Tutto il tempo che serve: Alexandra Dovgan al Bolzano Festival Bozen

Martedì 24 agosto si è esibita per il Concorso Pianistico Ferruccio Busoni e nell’ambito del Bolzano Festival Bozen Alexandra Dovgan. Si trattava di un vero e proprio concerto di inaugurazione del concorso, che tra mattina e pomeriggio, proprio nel medesimo auditorium in cui si è esibita Dovgan, ha visto esibirsi i primi concorrenti. Sulla giovane pianista russa, classe 2007, c’è da qualche anno un grande parlare, anche per i forti endorsement ricevuti, in prima linea da Grigorij Sokolov. Per me era la prima volta che potevo ascoltarla dal vivo e non nascondo la curiosità alla possibilità di ascoltare questa quattordicenne alle prese con un repertorio di immensa difficoltà interpretativa, quali le Waldszenen di Schumann, le Quattro Ballate e l’Andante spianato e Grande polacca brillante op. 22 di Chopin (e come bis il Preludio op. 32 n. 12 di Rachmaninov e la Valse brillante op. 34 n. 1 e la Mazurca op. 17 n. 4 di Chopin).

Il risultato è stato veramente impressionante per una quattordicenne. Questo commento penso possa riassumere le mie impressioni dal concerto. Molto si è fatto per non proporla come una ‘bambina prodigio’, ma come un’artista già matura e certamente Dovgan non ha le caratteristiche circensi cui spesso si associa la categoria di “prodigio”. Al contrario, con la pianista russa ci troviamo di fronte ad una personalità seria fino ad essere corrucciata, persino rigida, distantissima dalla brillantezza d’effetto e anzi, caratterizzata da una discreta introversione. Queste caratteristiche potrebbero svilupparsi negli anni verso una grande ricerca e profondità di approccio, ma nonostante il talento, non siamo ancora lì. Vi sono diversi elementi che ancora devono maturare notevolmente: una certa discontinuità sia tecnica che di controllo è uno dei più vistosi. Sia chiaro, tra la sterile perfezione tecnica e l’assumersi dei rischi a fini musicali io preferirò sempre e comunque la seconda strada, una strada che la pianista sembra aver imboccato con sicurezza, ma in alcuni momenti si percepiva nettamente la difficoltà nel districarsi su alcuni passaggi impervi nelle Ballate, così come qualche piccolo vuoto e un controllo dello strumento discontinuo hanno a volte bloccato l’espressione. Non si può certo parlare di problemi tecnici, la pianista ha una solidissima preparazione e si sente, ma proprio di momentanei cali di concentrazione, cui seguivano improvvisi irrigidimenti probabilmente dovuti al nervosismo. Forse si trattava di un momento di stanchezza, di una data poco fortunata, forse si è trovata male sul pianoforte. Quest’ultima possibilità è difficile a darsi, suonando Dovgan su uno Steinway di Passadori, ma più volte è sembrato che la pianista non riuscisse ad entrare in sintonia con lo strumento, soprattutto quando nei forte e nei fortissimo si irrigidiva e forzava il suono. Molto meglio il timbro nelle dinamiche di mezzoforte e soprattutto nei pianissimo.

Un altro aspetto che mi è sembrato ancora da sistemare è la respirazione: Dovgan è più volte andata come in apnea, affrontando intere sezioni d’un fiato, senza ascoltare, senza cercare. Questo è risultato evidente nei fraseggi e nella capacità di trovare il giusto carattere per ogni sezione. Ne è un esempio la Prima Ballata di Chopin, in cui la struttura drammaturgica del brano non era ben chiara, mentre nella Seconda si perdeva il senso tra il fortissimo contrasto tra la tempestosa sezione Presto con fuoco e il cullante tema iniziale. Molto meglio Terza e Quarta Ballata, in cui invece la pianista russa ha risolto con grande senso musicale le complesse composizioni. Mi chiedo se sulla più chiara e diretta drammaturgia delle prime due Ballate Dovgan non si sia trovata a disagio proprio per una forma di ritrosia propria del suo carattere, mentre ha potuto trovare pane per la sua cerebralità nelle ultime due. L’esempio perfetto di quanto dico si è avuto nell’Andante spianato e Grande polacca brillante: tanto riuscito il primo, soprattutto nelle liquide figurazioni della mano sinistra e nel quieto canto della destra, quanto meno efficace la seconda, cui mancava la baldanza sfarzosa, l’eleganza battagliera. Meno riuscite rispetto a Chopin sono state le Waldszenen, in cui ancora la pianista deve mettere bene a fuoco il carattere sfuggente. La consapevolezza musicale e culturale necessaria a comprendere nell’intimo l’umore cangiante di questi brani immersi nella natura arriverà senz’altro con il tempo e con lo studio, anche non solo musicale. Il Valzer op. 34 n. 1 è scorso bene, con qualche splendida agilità nella mano destra, ma tutto sommato poco interessante, mentre decisamente meglio la Mazurca op. 17 n. 4, in cui la pianista ha saputo trovare un’intima espressione, raccolta e di una sobria malinconia, veramente sublimi. Tocca dirlo, però: la differenza con il Preludio op. 32 n. 12 di Rachmaninov è stata immensa. Si è percepita immediatamente la differenza rispetto al resto del programma, giocata in primo luogo sul suono. Sia chiaro, negli autori del primo Ottocento il fatto di non esasperare contrasti dinamici tradisce una notevole consapevolezza del più delicato e raffinato suono degli strumenti di Schumann e Chopin (anche se, pure qui, ben più varietà timbrica andava trovata per rendere giustizia agli autori). Alle prime note di Rachmaninov, però, si è percepita subito l’immediatezza nel comprendere l’universo sonoro ed espressivo dell’autore.

Difficile trarre veramente una conclusione dunque. La musicista è decisamente impressionante per la sua età e se non posso condividere le manifestazioni di rutilante entusiasmo che propongono Alexandra Dovgan come una pianista dalla personalità fatta e pronta a scavare nelle profondità della musica, è anche vero che le radici sono molto ben piantate e Dovgan sa ricercare in primo luogo il valore musicale. In questo sta forse anche un grande rischio, ossia che questo valore musicale diventi assoluto, nel suo significato di isolato, fine a se stesso, completamente slegato dal mondo che lo circonda. Nel concerto del 24 giugno mancavano la tensione drammatica, l’allegria sfrenata, la dolcezza amorevole, l’estatica contemplazione, insomma mancava quel contenuto emotivo che trova linfa nella musica per cambiare in mille umori, mille caratteri. Per questo serve maturare, ma serve anche sapersi prendere il proprio spazio. Ma se il turbinio di concerti non ne soffocherà la crescita e se Dovgan si saprà dare tutto il tempo che serve, non ho dubbi che nei prossimi anni possa diventare in una delle interpreti più interessanti e profonde che avremo.

Alessandro Tommasi
(24 agosto 2021)

La locandina

Pianoforte Alexandra Dovgan
Programma:
Robert Schumann
Waldszenen op. 82
Fryderyk Chopin
Quattro Ballate
Andante spianato e Grande polacca brillante op. 22
Bis
Sergej Rachmaninov
Preludio op. 32 n. 12
Fryderyk Chopin
Valse brillante op. 34 n. 1
Mazurca op. 17 n. 4

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