Trieste: Manon Lescaut senza passione
Si diceva, una volta: non massacrare le fonti. Bene, lo spettacolo inaugurale della stagione lirica 2023/2024 della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste le sue fonti le ha massacrate tutte. Si rappresentava, anticipando i festeggiamenti per il centesimo anniversario della morte dell’autore, Manon Lescaut di Giacomo Puccini, ispirata, come sappiamo, dalla Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut (Histoire du chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut), nota anche semplicemente come Manon Lescaut. Un romanzo d’intento moralistico, pubblicato nel 1731, da Antoine François Prévost – più conosciuto come l’Abbé Prevost -, che è anche il settimo e ultimo volume di Mémoires et aventures d’un homme de qualité (Memorie e avventure di un uomo di qualità). Diede scandalo ed ebbe un successo tale da divenire un romanzo a sé stante, giacché “nella condotta del signor Des Grieux si può vedere un esempio terribile della forza delle passioni.”.
Il secolo dei lumi, si sa, condannava le passioni in nome della ragione, il Novecento le passioni le sublimò e Puccini, riprendendo e semplificando la vicenda, escluse l’intento moralistico, attenuò l’avidità e l’amoralità di Manon, per concentrarsi proprio sulla passione che lega i due giovani amanti.
Des Grieux resta la figura centrale, ma – siccome l’opera è donna – il titolo è Manon Lescaut, tenuta a battesimo con successo al Teatro Regio di Torino il primo febbraio del 1893.
Che cosa fa lo spettacolo nato a Erfurt, applaudito a Montecarlo e ora approdato a Trieste? Rimescola le carte e fa di Manon una grande egolatra, di Des Grieux un bamboccione mal cresciuto e dà inusitato rilievo alla figura del ricco Geronte di Ravoir che diventa una sorta di mecenate dedito all’arte, malato di statuofilia e dall’aspetto mafioso che di Manon vuol fare un’opera d’arte. L’interprete del personaggio (lo straordinario Matteo Peirone) si accolla, nell’economia dello spettacolo anche quelli del sergente degli Arcieri e del comandante di Marina, diventando la personificazione della vendetta, coadiuvato nel suo percorso punitivo da un segretario che diventa maestro di una lezione di ballo che dobbiamo immaginare e poi il lampionaio ubriaco del sottofinale, tutte caratterizzazioni che spettano all’eccellente Nicola Pamio.
E i due protagonisti? Si agitano, tentano di rappresentare la loro passione e la loro gioventù, ma raramente ci riescono anche perché finiscono non in una landa desolata ma in un ambiente chiuso separato da una parete a vetri: da un lato Des Grieux reduce da una cena innaffiata da una bella bottiglia di vino, dall’altro Manon agonizzante.
Se lo spettacolo non trasmette passione, anche sotto il profilo musicale, le cose non appassionano. Gianna Fratta, chiamata al cimento pucciniano, lo risolve con una concertazione sommaria in cui orchestra e coro, quest’ultimo preparato da Alberto Macrì – ottimi entrambi – sono chiamati a eccedere in sonorità mettendo in pericolo il sano equilibrio tra buca e palcoscenico; quanto alla direzione, sembra quasi voler scarnificare la partitura pucciniana alla ricerca del momento magico, in taluni casi riuscendovi, pensiamo all’Intermezzo che avvia il terzo atto, in altri meno.
Lana Kos e Roberto Aronica, artisti d’indubbio spessore, non hanno più le qualità che Puccini richiede ai due protagonisti, non svettano in acuto, e Puccini lo sollecita spesso per entrambi in quest’opera giovanile, non fraseggiano con la travolgente passione loro richiesta. Rappresentano come meglio possono la gioventù e l’irresponsabilità dei due protagonisti, ma di rado riescono a farla propria, a viverla e a restituirla al pubblico in modo convincente. Cantano, va detto, bene.
Gli altri, meno sollecitati, si disimpegnano con onore, Fernando Cisneros (Lescaut, il fratello della protagonista, qui privato del suo carattere di deus ex machina che passa a Geronte), è un baritono da tenere d’occhio, forse più adatto ad altro genere di repertorio ma interessante, Paolo Nevi è un gradevole Edmondo, Giuseppe Esposito l’oste buontempone del primo atto. Nel madrigale che si dovrebbe accompagnare al ballo ascoltiamo una bella voce di mezzosoprano: Magdalena Urbanowicz.
Per la cronaca regia e luci sono firmate da Guy Montavon, scene da Hans Irwin Kittel, costumi da Kristopher Kempf, tutti assenti. La serata di gala, -cancellata la prima per lo sciopero delle maestranze, -sarà effettuata alla quarta recita in cartellone.
A quella pomeridiana cui abbiamo assistito, un pubblico misto di abbonati adulti e giovanissimi spettatori ha seguito lo spettacolo con attenzione senza troppo entusiasmarsi, se non alla ribalta finale.
Rino Alessi
(5 novembre 2023)
La locandina
Direttrice | Gianna Fratta |
Regia e luci | Guy Montavon |
Scene | Hank Irwin Kittel |
Costumi | Kristopher Kempf |
Personaggi e interpreti: | |
Manon Lescaut | Lana Kos |
Il Cavaliere Renato des Grieux | Roberto Aronica |
Lescaut | Fernando Cisneros |
Geronte di Ravoir | Matteo Peirone |
Edmondo | Paolo Nevi |
Un musico | Magdalena Urbanowicz |
Il lampionaio/Il maestro di ballo | Nicola Pamio |
L’oste | Giuseppe Esposito |
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste | |
Maestro del Coro | Paolo Longo |
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