Torino: un Barbiere un po’ così

Da sempre Il Barbiere di Siviglia è opera sinonimo di allegria e spensieratezza, scandita da quel “ritmo rossiniano” che in un crescendo continuo porta l’uditore a muovere testa, mani o piedi sin dalle note iniziali dell’Ouverture. Tuttavia, il Barbiere rossiniano nasce anche, nelle intenzioni iniziali di Pierre-Augustin Caron de Beumarchais con la commedia La Précaution inutile, ou Le Barbier de Séville, come critica a quel periodo storico anticipatore della rivoluzione francese. Disparità sociali e differenze di classe, la sempre più crescente forza della borghesia a discapito della nobiltà, la sopravvivenza dei furbi, gli intrighi e le cospirazioni a danno del prossimo: ecco dunque ritrovati i travestimenti del Conte d’Almaviva che diventa Lindoro, i sotterfugi del furbo Figaro nell’essere tuttofare per mettere mani, piedi e interessi in tutta Siviglia, gli accordi tra Don Bartolo e Don Basilio ai danni della povera Rosina, che con forza e passione tenta di ribellarsi all’oppressione al vecchiume che la circonda, senza trovare soccorso in quell’unico barlume femminile domestico che è Berta. Insomma, vi è molto di più che una risata dietro quest’opera così spesso abusata, stravolta, esaltata e/o sottodimensionata.

La lettura data dal regista Pierre-Emmanuel Rousseau, che cura anche scene e costumi affiancato dall’assistente Jean-François Martin e da Gilles Gentner alle luci, è quella di un’ambientazione colorata ma decadente, richiamando a quella decadenza dei tempi in cui è nato il testo del Barbiere. Non vi sono però molte altre idee innovative o che rendano accattivante questa messa in scena: ritroviamo i colori di rimando ad un Goya elettrizzato, ma di contro troviamo un Figaro ubriacone e malvestito, quando questi dovrebbe essere abile e lucido calcolatore, fido tuttofare delle migliori case borghesi e nobiliari. Di contro, sono eleganti i costumi, di rimando settecentesco, mentre mossette e mossettine nei momenti più concitati dell’opera, come i movimenti nel finale I, richiamano la mente a ben altre regie dei tempi passati. Insomma: questo allestimento nato nel 2018 per l’Opéra national du Rhin (Strasburgo) e in coproduzione con l’Opéra de Rouen – Normandie si vede senza troppo rallegrare, senza troppo far riflettere, senza troppo essere ricordata.

Molto di più si trova invece nella lettura musicale di Diego Fasolis, che torna al Teatro Regio di Torino dopo l’Agnese di Paer di qualche anno fa, conosciuto e apprezzato maestro barocco che con Rossini ha un rapporto affiatato e di lunga durata. Vanno messi da parte orecchio e memoria di altre edizioni del Barbiere per concentrarsi sulla versione che ne trae Fasolis, in un attento lavoro con l’Orchestra del Regio, che si conferma eccellente nella precisione e nella qualità del suono e nel seguire sempre le dinamiche date dalla direzione. Ascoltiamo quindi un suono pulito, giocoso, mai troppo affrettato, senza quei cambi vorticosi a cui spesso ci si è abituati e che permettono un buon equilibrio tra buca e palcoscenico anche nei momenti di assieme o di concitazione musicale. In tutto questo, sono molti i momenti in cui si inserisce il fortepiano suonato da Carlo Caputo, che più volte rafforza o si inserisce nei momenti orchestrali (vedasi l’ouverture, l’aria di Rosina, ecc), oltrechè l’ottimo accompagnamento nei recitativi. Bene si disimpegna il Coro maschile, nei suoi brevi ma precisi interventi, curati dal maestro Andrea Secchi.

John Chest, al suo debutto nella sala regia, mette in risalto una voce di notevole spessore e con una disinvoltura scenica apprezzabile, a discapito però dell’eleganza vocale e scenica che si converrebbe a Figaro e con una vistosa puntatura eseguita male nella cavatina iniziale, riprendendosi nello svolgersi dell’opera. In corsa e con pochissimi giorni di preavviso, Antonino Siragusa torna al Regio (una seconda casa potremmo dire, data l’assidua presenza del tenore nelle stagioni passate del Teatro) in sostituzione dell’indisposto collega di corda Santiago Ballerini: sostituzione che tuttavia non rende onore alla professionalità e bravura di Siragusa, palesemente indisposto pur facendosi apprezzare per l’attenzione alle parole e agli accenti con il conosciuto colore chiaro ed elegante, ma con evidenti problemi vocali in diversi punti dell’opera. Vistoso ma motivato, il taglio dell’aria “Cessa di più resistere”, sempre eseguita in maniera eccelsa dal tenore siciliano, udito più volte dal sottoscritto proprio a Torino. Si distingue quindi la Rosina di Josè Maria Lo Monaco, rossiniana di lungo corso che mette al servizio del ruolo la ricca voce mezzosopranile, di bel colore su tutta la scala vocale, avendo cura ed attenzione delle colorature e delle appoggiature in piena simbiosi col direttore, sapendo emergere nell’intrigante vicenda che vede uomini tessere intese e accordi a suo discapito. Accanto a lei, l’altra figura femminile è la serva di casa Berta, qui interpretata da Irina Bogdanova, che si fa apprezzare nelle parti d’insieme e nell’arietta “Il vecchiotto cerca moglie”, simboleggiando quell’ipocrisia domestica regnante tra croci, madonne e richiami religiosi.

Ipocrisia domestica nella casa del tutore Don Bartolo, “vecchio maledetto” interpretato da Leonardo Galeazzi, baritono con un colore un po’ troppo chiaro per il ruolo ma di cui si apprezzano la solidità vocale e l’interpretazione scenica, regalando una buona esecuzione dell’aria “A un dottor della mia sorte”, uscendo vincente dal vorticoso sillabato. Altro Don in scena è sicuramente Don Basilio, intrigante e peccaminoso prete e maestro di musica di Rosina, qui vestito e cantato dal basso Guido Loconsolo, che si disimpegna nella parte con voce di buon peso. Ultimo in ordine di citazione ma primo in apparizione, Rocco Lia interpreta Fiorello all’inizio dell’opera e poi Ufficiale nei finali I e II, facendosi apprezzare per la voce buona ma perfettibile e una discreta presenza scenica.

Buonina la Prima potremmo dire, lasciando soddisfatto a metà l’uditore scrivente, con l’auspicio che l’uscita dagli ultimi anni non troppo felici del Regio (covid e commissariamento) e la nuova dirigenza possano dare rilancio alla programmazione artistica del Teatro Regio di Torino, andando oltre al “solito Rossini” (non me ne vogliano gli amanti del Barbiere) e dando vigore alla promozione dell’attività Teatro dentro e fuori città.

Quello che, invece, si fa apprezzare, è l’interesse e l’attenzione alle nuove generazioni: le politiche promozionali per i biglietti, le collaborazioni in esterna con gruppi e realtà torinesi fanno sì che accanto alle ben note pellicce delle madame piemontesi, si vedano sempre più giovani ragazzi e ragazze che, tra una foto e l’altra nella sala e nel foyer, animano di vitalità il Teatro.

Leonardo Crosetti
(24 gennaio 2023)

La locandina

Direttore Diego Fasolis
Regia, scene e costumi Pierre-Emmanuel Rousseau
Luci Gilles Gentner
Personaggi e interpreti:
Il conte d’Almaviva Antonino Siragusa
Don Bartolo Leonardo Galeazzi
Rosina Josè Maria Lo Monaco
Figaro John Chest
Don Basilio Guido Loconsolo
Fiorello/Un Ufficiale Rocco Lia
Berta Irina Bogdanova
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Maestro del coro Andrea Secchi
Maestro al fortepiano Carlo Caputo

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