Trento: Dionysos nasce in una rigenerazione circolare
In un mondo in cui l’apparenza e la dipendenza dall’effimero caratterizza e scandisce il tempo degli uomini Dioniso si pone, nella sua divinità incompiuta, come elemento caratterizzante e di rottura; il semidio è necessario in quanto ente distruttore e al contempo come fonte di rinnovamento.
In Dionysos rising, presentato in prima mondiale al teatro Sanbàpolis di Trento nell’ambito della stagione 18-19 di Oper.a.20.21 della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento, Roberto David Rusconi, compositore polimorfo e affabulatore sublime, pone al centro la trasformazione di Dioniso in dio del vino in un percorso di sofferenza e di conseguente compassione, attuato attraverso la perdita di Ampèlo, il suo amante giovinetto e la metamorfosi di questi in vite.
Il dolore distrugge e trasforma, deificando “colui che non sa piangere” attraverso le lacrime, stringendo il corpo esanime di Ampèlo incornato dal toro che aveva accarezzato spinto da Ate – l’Errore –, facendolo assurgere a custode del Cambiamento attraverso il Disordine.
Il libretto che lo stesso Rusconi trae dalle Dionisiache di Nonno di Panopoli, monumento dell’epica ellenistica scritto nel quinto secolo dopo Cristo, nella traduzione sublime di Dario Dal Corno, sceglie accuratamente i versi, endecasillabi taglienti come rasoi, conferendo alla sua narrazione un andamento capace di creare attese, ansie, conflitti che culminano in un climax liberatorio ma che porta già in sé il germe della ripetizione, in una circolarità ineluttabile.
I quattro personaggi in scena appartengono alla mitologia contemporanea, ospiti di una clinica psichiatrica, costretti in uno spazio chiuso e vagheggianti un’ipotetica Arcadia al di là delle barriere che circoscrivono il loro spazio.
Dioniso è un oneirofrenico, Semele – sua madre – afflitta da disturbi di depersonalizzazione, Telète – sua figlia – una bordeline e Ampèlo – l’amante fanciullo – perseguitato da manie di grandezza; tutti politossicomani e tendenzialmente suicidi, figli di un tempo, come si diceva, in cui prevale un apparire che isola e corrode.
Tutto si scioglie, con la morte e la metamorfosi di Ampèlo, in una danza che avvince e libera, in uno spazio non più costretto che non può che essere l’Arcadia vagheggiata, reale o immaginaria che sia.
Altrettanto forte si rivela la musica, che Rusconi sviluppa in uno spazio sonoro circolare e che va oltre il tradizionale ascolto “frontale”, creando così un’atmosfera di totale coinvolgimento del pubblico, il tutto grazie al software e alle casse sviluppate dalla L-Acoustics® che consentono una sintonia perfetta tra elettronica ed esecuzione dal vivo, che si integrano in un unico discorso musicale in un ambiente che potremmo definire Surround 3.0.
Un modo nuovo ed avvincente di esecuzione, che tiene conto della necessità di purezza e profondità di suono richiesta dal pubblico contemporaneo, soprattutto quello più giovane, che delle cuffie binaurali non fa più a meno.
Musica composita quella di Rusconi, nella quale ritroviamo preziosità polifoniche, asprezze atonali, dolcezze di un canto disteso, sinuosità di archi e legni, suoni e rumori d’ambiente, il tutto a creare un unico flusso narrativo di grande efficacia drammatica, capace di avvincere e far riflettere.
Lodi incondizionate al quartetto di giovani solisti in scena, capaci di cantare – con microfono e auricolare –, muoversi e danzare con partecipata naturalezza.
Zachary Wilson è Dioniso sensuale nella voce tornita e notturna, e nelle movenze amplificate da un’altezza non comune, mentre Ray Chanez mette la sua convincente vocalità controtenorile a disegnare un Ampèlo capriccioso e autodistruttivo.
Splendide le due interpreti femminili: Da-yung Cho, che tratteggia una Telète convulsa e autolesionista, cui fa da contraltare la Semele disperata di Anna Quadrátová.
Le voci registrate, indispensabili alla drammaturgia sono di Johanna Porcheddu – Atropos –, Noemi Grasso –Ate –, Sebastiano Kiniger – Zeus e Giovanni Battaglia – Eon –, tutti bravi.
Bene il Coro, anch’esso registrato, preparato da Igrun Fussenegger.
Timothy Redmond, alla testa dell’Orchestra Haydn in serata di grazia e nascosta alle spalle della scena, dirige integrando la parte elettronica come fosse un ulteriore strumento e creando un’uniformità di intenti ed atmosfere di grande intensità emotiva.
Non si possono non citare, applaudendoli, Elias Kern, responsabile del Sound design e il Sound engineer Florian Bach.
Convince purtroppo solo in parte la regia, affidata a Michale Scheidl , autore anche dei quattro testi in tedesco che egli stesso recita, interpolati nell’azione scenica e sostanzialmente inutili – non vi è necessità di spiegare ciò che è già chiaro di per sé – opta per una rappresentazione che oscilla tra minimalismo ed espressionismo, esagerando nella gestualità in un percorso di totale esteriorizzazione rispetto all’intimità della musica.
Non aiutano la narrazione le scene “essenziali” di Nora Scheidl, che cura anche gli assai discutibili costumi.
Belle invece le coreografie di Claire Lefèvre, che nella seconda parte dell’opera fanno decollare la parte visuale tra accenni di sirtaki e danze dervisce nelle quali, oltre ai cantanti, spiccano Luan De Lima, Britt Kamper-Nielssen, Evandro Pedroni e Juliette Rahon, impegnati nella prima parte come inferimieri della casa di cura.
Ben calibrato il lighting design di Michael Grundner.
Teatro esaurito ad entrambe le recite, con la prima affollata da giovani, coinvolti nei giorni precedenti alle rappresentazioni in un intenso lavoro di presentazione tra scuole, conservatorio e flash-mob.
Alessandro Cammarano
(19-20 gennaio 2019)
La locandina
Direttore | Timothy Redmond |
Regia e testi | Michael Scheidl |
Scene e costumi | Nora Scheidl |
Lighting design | Michael Grundner |
Sound design | Elias Kern |
Sound engineer | Florian Bach |
Coreografia | Claire Lefèvre |
Dionysos | Zachary Wilson |
Ampelos | Ray Chenez |
Telete | Da-yung Cho |
Semele | Anna Quadrátová |
Signore serio2 | Michael Scheidl |
Signore serio 2 | Giorgio Vianini |
Danzatori | Luan De Lima, Britt Kamper-Nielsen, Evandro Pedroni, Juliette Rahon |
Voci registrate | |
Atropos | Johanna Porcheddu |
Ate | Noemi Grasso |
Zeus | Sebastiano Kiniger |
Eon | Giovanni Battaglia |
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento | |
Maesto del Coro | Ingrun Fussenegger |
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.
Ottima recensione, precisa e puntuale grazie Alessandro ! Sono arrivata a quest’ opera per caso, invitata da una mia amica mentre ero in visita a Trento. Sono rimasta molto colpita e coinvolta emozionalmente. Non solo l’ impatto della storia e’ fortissimo , ma trovo la parte musical estraordinaria. Ora cinematografica ora classica moderna come nelle voci, ora legata alle sonorita che amavo da ragazza del progressive inglese. Bravo
Esperienza unica!
Una vera composizione operistica in chiave moderna. Forse la prima in assoluto nel suo genere . Opera originale ed equilibrata in tutte le sue parti .ogni dettaglio esprime qualcosa di nuovo. L’esperienza che lo spettatore vive è ad altissimo impatto emotivo a partire dalla sonorizzazione in grado di coinvolgere ogni singolo anfratto dello spazio circostante con pienezza e profondità di suono uniche!
L’orchestra sublime ,ancor più valorizzata da un ‘amplificazione modulare, dona al suono acustico un pathos vibrante e mai sentito fino ad oggi nei precedenti capolavori contemporanei.
La regia minimale costruita su alcuni oggetti di scena ha dato il giusto risalto agli artisti contribuendo a metterne in risalto le grandi doti vocali e di danza .
La densità drammatica dei contenuti della storia ,così presenti , attuali e puntuali nella rappresentazione della fragilità umana
della società del nostro tempo, non poteva essere più toccante.
Finalmente una vera OPERA MODERNA è nata .
BRAVO!!
Quando la poesia si fonde con il duro lavoro di ricerca può generare opere di questo calibro pronte ad emozionare….complimenti unico nel suo genere
È stata davvero una grande emozione assistere alla prima mondiale di Dionysos rising dopo avere coordinato un progetto didattico interdisciplinare di musica e arte ad essa dedicato. Farsi sorprendere dalla sonorità musicale coinvolgente, che sottolinea puntualmente i sentimenti vissuti dai personaggi e sentirsi partecipi delle vicende rappresentate è stata un’esperienza toccante. L’obiettivo dichiarato di interagire con il pubblico a livello emotivo attraverso effetti sonori sperimentali e la simbiosi di musica vocale e strumentale affidata all’ottimo cast e agli ottimi musicisti dell’orchestra è stato raggiunto pienamente.
Complimenti a Roberto David Rusconi e grazie per condividere l’impegno a favore della concretizzazione di un’idea innovativa di educazione musicale quale strumento efficace per una ricostruzione culturale della società.