Torino: una Fille amarcord
Il Tirolo sul comò. Potremmo così riassumere la brillante e nuova produzione de La Fille du Régiment di Gaetano Donizetti, in scena al Teatro Regio di Torino ed in coproduzione con il Teatro La Fenice di Venezia. Opéra-comique che ha visto i suoi natali nel 1840 sul palcoscenico francese, la Fille è opera di un Donizetti realizzatore del melodramma “all’italiana”, ma che deve adattarsi al gusto e all’impostazione francese, anticipatore di quel genere che vedrà Offenbach protagonista. Sviscerare la trama è alquanto semplice, poiché amore e patriottismo sono i testimoni delle vicende di Marie, giovane protagonista dell’opera, adottata e allevata da un reggimento (il Ventunesimo) dell’esercito napoleonico, imparando sì ad amare la patria, ma sapendo e potendosi innamorare del giovane tirolese Tonio, che la insegue e per lei si arruola col nemico francese, pur di poterle stare accanto. Per lei tutto cambia quando scopre di essere la figlia di una marchesa: la vita aristocratica la rende triste e ne affievolisce l’ardore. Sarà grazie a sé stessa, al suo amato Tonio, al caro Sulpice e al soccorso dei suoi tanti papà militari, che potrà ritrovare la felicità e coronare, finalmente, il suo desiderio d’amore.
A Torino, la storia di Marie è vista dagli occhi di un’anziana signora che, memore della sua vita giovanile e del tempo di guerra (il secondo conflitto mondiale), rivive e racconta ai propri nipoti quello che avvenne, quello che visse, quello che la rese felice. E così, dai ricordi narrati tramite i cimeli sul comò, accompagnati da una frizzante Ouverture, ci ritroviamo catapultati proprio su quel comò che si anima, racconta, sviluppa, vive. La macchinina diventa l’auto della Marchesa di Berkenfield, la casetta e i le statuine diventano il villaggio tirolese e i suoi abitanti, i soldatini diventano i militari francesi, e così via. Colorato, divertente ed ironico si rivela dunque lo spettacolo ideato (nella sua interezza di regia, scene e costumi) da Barbe & Doucet, andato in scena a Venezia e qui ripreso da Florence Bas, con le luci di Guy Simard e la regia video di Guido Salsilli: uno spettacolo che vuole evidenziare gli intenti amorosi, gli intrecci di giovialità e spensieratezza, permettendo alla trama, che di suo è assai semplice e non ingarbugliata, di scorrere brillantemente, permettendo al pubblico di isolarsi per quasi tre ore dal maltempo imperante e godere di francesismi, ardori giovanili, marce, canti e risate.
Se tanto si trova e si vive sul palco, quasi si ritrova tale goliardia in buca, dove Evelino Pidò torna dopo circa quindici anni di assenza. Il direttore d’orchestra, torinese di nascita ma francese di casa, conosce bene le partiture donizettiane e lo spirito dell’Opéra-comique, sapendo anche qui trarre essenza, colori e intenzioni. Non manca la ricerca di dinamiche che sappiano allinearsi con quanto si svolge sul palco, dando sostegno e totale accompagnamento ai cantanti: vi è tuttavia come la percezione che, troppo spesso, si dia seguito ai solisti, lasciando l’Orchestra ed il Coro in balia di loro stessi. Nonostante ciò, le maestranze del Teatro sanno fare, e anche bene, il proprio mestiere, dando ancora una volta prova di grande qualità sonora e vocale. Il suono è frizzante ed armonioso, sapendosi ben differenziare nei momenti di amorosi intenti e in quelli invece dove la marcia e il tempo militare la fanno da padroni.
La frizzante, allegra e briosa Maria è cantata ed interpretata da Giuliana Gianfaldoni, artista in continua crescita nel panorama lirico internazionale, per la qualità della voce che, seppur di contenuto volume, sa spandersi per la sala con gioviale brillantezza, mantenendo sempre la cosiddetta “punta del suono”. L’aderenza al personaggio è completa, sapendo esprimere sentimenti di giovinezza e ingenuità, senza però lasciarsi sopraffare dai grandi e cogliendo sempre l’opportunità di raggiungere i propri obiettivi. Il canto è ricamato, sapendo dispiegare piani e pianissimi lungo l’evoluzione della serata, con attimi stupendi raggiunti ne Il faut partir e Par le range et par l’opulence, di immane delicatezza a cui segue lo scoppiettante e patriottico Salut à la France. Giuste e meritate ovazioni per il soprano tarantino, artista sempre più contesa nel repertorio belcantistico.
Al suo fianco, quale innamorato e ingenuo tirolese, troviamo quel grande artista che è il tenore americano John Osborn, che nonostante l’ormai pluridecennale carriera sui palchi di tutto il mondo, stupisce per la freschezza e la giovialità con la quale rende vivi i suoi personaggi, scenicamente e vocalmente. Osborn entra totalmente nel personaggio, entrando a piccoli passi in un crescendo costante, regalando alla sala del Teatro Regio un Ah mes amis vivo, baldanzoso, brillante, per poi eseguire in maniera eccelsa l’atteso Pour mon ame ricco di Do, a cui l’artista aggiunge qualche ulteriore puntatura in acuto, a riprova delle doti vocali di difficile eguale.
Nel secondo atto si accusa una lieve stanchezza sulla romanza Pour me rapprocher de Marie che non inficia comunque la qualità vocale sempre elegante, di ottima proiezione e di ragguardevole eleganza del tenore americano. In corsa a sostituire l’indisposto Roberto De Candia, Simone Alberghini si ritrova catapultato nel ruolo di Sulpice, sergente del reggimento e affezionato confidente, complice e protettore dell’adorata Marie. Il basso-baritono bolognese è artista di buon gusto, avendo sempre attenzione nel porgere la parola e sapendosi distinguere per il colore di voce sempre brunito, tondo, definito. Impeccabile nelle scene di assieme, nei duetti e nei terzetti, oltre che cantante è artista completo, avendo attorialità notevole e grande disinvoltura scenica. Altrettanto apprezzata interprete sia vocale che attoriale è il mezzosoprano Manuela Custer, qui a vestire i panni della elegantissima e charmante Marchesa di Berkenfield: artista con voce solida e spigliata nel cantare, attenta declamatrice nei dialoghi parlati, la Custer sa far tenere su di sé lo sguardo e l’orecchio dello spettatore. Accanto a lei, quale fido intendente e tuttofare, vi è l’Hortensius di Guillaume Andrieux, spigliato attore che si fa apprezzare per l’umorismo scenico e per i brevi interventi vocali. Danno forza dal Coro di casa gli artisti Alejandro Escobar nelle iniziali scene quale paesano che avverte l’abbandono dei francesi e l’esuberante caporale di Lorenzo Battagion, che ancora una volta ritroviamo in ruoli di comprimariato dando prova della ricca qualità di voce baritonale e della disinvoltura scenica.
Voce a sé merita il cameo scenico di Arturo Brachetti, noto attore chiamato qui en travesti ad interpretare non troppo sobriamente la Duchessa di Krackentorp, madre del promesso (e poco voluto) sposo di Marie. Artista e attore poliedrico, Brachetti “sfonda” la quarta parete e, d’intesa col direttore d’orchestra, tra funambolici e applauditi cambi d’abito, intona la piemontesissima e conosciuta Ciribiribin, con la complicità e il supporto del Coro, della Custer e dello stesso pubblico che si ritrova, festante, a batter le mani per tenere il tempo. Uno squarcio nella composizione donizettiana, che permette però di mantenere il clima di spensieratezza e di brillantezza che la rappresentazione ha voluto trasmettere. Accanto a lui, nel più contenuto ruolo di notaio, troviamo l’attore Federico Vazzola.Uno spettacolo che merita dunque attenzione e plauso, inserito in una stagione di passaggio che va volgendo al termine, con la crescente curiosità per il divenire. Occhi puntati ai vertici del Teatro Regio, che si apprestano a delineare il teatro di domani e a presentare prossimamente una stagione che, si spera, torni ad essere quella di alti standard qualitativi, sapendo mixare nuove proposte e “vecchie glorie”, avendo sempre come ultimo fine il far e proporre Cultura.
Leonardo Crosetti
(19 maggio 2022)
La locandina
Direttore | Evelino Pidò |
Regia, scene e costumi | Barbe & Doucet |
Regia ripresa da | Florence Bas |
Regia Video | Guido Salsilli |
Luci | Guy Simard |
Personaggi e interpreti: | |
Marie | Giuliana Gianfaldoni |
La marchesa di Berkenfield | Manuela Custer |
La duchessa di Krackentorp | Arturo Brachetti |
Tonio | ohn Osborn |
Sulpice | Simone Alberghini |
Hortensius | Guillaume Andrieux |
Un caporale | Lorenzo Battagion |
Un notaio | Federico Vazzola |
Un paesano | Alejandro Escobar |
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino | |
Maestro del coro | Andrea Secchi |
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