Torino: L’Italia nascosta di Conlon e Albanese
Il concerto di sabato 2 febbraio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da James Conlon, trasmesso in diretta da Rai Radio 3, è stato un vero e proprio viaggio nel repertorio italiano a cavallo tra ‘800 e ‘900. In prima parte Giuseppe Albanese si è cimentato con l’impervio Secondo Concerto per pianoforte e orchestra di Giuseppe Martucci, mentre in seconda hanno fatto la parte del leone Sinigaglia, con Hora Mystica per archi e l’ouverture Le Baruffe Chiozzotte, e Respighi, con il poema sinfonico Pini di Roma.
Un primo plauso va dunque proprio alla scelta del repertorio, che ha portato all’attenzione del pubblico brani di non comune ascolto nelle sale da concerto (Pini esclusi, ovviamente), ma che si rivelano invece affascinanti e di grande effetto, oltre a permettere la ricostruzione di parte della vita musicale italiana nel passaggio dal Romanticismo alle tendenze novecentesche.
Ancora profondamente romantico infatti è il Secondo Concerto di Martucci, interpretato da Albanese con impressionante spolvero tecnico. Il pianista calabrese ha infatti dato sfoggio di un armamentario tale da permettergli di affrontare l’imponente concerto staccando tempi che è riduttivo definire coraggiosi, mantenuti con una pulizia ed un controllo che hanno dell’incredibile. Ottima l’intesa con il direttore, James Conlon, insieme al quale ha offerto una versione elegante ed insolitamente leggera del Concerto martucciano: una caratteristica, questa, piuttosto sorprendente se consideriamo lo stile robusto di quest’opera.
Ciò che ci si sarebbe infatti aspettato intenso ed appassionato, con un virtuosismo inteso non come circense sfoggio di bravura ma come intensificazione del linguaggio drammatico, è stato invece risolto da Albanese e Conlon in un tono che mostrava distintamente una discendenza Biedermeier o protoromantica del compositore di Capua.
Non a caso il primo dei due bis, il vertiginoso Moto perpetuo dalla Prima Sonata di Weber, sembrava perfettamente in linea con il brillante Allegro con spirito che chiude il Secondo Concerto di Martucci.
Nonostante gli oltre 70 anni che dividono i due lavori. Sicuramente questa scelta ha comportato la perdita di non poche sfumature drammatiche e di una polifonia più complessa e articolata, ma se n’è avvantaggiata la fluidità dell’eloquio, altrimenti facilmente pesante e gravoso, con picchi di distesa cantabilità nel bellissimo Larghetto, in cui comunque sarebbe stata apprezzata una più chiara concertazione di Conlon.
Quest’idea di Martucci è probabilmente discutibile, ma è stata portata avanti dagli artisti con coerenza dalla prima all’ultima nota. A completare l’approfondimento italiano, Albanese ha offerto come secondo bis la Danza degli spiriti beati dall’Orfeo ed Euridice di Gluck nel celebre arrangiamento di Sgambati.
Dopo un inizio non brillantissimo, orchestra e direttore si sono assai redenti nella seconda parte, grazie ad un’Hora Mystica che rendeva ben onore a questo piccolo gioiello di Sinigaglia e a delle Baruffe Chiozzotte vitali, fresche, brillanti, mai esagerate.
I Pini di Roma hanno confermato il tono scorrevole ed elegante, toccando vette di grandissima raffinatezza timbrica ne I pini del Gianicolo, ma sacrificando ancora una volta l’intensità dei punti più solenni. In generale Conlon, e con lui Albanese, ha voluto spogliare tutto questo repertorio di una certa verve retorica che, vuoi per tradizione esecutiva, vuoi per effettiva necessità della parte, gli è in realtà connaturata.
Un esempio sono stati i crescendo da I pini presso una catacomba, in cui una maggiore pressione dell’arco avrebbe portato una maggiore tensione espressiva. L’effetto è stato tuttavia sorprendente e non privo di affascinanti scoperte, soprattutto nelle preziosità di orchestrazione emerse non solo nel capolavoro di Respighi, ma anche nei brani di Sinigaglia, in cui tra tutte le influenze è emerso comunque chiaro lo stile dell’autore.
In quest’opera di alleggerimento e esaltazione dei colori, Conlon si è avvalso di un’Orchestra della Rai solida per tecnica e per intonazione, anche se non sempre compattissima e sensibile al gesto del suo direttore. In ogni caso, anche Conlon ha dovuto capitolare di fronte alla retorica del ravelliano crescendo de I pini della Via Appia (nonostante i Pini anticipino il Bolero di ben quattro anni) ed anzi, abbracciato felicemente il militaresco carattere, ha dimostrato di saper trattenere con abilità la sua orchestra, non permettendo che esplodesse prima dell’ultima, imponente perorazione.
Un forte gesto conclusivo che ha lasciato il pubblico entusiasta al punto da concedere un bis: il Valzer di Nino Rota dalle musiche per il Gattopardo.
Alessandro Tommasi
(2 febbraio 2019)
La locandina
Direttore | James Conlon |
Pianoforte | Giuseppe Albanese |
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI | |
Programma | |
Giuseppe Martucci | Concerto n. 2 in si bemolle maggiore per pianoforte e orchestra op. 66 |
Leone Sinigaglia | Hora Mystica, per archi |
Le Baruffe Chiozzotte, Ouverture op. 32 | |
Ottorino Respighi | Pini di Roma |
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