Tre giorni, tre volti: il grande pianismo a La Roque d’Anthéron
Passare tre giorni al Festival International de Piano La Roque d’Anthéron è un’esperienza che ogni amante del pianoforte dovrebbe fare.
L’estesa manifestazione creata da René Martin ormai quasi 40 anni fa, non è solo l’occasione di un’immersione nella natura della Provenza, non è solo ascoltare i concerti circondati dal frinire delle cicale – che si tacciono cortesemente dopo le prime note del concerto serale –, ma è anche un godersi puramente e schiettamente la musica pianistica respirando un’aria viva, energica. Il Parc du Château de Florans si trasforma durante il Festival in un enorme e verde polmone, che inspira l’entusiasta silenzio degli spettatori ed espira musica eseguita a livelli altissimi.
I miei tre giorni di musica cominciano venerdì 2 agosto con il concerto di Arcadi Volodos, un evento assai atteso. Un mezzo concerto, in realtà, in quanto le ore di ritardo di FlixBus hanno reso impossibile assistere alla prima metà, in cui il pianista russo ha eseguito il suo amatissimo Schubert. Interamente goduta, invece, la seconda parte, in cui Volodos ha eseguito la doppietta Rachmaninov-Skrjabin, partendo dal primo con il celebre Preludio op. 3 n. 2, proseguendo con i ben più rari Preludi op. 23 n. 10 e op. 32 n. 10, con una propria trascrizione del Lied Zdes’khoroso, la Serenata op. 3 n. 5 e infine l’Étude-tableau op. 33 n. 3. In questi brani si è svolto un piccolo miracolo, che ha saputo pienamente valorizzare la natura più pura e poetica di Rachmaninov, in cui la retorica si modella sull’espressività personale, magnificamente realizzata da Volodos con sincerità e sapienza e sfruttando tutte le sonorità più piene e materiche del proprio Steinway.
Assai diverso Skrjabin, qui rappresentato dalla Mazurca op. 25 n. 3, la Caresse dansée op. 57 n. 2, l’Énigme op. 52 n. 2, le Deux Danses op. 73 e, gran finale, Vers la flamme.
Uno Skrjabin aereo, tanto volatile quanto Rachmaninov era terreno, ma al contempo restio ad abbandonare sonorità fondamentalmente romantiche, evitando le atmosfere più algide e siderali o i suoni più acidi e taglienti che brani come Vers la flamme a volte evocano. Lo stile pianistico di Volodos lascia veramente basiti: la concentrazione che riesce ad evocare ha dell’incredibike.
A vederlo, a sentirlo, ci si sofferma un istante chiedersi se fosse questa la sensazione che si provava quando si ascoltava un Gilels o un Benedetti Michelangeli, quando la leggenda ancora non li aveva elevati nell’empireo. D’altronde il dominio del pubblico è evidente: vi è in Volodos un intento comunicativo estremamente chiaro e coinvolgente, anche nelle più iperboliche speculazioni sonore.
Non importa quanto il pianista si immerga nella musica, quanto si voglia rendere semplice sacerdote di un compositore-divinità, nel momento in cui si trova sul palco Volodos proietta con nitidezza ogni suo gesto sulla sua platea. Il leone della tastiera non si è assopito, il virtuosismo esiste ed impera, ma ha trovato un’altra destinazione: vi è in lui un vero virtuosismo della dinamica, che il pianista riesce a piegare a proprio piacimento non solo con il gioco pianistico, ma creando al proprio pianissimo un contorno di totale attenzione e un contrasto con un ampio fortissimo.
Vi è anche un elemento esteriore in questo gioco dinamico, un elemento di pura arte oratoria che non a caso si è trovato ben più a suo agio con Rachmaninov che con Skrjabin, ma anche questo fa parte delle regole. È attraverso questa retorica che Volodos riesce a raggiungere le vette di immersività che sa evocare nel suo amato Schubert. Volodos non è un funambolo della tastiera che si riscopre meditabondo poeta, Volodos ha semplicemente spostato l’oggetto della propria trascendenza verso ricerche sempre più estreme, sempre più pure, rimanendo sempre fedele a se stesso. Ed è questo a renderlo ora uno dei più grandi musicisti presenti sulla scena internazionale.
Completamente diverso il concerto del giorno dopo: il ventinovenne Behzod Abduraimov si è cimentato con la magniloquente scrittura del Liebestod di Wagner trascritto da Liszt, della Sonata in si minore di Liszt stesso e infine dei Quadri da un’esposizione di Moussorgskij.
Due metà concerto assai diverse, tanto nel repertorio quanto nell’approccio. Il giovane pianista uzbeco mi è stato descritto fin dalla sera prima come un pianista estremamente orchestrale. Mi attendevo dunque di trovare un interprete dall’ampia paletta timbrica e una visione meno virtuosistica e più sobria: solo ascoltandolo ho capito cosa si intendesse.
Abduraimov non ha una vasta paletta timbrica e il suo accento sul virtuosismo pianistico è decisamente marcato, ma c’è in lui una chiarezza e una trasparenza di fraseggio e struttura polifonica tali, da unire la tecnica sopraffina ad una concezione analiticamente limpida, che permette di apprezzare tutti i livelli della texture sonora.
Questo è emerso soprattutto in una splendida Sonata di Liszt, di certo non timida negli sfoggi leonini (soprattutto nelle rapide e sicurissime ottave), ma al contempo mai eccessiva, capace di grandi climax ma restia alla becera aggressività.
Meno entusiasmanti i Quadri da un’esposizione: in un repertorio che il pianista avrebbe dovuto, anche da propria dichiarazione, sentire particolarmente proprio, vicino ad un proprio immaginario, l’esecuzione ha perso moltissimo delle sfumature presenti nella partitura.
La sovrapposizione del pianista rispetto all’opera eseguita si è percepita nettamente nelle piccole alterazioni alla parte – alcune, come il tremolo su Lo Gnomo, ben funzionanti, altre, come le varianti ritmiche su La Grande Porta di Kiev, piuttosto fuori luogo – o nell’approccio virtuosistico, con tempi spesso tirati ed incuranti di dettagli non trascurabili quali accenti o giochi dinamici.
La stessa gamma dinamica è apparsa assai schiacciata, in una visione che era sì, estremamente chiara nella polifonia, molto energica, digitalmente notevole, ma in cui non è riuscita ad emergere la caratterizzazione dei movimenti, né una grande struttura generale.
Stesso problema nei bis: bella la Berceuse di Čajkovskij/Rachmaninov, terribile Mercutio da Romeo e Giulietta di Prokofiev – anche qui di un’aggressività assolutamente spropositata – e superba la Campanella di Liszt, sia digitalmente che per spirito scintillante del brano.
Il terzo giorno di La Roque, infine, è stata un’altra immersione nel pianismo russo, che ha visto Boris Berezovsky cimentarsi decisamente articolato.
Prima parte tutto Skrjabin: Due Poemi op. 32, Sonata n. 4, Fragilité op. 51 n. 1, Due Pezzi op. 57, Due Poemi op. 69, Sonata n. 5 e Tre Studi op. 65.
Seconda parte Rachmaninov e Chopin/Godowsky: Seconda Sonata di Rachmaninov (nella versione del 1931), Preludio dalla Partita n. 3 per violino solo di Bach/Rachmaninov, Scherzo da Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn/Rachmaninov, Wohin di Schubert/Rachmaninov, il Liebesleid di Kreisler/Rachmaninov, la Berceuse op. 16 n. 1 di Čajkovskij/Rachmaninov e Studio 1, 6 e 12 dalle rielaborazioni di Godowsky degli Studi di Chopin.
Fuori programma, per favorire, l’aggiunta di un disteso Moment musical di Rachmaninov tra la Sonata e il Preludio dalla Partita in mi maggiore, una scelta in realtà assai utile per distanziare la concitazione del Finale della Sonata dalla leggerezza barocca.
Un programma lunghissimo ed impegnativo, che non è partito nel migliore dei modi: la bellezza e la definizione del suono di Berezovsky è di certo notevole e nel suo Skrjabin abbiamo avuto modo di sentire la nitidezza con cui ha scandagliato l’ampia scelta di brani. Purtroppo l’orario tardo pomeridiano (il concerto è iniziato alle 19) non ha aiutato il pianista.
Le cicale assordanti, ancora non assopitesi per la notte, hanno impedito di godere di ogni timbro, di ogni situazione, e anche il pianista è apparso piuttosto distratto, non riuscendo a dare una forma definita ai complessi brani o a trovare una dimensione timbrica adatta a rappresentare tutta la varietà richiesta da opere come gli Studi op. 65.
Poco riuscite dunque anche le due Sonate, un po’ gettate. Nettamente meglio la seconda parte: la Seconda Sonata di Rachmaninov è stata affrontata da Berezovsky con una maestosità tale da zittire le cicale, effettivamente ammansitesi per l’avvicinarsi del tramonto.
Il virtuosismo del pianista russo è ben noto, ma questo è stato veramente piegato alla propria volontà musicale, a colpi di martello come un fabbro. Scura, ampia, chiara nei giochi di fraseggio, ma senza trascurare una forza emotiva che ha regalato climax fantastici soprattutto in primo e terzo tempo.
Dopo la travolgente carica dell’Allegro molto, affrontato da Berezovsky con la distaccata passione dell’attore che ha il totale dominio del palcoscenico, è stata la volta del Moment musical op. 16 n. 5 di Rachmaninov, prima di rilanciarsi nella brillantezza dello Scherzo da Sogno di una notte di mezza estate. Uno Scherzo temibile tecnicamente, al punto da mettere in difficoltà lo stesso Berezovsky, il quale è riuscito però a cadere sempre in piedi e trovando la fervida leggerezza tipica di questo brano.
Più tranquille le altre trascrizioni, ben condotte anche se con un po’ di distrazione: non a caso il pianista si è dovuto fermare tra Kreisler e Chopin/Godowsky, dopo aver attaccato il brano sbagliato, chiedendo scusa al pubblico e iniziando invece quello giusto.
A conclusione, i tre Studi di Chopin/Godowsky, in cui Berezovsky non ha dimostrato alcun segno di stanchezza al di fuori delle copiose gocce di sudore. Ogni studio è stato sagomato con possanza, un po’ rude forse, ma di grande impatto scenico.
La poesia di Volodos, la lucidità di Abduraimov, la maestosità di Berezovsky sono tre idee di “pianoforte” che hanno un comune denominatore, il virtuosismo, ma tre risultati assai diversi.
Al di là del dettaglio esecutivo, tre giorni a La Roque d’Anthéron sono tre volti completamente diversi del pianismo odierno, immersi nell’atmosfera unica e fremente che solo un Festival come questo riesce ad offrire.
Alessandro Tommasi
(2,3,4 agosto 2019)
La locandina
VENERDÍ 2 AGOSTO |
|
Pianoforte | Arcadi Volodos |
Programma: | |
Franz Schubert | Sonata n°1 in mi maggiore D. 157 |
Sei Momenti Musicali D. 780 | |
Sergej Rachmaninov | Prélude in do minore op. 3 n°2 |
Preludi in sol bemolle maggiore op. 23 n°10, in si minore op. 32 n°10 | |
Zdes’khorosho op. 21 n°7 | |
Serenata op. 3 n°5 | |
Étude-tableau in do minore op. 33 n°3 | |
Aleksandr Skrjabin | Mazurka in mi minore op. 25 n°3 |
Caresse dansée op. 57 n°2 | |
Énigme op. 52 n°2 | |
Deux Danses op. 73 | |
Vers la flamme op. 72 | |
SABATO 3 AGOSTO |
|
Pianoforte | Behzod Abduraimov |
Programma: | |
Richard Wagner/Franz Liszt | Isoldes Liebestod |
Franz Liszt | Sonata in si minore |
Modest Musorgskij | Quadri da un’esposizione |
DOMENICA 4 AGOSTO |
|
Pianoforte | Boris Berezovsky |
Programma: | |
Aleksandr Skrjabin | Deux Poèmes op. 32 |
Sonata n°4 en fa diesis maggiore op. 30 | |
Fragilité op. 51 n°1 | |
Due Pezzi op. 57 | |
Sonate n°5 in fa diesis maggiore op. 53 | |
Tre Studi op. 65 | |
Sergej Rachmaninov | Sonata n°2 in si bemolle minore opus 36 |
Moments Musicaux n°5 | |
Johann Sebastian Bach/ Sergej Rachmaninov | Preludio dalla Partita per violino n°3 in mi maggiore BWV 1006 |
Felix Mendelssohn/ Sergej Rachmaninov | Scherzo da Sogno di una notte di mezza estate |
Franz Schubert/ Sergej Rachmaninov | Wohin, da Die schöne Müllerin D. 795 |
Fritz Kreisler/ Sergej Rachmaninov | Liebesleid |
Sergej Rachmaninov | Daisies, da Sei Romanze op. 38 |
Frederick Chopin/ Leopol’d Godovskij | Studi n°1, 6 e 12 op. 10 |
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