Venezia: Frozen Dorilla

Nel catalogo delle opere di Vivaldi Dorilla in Tempe, ci sembra titolo debole rispetto ad altri per tutta una serie di motivi che ne fanno un lavoro gradevole ma non trascinante.

La Dorilla, che giunge a noi nell’ultima delle quattro versioni, quella del 1734, che Vivaldi elaborò a partire dalla prima del 1726, è un sapientissimo pastiche di arie prese a prestito, per altro seguendo una prassi assai comune, e cucite con maestria a dar vita ad una vicenda che passa in sottordine rispetto allo sfoggio di bravura permesso ai cantanti.

Se le arie di maggior effetto, sono ascrivibili a Sarro, Leo, Giacomelli, Hasse, i recitativi e i cori, che costituiscono la nervatura dell’opera, sono totalmente vivaldiani e costituiscono il vero motivo d’interesse.

Alla Dorilla mancano l’ironia del Giustino e il fuoco dell’Orlando furioso e tuttavia non ci si annoia ad assistere agli amori contrastati di principesse, ninfe pastori e dèi, soprattutto se l’allestimento e l’esecuzione musicale le conferiscono nobiltà.

Per l’occasione si ricostituisce il quintetto che aveva portato al successo, la scorsa stagione, l’Orlando furioso e che rinnova l’impresa con esiti altrettanto favorevoli.

La struttura candida, immaginata da Massimo Checchetto, richiama le atmosfere di Villa Pisani a Strà e si arricchisce di elementi vegetali e decorativi che caratterizzano e scandiscono il volgere delle stagioni: tralci fioriti per la Primavera, fronde verdi per l’Estate, alberi e foglie per l’Autunno, neve in Inverno.

Su questo impianto Fabio Ceresa modella la narrazione, intesa come processo di maturazione della protagonista, che da bimba viziata in primavera diviene donna matura in inverno. Intorno a lei si muovono gli altri personaggi, forti di caratterizzazioni precise, a cominciare da Admeto, qui monarca sprovveduto e padre inadeguato che lotta con i suoi stessi vestiti, per venire ad Apollo/Nomio amante sfortunato del quale vediamo rappresentatigli insuccessi, da Clizia a Dafne passando per Narciso e giungendo fino a Marsia, in sapide controscene.

Se Fattoria Vittadini non esistesse bisognerebbe inventarla; Mattia Agatiello, coreografo e assistente alla regia, fa sì che i movimenti mimici e coreutici dei danzatori trovino perfetta integrazione con le idee di Ceresa e le completino. Ecco dunque il Pitone che si muove come un drago cinese, i pastori lascivi e pigri che popolano l’Estate, i cervi autunnali.

Tutto è fluido, leggero eppure denso di significato in una perfetta unione di dramma e commedia.

Giuseppe Palella, fresco di Premio Abbiati, veste tutti con costumi immaginifici e bellissimi, primi su tutti quelli di Dorilla, che passa da essere un’indisciplinata Barbie Primavera che stizza l’occhio a Kenzo a Elsa, eroina del disneyano Frozen.

Attorno a lei, in un tripudio di colori, Admeto che somiglia al Re di Denari delle carte napoletane, sempre in lotta, come si diceva, con un mantello dallo strascico esagerato, Apollo, che sotto la casacca di da pastore indossa una cotta di paillettes dorate, ed Elmiro che incarna il prototipo del “giovin signore” amante delle tinte pastello.

Meravigliose le maschere, da quella della Pizia alle teste di cervo dell’Autunno.

Diego Fasolis, alla testa dell’Orchestra della Fenice “barocchizzata” per l’occasione, con i violini con corde di budello, estrae con sapienza tutto il buono della partitura e della sua eterogeneità per renderlo all’ascolto secondo una poetica completamente vivaldiana.
I tempi sono serrati ma mai affrettati, la resa delle dinamiche ben meditata, l’attenzione ai recitativi – complice il cembalo di Andrea Marchiol, cui è affidato anche il rigoglioso continuo – costante.

Nel complesso moto buona la compagnia di canto, a cominciare da Manuela Custer che dell’eroina eponima rende ogni sfaccettatura attraverso un canto luminoso e sapiente negli accenti.
Lucia Cirillo è un Elmiro di bella espressività, fondata su una gamma di colori ampia e ben impiegata, così come Valeria Girardello è Eudamia dal timbro caldo e dal fraseggio sempre meditato.

Michele Patti – Admeto – coglie perfettamente la natura di mezzo carattere del personaggio e lo rende con vocalità accattivante e sapienza nel gesto scenico.

Il Nomio/Apollo di Véronique Valdés stride un po’ in acuto ma è tutto sommato più che discreto, mentre convince totalmente Rosa Bove nei panni di Filindo.

Bene il Coro, preparato da Claudio Marino Moretti.

Teatro pieno e successo, meritato, per tutti.

Alessandro Cammarano
(23 aprile 2019)

La locandina

Direttore Diego Fasolis
Regia Fabio Ceresa
Scene Massimo Checchetto
Costumi Giuseppe Palella
Light designer Fabio Barettin
Assistente alla regia e coreografo Mattia Agatiello
Personaggi e interpreti
Dorilla Manuela Custer
Elmiro Lucia Cirillo
Admeto Michele Patti
Nomio Véronique Valdés
Eudamia Valeria Girardello
Filindo Rosa Bove
Ballerini Fattoria Vittadini
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Maestro al cembalo e continuo Andrea Marchiol

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