonazisti che escono spavaldamente allo scoperto nella nostra Europa.

Con tutti questi pensieri in mente ci si accinge dunque all’ascolto dell’Allegretto, primo tempo di questa pagina, dove un’atmosfera bucolica, quasi una “pastorale” baltica – dove «il popolo vice una vita pacifica e felice» scrive l’autore – viene bruscamente interrotta da lontani ma minacciosi ritmi di marcia, «la guerra irrompe improvvisamente nella vita pacifica».

Si tratta di un ritmo inesorabile in un crescendo che non può non ricordare il Boléro raveliano, con quello stesso tamburo militare che scandisce ossessivamente il ritmo per 350 battute, la parte centrale di un movimento monstre lungo quasi mezz’ora. Qui la ripetizione si combina con variazioni sul tema, presentato dai pizzicati degli archi, che viene trattato come cantus firmus. Dalla prima variazione, affidata al flauto su un ostinato dei violoncelli, alla undicesima, con il tema agli ottoni mentre il resto dell’orchestra scandisce un nuovo modulo ostinato, Inkinen realizza un crescendo implacabile di inumana meccanicità fino ad arrivare a un climax poderoso di tutta l’orchestra per poi ripiegare su un Moderato che è una libera ripresa della prima parte. Qui «la ricapitolazione è una marcia funebre, o piuttosto un requiem per le vittime della guerra», scrive ancora il compositore. Nella lettura del direttore finlandese la tensione psicologica arriva a un punto quasi insostenibile, col pubblico che trattiene il fiato per il dispiegamento di tanta forza sonora.

Questa tensione viene allenata nel secondo e terzo movimento, come scrive al proposito ancora Šostakovič: «Shakespeare sapeva bene che non si può tenere l’uditorio in tensione per tutto il tempo». Il carattere mahleriano di questi due pezzi è palese e cambia totalmente l’atmosfera: il direttore ha un gesto più rilassato, più fluido nel Moderato (poco Allegretto) in forma tripartita di Scherzo. Ancor più nell’Adagio seguente, di tono patetico, ma è un patetismo eroico, con il compianto funebre e la fiducia nella vittoria della ragione. È un severo corale quello intonato dai fiati e dalle arpe, seguito da uno struggente declamato degli archi. Il quarto movimento, che inizia senza soluzione di continuità, cerca una conclusione liberatoria con un processo tutt’altro che enfatico, anzi faticoso, che Inkinen mette chiaramente in evidenza con quel finale obbligatoriamente trionfalistico che riprende ancora una volta il tema del movimento iniziale, chiudendo così circolarmente un lavoro dedicato alle vicissitudini di una città martoriata, ma che dal punto di vista formale rivela un virtuosismo strumentale e costruttivo stupefacente.

Conscio delle contraddizioni di quest’opera, Inkinen lascia al pubblico un’esecuzione di grande lucidità, dove i diversi elementi costruttivi si inseriscono alla perfezione nella struttura del lavoro e dove gli interventi solistici vengono realizzati magistralmente dai maestri dell’orchestra calorosamente applauditi da ascoltatori attenti e riconoscenti.

Chi se lo fosse perso potrà recuperare il concerto su RAI 5 o dal vivo domani al Teatro Comunale Pavarotti di Modena con la stessa OSN.

Renato Verga
(6 febbraio 2025)

La locandina

Direttore Pietari Inkinen
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Programma:
Dmitrij Šostakovič
Sinfonia n° 7 in Do maggiore op.60 “Leningrado”

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