Venezia: le Barche di Brian Eno verso orizzonti luminosi

All’annuncio del Leone d’Oro alla carriera, assegnato quest’anno a Brian Eno nell’ambito di una Biennale Musica il cui filo conduttore è l’elettronica, si sono visti svariati arricciamenti di naso uniti a dichiarazioni del tipo “quella Brian Eno è electropop” o peggio “musica da centro benessere” e dunque non degna di un riconoscimento tanto importante, che per inciso ha visto premiate in passato personalità che vanno da Manzoni a Berio e da Boulez alla Gubaidulina.

Esaurito il preambolo resta il fatto che il rock è musica colta e nel corso dei decenni ha trovato sempre maggiori e virtuose contaminazioni con la musica classica.

Sulla carriera del compositore britannico, che dal 1970 ad oggi ha pubblicato settantun album e che ha inventato il genere Ambient portandolo ai massimi livelli, non possono esserci dubbi; se poi si aggiungono le sue collaborazioni con i Roxy Music e i Talking Heds – ovvero con il Gotha del Glam Rock – cui si somma il contributo essenziale ai tre album berlinesi di David Bowie allora il quadro si completa componendo il ritratto di una delle figure di maggior spicco nel panorama musicale a cavallo del secolo scorso e di quello presente.

Il punto di forza di questo Leone d’oro è il traguardo raggiunto da Eno che su commissione della Biennale ha fatto incontrare l’elettronica e il mondo degli algoritmi musicali che costituiscono i pilastri della sua estetica non solo musicale – la sua curiosità verso ogni forma d’arte è nota – con un’orchestra tradizionale, dando vita ad una sorta di sincretismo tra suono naturale e suono di sintesi pensato per uno spazio teatrale circoscritto.

Il risultato è Ships, rielaborazione in chiave sinfonica, di site specific The Ship (2014), installazione album in cui la musica e il canto trovavano perfetta spazializazione in un racconto ininterrotto di suoni e che divenne nel 2016 l’album The Ship.

Essenziale nel nuovo lavoro, presentato in un Teatro la Fenice pieno all’inverosimile, è, come si diceva, la collaborazione con la Baltic See Phiharmonic, tra l’altro apparsa notevolmente ringiovanita nel suo organico, che di fatto esegue una partitura non scritta ma semplicemente – si fa per dire – memorizzata dagli esecutori e di conseguenza seducentemente aleatoria.

A voler sottilizzare si potrebbe evidenziare il fatto che la parte strumentale poggi su solidi accordi che rimandano più all’accademia che all’avanguardia, ma comunque efficaci e funzionali ad una narrazione che non vuole essere “di rottura”

Kristjan Järvi più che dirigere diviene l’officiante di una liturgia in cui la musica viene disegnata e “fisicizzata” non attraverso il suono stesso ma anche e soprattutto dal movimento degli orchestrali e da un gioco di luci morbidamente mutevole.

Magnifiche la prove di Leo Abrahams alle chitarre, di Peter Serafinowicz come voce aggiunta, così come notevoli sono ritultati Melanie Pappenheim (vocals) e Peter Chilvers (tastiere).

Il punto più alto lo si tocca quando Eno intona “Fickle sun”, nella quale un giovane soldato narra l’orrore di guerre passate ma che in questo momento sono tragicamente attuali.

Il pubblico, massiccia la componente giovane, si lascia coinvolgere dalle suadenze vocali di Eno, che a settantacinque anni ha ancora voce fresca, dall’elettronica mai proterva e dalle morbidezze decretando un successo pienissimo.

Alessandro Cammarano
(21 ottobre 2023)

La locandina

Direttore e orchestrazione live Kristjan Järvi
Voce Brian Eno
Altra voce Peter Serafinowicz
Vocals Melanie Pappenheim
Chitarre Leo Abrahams
Tastiere Peter Chilvers,
Baltic Sea Philharmonic
Programma:
Brian Eno
Ships (2023)
Prima esecuzione assoluta
Commissione La Biennale di Venezia

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