Venezia: il fischio di Mefistofele risveglia la Fenice
Che Arrigo Boito sia uomo di teatro dai talenti sublimi è un dato di fatto, al quale se ne unisce un altro, sostanziale nella sua poetica, ovvero l’ironia iconoclasta della Scapigliatura.
Mefistofele è, de facto, il manifesto dell’estetica boitiana, un insuccesso – la prima milanese del 1868 fu un un disastro – annunciato e forse in qualche modo ricercato, ma che assolse al compito di “denudare” il pubblico degli stilemi ai quali era avvezzo e soprattutto di stigmatizzare un passatismo che a detta degli scapigliati affliggeva le arti italiane e in particolar modo l’opera concepita come una serie di numeri chiusi al contrario di quella tedesca che si era nel frattempo evoluta grazie alla rivoluzione di Wagner.
Una serie di provocazioni, prima tra tutte l’eroe eponimo che fischia al pubblico è che un antesignano del teatro d’avanguardia del Novecento, risultarono inaccettabili agli spettatori.
Della prima versione, sostanzialmente distrutta dall’autore, non resta praticamente nulla e oggi si rappresenta quella, rivista dall’autore, andata in scena nella “filowagneriana” Bologna nel 1875 e che fu un successo.
Alla Fenice Mefistofele torna a sfidare il Cielo dopo cinquantacinque anni – l’ultima volta fu nel 1969 – nell’edizione critica di Antonio Moccia che tiene conto delle sostanziali revisioni nell’orchestrazione che Boito introdusse nella ripresa proprio nel teatro veneziano del 1879 e in quella scaligera del 1881 e con uno spettacolo decisamente riuscito.
La coppia registica Moshe Leiser e Patrice Caurier – a Leiser va ascritto anche l’efficace impianto scenico che rappresenta le tristezze e i disastri che attengono alla società attuale, coadiuvato dai video di Etienne Guiol e dalle luci di Christophe Forey – colgono l’essenza profonda del Mefistofele, ovvero quell’ironia irridente della quale si diceva poco sopra e l’intento di Boito nel far ridere il pubblico, magari a denti stretti, è pienamente risolto.
L’ambientazione è dunque contemporanea – i costumi curatissimi sono di Agostino Cavalca – e nel Prologo in Cielo, forse il meno risolto da parte dei registi dal punto di vista drammaturgico, si muove un Mefistofele un po’ sfigato costretto a guardare “CattoTv”, ovvero la rete televisiva della concorrenza senza riuscire a cambiare canale.
Da lì in avanti l’azione cresce in intensità con il demonio a tentare un Faust qui più contabile tristolino che non filosofo alla ricerca del Bello trascinandolo nei festeggiamenti della Domenica di Pasqua, dopo averlo iniziato all’eroina – un po’ cliché ma efficace a rendere contemporaneo l’elemento del viaggio fantastico –, trasformata in un pomeriggio di derby calcistico con protagonista il Francoforte supportato da cheerleader.
Perfetto il giardino di Martha – questa in versione Saraghina di felliniana memoria – tenutaria di un Biergarten un po’ triste nel quale troneggia un maialone portafortuna; da qui si ascende al Brocken dove il sabba è un rave che culmina con l’incendio della foresta.
Geniale il sabba classico del quarto atto, giocato sul teatro nel teatro – altro cliché, ma veniale e nell’occasione divertente – con un’Elena primadonna alla quale fanno eco Pantalis e ii coro.
Tutto scorre con fluidità, a ritmo di musica, a raccontare con una leggerezza che fa da contraltare alla tonitruanza orchestrale, dando vita ad uno spettacolo assai godibile che si giova anche delle ben concepite coreografie di Beate Vollack.
Nicola Luisotti regge il discorso musicale affidandosi ad un solido mestiere – con lui l’orchestra in buono spolvero – garantendo un ottimo equilibrio tra buca e palcoscenico, ma soprattutto dando vita ad una lettura vibrante nelle soluzioni dinamiche e convincente nei ritmi e nei tempi.
Del ruolo titolo Alex Esposito si rivela interprete magnifico. La voce va trovando di anno in anno bruniture suadenti e si va approfondendo nei gravi; a questo si unisce un talento attoriale che ha del miracoloso, il tutto a fare del suo Mefistofele un riferimento non solo per quanto attiene al presente.
Piero Pretti, esperto nocchiero della vocalità, esce pressoché indenne dalle correnti perigliose in cui la tessitura boitiana lo colloca dando voce e corpo ad un Faust volutamente dimesso – come chiede la regia – ma tutt’altro che privo di spessore.
Meno bene fa Maria Agresta, che è sembrata in condizioni non perfette, è parsa più preoccupata di arrivare in fondo alla serata che non di colorare le mille sfumature di Margherita. Le auguriamo con tutto il cuore di far meglio alle recite che verranno.
Bene fanno Maria Teresa Leva nei panni di Elena e Kamelia Kader nel doppio ruolo di Martha e Pantalis. Corretto Enrico Casari come Wagner e Nereo.
Sugli scudi il coro preparato da Alfonso Caiani e protagonista di una prova maiuscola, così come bene si comportano le voci bianche dei Piccoli Cantori Veneziani diretti da Diana D’Alessio.
Successo meritato per tutti, con ovazioni a Esposito e ai registi.
Alessandro Cammarano
(12 aprile 2024)
La locandina
Direttore | Nicola Luisotti |
Regia | Moshe Leiser e Patrice Caurier |
Scene | Moshe Leiser |
Costumi | Agostino Cavalca |
Light designer | Christophe Forey |
Video designer | Etienne Guiol |
Coreografia | Beate Vollack |
Personaggi e interpreti: | |
Mefistofele | Alex Esposito |
Faust | Piero Pretti |
Margherita | Maria Agresta |
Marta/Pantalis | Kamelia Kader |
Elena | Maria Teresa Leva |
Wagner/Nereo | Enrico Casari |
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice | |
Maestro del Coro | Alfonso Caiani |
Coro voci bianche Piccoli Cantori Veneziani | |
Maestro del Coro | Diana D’Alessio |
Altro maestro del Coro | Zoya Tukhmanova |
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