Venezia: Mahler e l’Apocalisse di un mondo in disfacimento

La Quarta di Mahler è espressione terribilmente vicina al momento presente; le certezze sgretolate dalla pandemia, la negazione della comunità e del contatto, la chiusura degli spazi della cultura.

Rientrare in un teatro vuoto di pubblico ma pieno della musica che dilaga nella platea, un po’ da clandestini, consci di essere dei privilegiati genera un misto di felicità e di tristezza.

L’ultraterrenità di Mahler è tragica e terrificante; Vita celestiale? Sì, ma quella di una dimensione che tutto è fuorché idilliaca, rappresentazione plastica di una realtà “altra” ma infinitamente più inquietante di quella “vera”, in una distopia crescente e via via sempre più inquietante.
La patina di finta spensieratezza agreste annunciata dal tintinnio dei sonagli all’inizio del primo movimento viene spazzata via subito, lasciando il posto ad un precipitare lungo un pendio sempre più scosceso; tornano e ritornano i sonagli in apparenza lieti, ma il passo di danza di trasforma in una ridda che annuncia l’apocalisse di un mondo in disfacimento.

Il secondo movimento ­– Im gemächlicher Bewegung – è liquefatto in rivoli di reminiscenze di un passato perduto e allo stesso tempo pulsante di contrazioni ritmiche angosciose.

Il terzo movimento – Ruhevoll – porta con sé echi di una calma che ad ogni battuta somiglia sempre più a una trenodía che richiama ciò che avrebbe potuto essere non è stato nella ricerca di una pace agognata è irraggiungibile; lo “scherzo” è foriero di tormenti più che di sollievo.

Il Lied conclusivo – “Das himmlische Leben”– ammanta definitivamente di un’ombra scura il paesaggio bucolico dove la spensieratezza è finzione; torna il tintinnio, ma è la morte che arriva.

Antonello Manacorda, e con lui un’orchestra in sempre partecipe, racconta tutto questo, incamminandosi per i sentieri più arcani dell’impaginato mahleriano con un misto di consapevolezza e di innocenza, mettendone a nudo il narrato che si dipana in una rapsodia ininterrotta capace di penetrare l’essenza ultima del suono.

Carmela Remigio, qui al suo debutto nel Lied su cui si incentra il quarto movimento, è sola sul palcoscenico e risulta un po’ penalizzata dal muro di suono nell’ascolto dal vivo, ma riascoltando tutto nella ripresa streaming – visibile sul canale YouTube del teatro – si rivela come interprete capace di cesellare la parola coniugandola in un canto meditatissimo.

Niente applausi alla fine: la musica torna nel silenzio da cui è venuta, ma in fondo il silenzio stesso è musica.

Alessandro Cammarano
(21 febbraio 2021)

La locandina

Direttore Antonello Manacorda
Soprano Carmela Remigio
Violino Enrico Balboni
Orchestra del Teatro La Fenice
Programma:
Gustav Mahler
Sinfonia n. 4 in Sol Maggiore

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