Venezia: un dittico di anniversari

È piuttosto facile immaginare che Luigi Nono e Giuliano Scabia non avrebbero fatto una piega nell’apprendere che un’esecuzione de La fabbrica illuminata saltava per uno sciopero indetto dai dipendenti della Fenice. Le ragioni e la protesta dei lavoratori della Fondazione lirico-sinfonica veneziana – relative, a quel che si apprende, allo stato asseritamente molto insoddisfacente delle relazioni sindacali – appartengono a un mondo totalmente diverso da quello evocato in questa composizione del 1964, dedicata ai lavoratori dell’Italsider di Cornigliano (dove il suono della fabbrica fu registrato), lancinante e poetica “meditazione” sulle tremende (a tutti gli effetti mortali) condizioni del lavoro in fonderia nell’Italia dei primi Anni Sessanta. Ma Nono a lungo fu convinto (ancora ne parlava nel 1975, sfidando con la sua musica un refrattario pubblico di giovani, peraltro, a lui ideologicamente vicini) che l’obiettivo in cui credeva, l’egemonia culturale della classe operaia, fosse possibile solo unendo tutte le risorse culturali. E fece la sua parte con una dedizione intellettuale che oggi – dopo che tutto è cambiato – appare comunque significativa.

È meno facile immaginare che cosa ne avrebbe pensato Arnold Schoenberg, al cui monodramma Erwartung (1909) è toccata la stessa sorte della Fabbrica illuminata: la rappresentazione inaugurale alla Fenice è saltata per l’agitazione sindacale perché le due composizioni sono state riunite in un dittico sicuramente originale e inedito, in fondo a Venezia doveroso.

Questo spettacolo propone infatti un intreccio di anniversari e di relazioni umane raro da trovare. Il centocinquantenario della nascita di Schoenberg – il 13 settembre – si sovrappone al centenario della nascita di Nono, celebrato già alla fine di gennaio con la ripresa del suo Prometeo nella stessa chiesa sconsacrata veneziana di San Lorenzo dov’era stato proposto per la prima volta 40 anni fa; La fabbrica illuminata  compie in questo mese di settembre 60 anni; Erwartung è stato rappresentato esattamente un secolo fa, a Praga, dopo che il suo autore aveva atteso per 15 anni il momento della prima rappresentazione, avendo compiuto l’opera quasi in una trance creativa nel giro di una ventina di giorni alla fine dell’estate del 1909. E poi naturalmente c’è il legame familiare, costituito dalla presenza ancora straordinariamente operosa di Nuria Nono, classe 1932, la figlia di Schoenberg che quattro anni dopo la morte del padre (avvenuta nel 1951) sposò il giovane compositore veneziano che aveva conosciuto ad Amburgo in occasione della prima esecuzione assoluta, postuma, dell’opera incompiuta Moses und Aron.

Dice Nuria Nono – nell’intervista pubblicata sul programma di sala – che suo padre da giovane era stato socialista. E si può almeno supporre, quindi, che pur essendo stato per tutta la sua vita guidato dall’inflessibile e rigorosa convinzione del primato dell’arte sulla vita, un’iniziativa dei lavoratori pur con l’effetto di fermare la musica avrebbe potuto trovare da parte sua qualche comprensione, se non una vera approvazione.

In ogni caso, il dittico in scena dal 15 settembre per quattro volte (diretta su Radio3 martedì 17 settembre alle 19) propone due esempi di musica in diversi modi icasticamente “rappresentativa” dell’evoluzione dell’idea stessa di modernità lungo il Novecento.

Nel pieno della fase più “ideologica” del suo percorso creativo, Nono compie con La fabbrica illuminata un passo decisivo nella sua sostanziale emancipazione dagli “astratti rigori” della scuola di Darmstadt, dove si era formato durante gli anni Cinquanta ma dalla quale aveva già preso ormai definitivamente le distanze. La tecnologia – nastro magnetico a quattro piste per registrare i rumori della fonderia – fa uno dei primi ingressi nella sua cifra compositiva, ma quello che colpisce è la già evidente capacità del compositore di trovare una chiave espressiva oltre la barriera del suono apparentemente invalicabile. Il “miracolo” avviene grazie alla voce di soprano che percorre e accompagna tutta la composizione, sia dal vivo che in versione fissata nella registrazione, a delineare una sorta di vertiginosa “nuova polifonia” nel rapporto fra le parole dette, cantate, declamate, che rimbalzano fra l’esecuzione dal vivo e quella registrata. Il tema che scorre nel testo di Giuliano Scabia – e solo alla fine trova una parziale dimensione consolatoria in quattro versi di Cesare Pavese – è quello del lavoro che uccide. E l’impatto drammatico della perorazione è se possibile aumentato dal contrasto fra il carattere storicizzato dell’invenzione sonora-musicale e la tragica attualità di un passato che non passa.

Dall’impegno civile contro la morte sul lavoro, che diventa poesia del suono alla maniera di Nono, questo dittico (che abbiamo seguito alla prova generale di mercoledì 11 settembre) conduce nella seconda parte alla soggettività espressionista di forte connotazione psicotica del personaggio femminile senza nome che dà vita al monodramma Erwartung (L’attesa). Sempre, tuttavia, nel segno della morte. Immaginata, desiderata, forse inflitta dalla protagonista.

Molti anni dopo, Schoenberg avrebbe sintetizzato in maniera lucidissima la natura di questo capolavoro enigmatico e perturbante, su testo di Marie Pappenheim. In questa partitura, avrebbe scritto il compositore (lo cita Gianmario Borio in un saggio pubblicato sul programma), il suo obiettivo era “rappresentare al rallentatore ciò che accade in un unico secondo di massima eccitazione spirituale, distendendolo in mezz’ora”. Musica come poche introspettiva, dunque, che trova nel prodigioso versante orchestrale (orchestra amplissima ma estremamente duttile e frequenti concessioni a colori rarefatti, trasognati) un risvolto drammaturgico pari e forse superiore alla franta linea del canto, variamente declamato.

Affidato alla regia di Daniele Abbado (scene e luci di Angelo Linzalata, costumi di Giada Masi, movimenti coreografici di Riccardo Micheletti), lo spettacolo ha delineato una coinvolgente e convincente sintesi visuale dell’intensità espressiva diversa che anima le due partiture. In entrambi i casi la protagonista femminile è circondata da presenze umane: quelle degli operai in fabbrica nel caso di Nono, quella onirica e simbolica di corpi senza vita nell’oscurità nel caso di Schoenberg. In entrambi i casi ciò che si vede è il teatro in quanto tale: la scena è sostanzialmente vuota, con i dispositivi tecnici (americane, ballatoi) che diventano elementi di contestualizzazione di un racconto universale.

Colpiscono, nella Fabbrica illuminata, le stupende immagini d’epoca di Lisetta Carmi, proiettate con misura sullo sfondo: un inferno baluginante in bianconero che diventa presenza reale nella pioggia di scarti di lavorazione siderurgica che si accumulano in una sorta di culla sospesa prima di rovesciarsi su chi sta sotto.

Colpisce il lavoro sulle luci in Erwartung, fino a trasformare la luna – ossessiva e ricorrente nel monodramma – in un’inquietante allusione, metaforica quanto tecnologicamente concreta. Convince il rigore che diventa poesia teatrale anche aspra, sempre altamente umana, come le presenze che attorniano le due protagoniste mettono in evidenza per contrasto (in Schoenberg) o per simbiosi esistenziale (in Nono).

Il soprano nella composizione dell’autore veneziano è Sarah Maria Sun, che ha sostituito all’ultimo Valentina Corò e si è fatta valere per la tagliente drammaticità, la tenuta in sovracuto, l’ottima sensibilità scenica. Gesti forse un po’ “ottocenteschi” ma vocalità di sicuro impatto, stilisticamente in perfetta linea espressionista ha messo in evidenza Heidi Melton in Erwartung. Nel monodramma, impeccabile la lettura dal podio da parte di Jérémie Rhorer: senza nessuna indulgenza tardo-romantica, incalzante grazie anche a tempi giustamente animati, di rivelatoria ricchezza timbrica. L’orchestra della Fenice lo ha seguito al meglio, rendendosi protagonista di una prova maiuscola per ricchezza di sfumature e forza di espressione. Per Nono, sontuosa la regia del suono di Alvise Vidolin: dentro all’acustica perfetta della Fenice, un apporto sostanziale per cogliere tutto il fascino di questo lavoro fondamentale.

Cesare Galla
(11 settembre 2024)

La locandina

Direttore Jérémie Rhorer
Regia Daniele Abbado
Scene e light designer Angelo Linzalata
Costumi Giada Masi
Movimenti coreografici Riccardo Micheletti
Regia del suono Alvise Vidolin
Video designer Studio Vertov di Luca Scarsella (Milano)
Foto Lisetta Carmi © Martini & Ronchetti, courtesy archivio Lisetta Carmi
Personaggi e interpreti:
LA FABBRICA ILLUMINATA 
Soprano Sarah Maria Sun
ERWARTUNG (Attesa) 
Una donna Heidi Melton
Orchestra del Teatro La Fenice

5 1 voto
Vota l'articolo
Iscriviti
Notificami

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

0 Commenti
più vecchi
più nuovi più votati
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti