Trieste: se il Nabucco si inceppa …
Fra Trieste e Daniel Oren l’attrazione è fatale. Al Teatro Verdi nell’ormai lontano 1976, fresco di vittoria al Concorso Karajan di Berlino, il maestro israeliano si presentò giovanissimo, e vi è tornato con regolarità. Il pubblico triestino lo adora, ricambiato: «Il mio legame con Trieste e con il Teatro Verdi parte da lontano” raccontava Daniel Oren alla vigilia di salire sul podio per dirigere un’opera che gli sta particolarmente a cuore, Nabucco di Verdi con cui a Trieste già si presentò nel maggio del 2003. “Ho tenuto il mio primo concerto da direttore dopo la vittoria al Concorso Karajan nel 1976. Da allora sono innamorato del pubblico triestino, con cui ho una lunga storia d’amore».
Come tutte le storie d’amore, anche quella fra Trieste e il temperamentoso musicista israeliano ha avuto alti e bassi, ferma restando la grande qualità musicale delle proposte oreniane sia per la lirica sia per i concerti.
Il Nabucco andato in scena l’altra sera in un affollatissimo Teatro Verdi richiamato dall’amore per il Cigno di Busseto e da quello per il suo beniamino sul podio, è cominciato nel migliore dei modi, con un’Orchestra in grande spolvero da cui Oren era in grado di ricavare bel suono, dinamiche attente alle esigenze del palcoscenico che nell’opera della rivelazione verdiana non sono poche. Poi, nel corso della serata, il meccanismo si è inceppato. Non sul fronte musicale, va detto. Certo è che lo spettacolo di ambientazione risorgimentale, – una produzione del Teatro Nazionale Croato di Zagabria firmato da Giancarlo Del Monaco per la regia con la collaborazione di William Orlandi per scene monumentali e costumi, e di Wolfgang von Zoubek per il disegno luci, – si è rivelato farraginoso e dopo una prima parte moderatamente scorrevole, i continui cambi di scena delle altre due, creavano negli spettatori vuoti d’ascolto e d’azione ingombranti e, a nostro modo di vedere, fastidiosi.
Nabucco, su libretto di Temistocle Solera, è un dramma statico che rappresenta un insanabile contrasto religioso fra popoli e nella sua pagina più popolare – il coro “Va’, pensiero” bissato l’altra sera al proscenio dal Coro stabile del Teatro Verdi magnificamente preparato da Paolo Longo – ha assunto negli anni un significato extramusicale molto forte, come canto di protesta contro la dominazione austriaca negli anni del Risorgimento, e poi, nei decenni successivi, come espressione generica di sentimenti patriottici. Non è un caso se al termine dell’esecuzione di “Và, pensiero” nel corso del primo Nabucco che ascoltammo al Teatro Verdi nell’ormai remoto 1968, furono gettati dall’alto volantini tricolori in cui era stampato “Viva Trieste italiana”. Dirigeva Fernando Previtali e la compagnia di canto era tutta italiana. Altri tempi.
Tornando allo spettacolo di Giancarlo Del Monaco, esteticamente apprezzabile, non si sposa che in parte con la forza propulsiva di una musica che la magistrale concertazione e direzione di Daniel Oren restituisce alla perfezione, seguito a dovere da un’Orchestra e da un Coro galvanizzati dal rinnovato incontro con il Maestro.
La compagnia aveva il suo punto di forza nel vibrante Nabucco del baritono siberiano Roman Burdenko, voce possente in grado di essere piegata a nuances e colori d’alta scuola, e forte presenza scenica, che si avvalgono di un’eccellente capacità di restituzione della parola cantata tanto cara a Verdi.
In Zaccaria, viceversa, il basso polacco Rafal Siwek non ci è sembrato all’altezza del compito, arduo, che Verdi gli destina. Fragile nelle note gravi, non dispone oltretutto – complice la regia – del carisma sacerdotale che Zaccaria esige.
Sull’Abigaille di Maria José Siri, sostituita da Olga Maslova senza che il pubblico ne fosse avvisato nell’ultima parte dell’opera, sospendiamo il giudizio. Il ruolo è molto esigente e mise alla prova la sua prima interprete, Giuseppina Strepponi, seconda moglie di Verdi. Nelle prime due parti dell’interminabile serata Siri ha cantato con generosità di suono, centrando il carattere pugnace del personaggio, di più non ci sentiamo di dire.
La coppia degli amanti clandestini era di qualità e poteva contare su un Ismaele dal suono tenorile vibrante, ma capace di bei chiaroscuri, – il ben noto Carlo Ventre, – e su una Fenena chiamata a sostituire l’interprete annunciata, – il mezzosoprano azero Elmina Hasan, – di bella figura, buoni mezzi vocali che domina la parte, ma non coglie il momento magico nella preghiera del sottofinale.
Pertinenti gli interventi degli altri interpreti: Cristian Saitta (il Gran Sacerdote di Belo), Christian Collia (Abdallo) ed Elisabetta Zizzo (Anna).
Al termine applausi per tutti, tranne che per il regista che non si è presentato al proscenio. Al maestro Oren sono stati lanciati anche fiori.
Rino Alessi
(23 marzo 2024)
La locandina
Direttore | Daniel Oren |
Regia | Giancarlo Del Monaco |
Scene e costumi | William Orlandi |
Light designer | Wolfgang von Zoubek |
Personaggi e interpreti: | |
Nabucco | Roman Burdenko |
Abigaille | Maria Jose’ Siri/Olga Maslova |
Zaccaria | Rafal Siwek |
Ismaele | Carlo Ventre |
Fenena | Elmina Hasan |
Il gran sacerdote di Belo | Cristian Saitta |
Abdallo | Christian Collia |
Anna | Elisabetta Zizzo |
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste | |
Maestro del coro | Paolo Longo |
Con la partecipazione della Civica Orchestra di Fiati “G. Verdi” – Città di Trieste |
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