Venezia: Richard III, guitto feroce, lucido e grottesco
L’arena di Riccardo III è sbilenca come lo era la sua schiena, secondo una tradizione che dalla poesia di Shakespeare pochi anni fa è arrivata alla verità storica del regale scheletro trovato sotto al parcheggio di un supermercato di Leicester. Ai piedi dei gradoni arrugginiti di un circo abbandonato, tutti i personaggi si muovono sopra una distesa di sabbia rossa. Ci sono schiere di boia (o di soldati, o di cortigiani pronti a tradire) che sono in realtà muniti delle pale dei becchini. Quando scorre il sangue – e avviene in tragico, sconvolgente crescendo – questa sabbia viene sollevata, spostata, lanciata in alto: un effetto speciale che non ha bisogno di tecnologia per diventare l’immagine-simbolo di Richard III, l’opera di Giorgio Battistelli che finalmente è approdata in Italia, alla Fenice, tredici anni dopo il debutto di Anversa.
Lo spettacolo è firmato da Robert Carsen ed è un assoluto del teatro musicale degli ultimi decenni. La scena (Radu Boruzescu) allude alle consuetudini rappresentative inglesi dell’epoca di Shakespeare ma è anche un esplicito riferimento all’antichità classica, ai teatri greci e romani, con gradinate di un opprimente color antracite, ingressi coperti con lamiere ondulate. Uno scenario distopico, per molti aspetti senza tempo (anche se i costumi di Miruna Boruzescu alludono forse all’epoca vittoriana): un rudere che è anche il primo e maggiore simbolo di una drammaturgia avvincente sulla tragedia del potere.
In realtà, a differenza di quello che spesso avviene anche nei migliori esempi della regia di oggi, il simbolismo delle immagini (sottolineato dalle luci disegnate dallo stesso Carsen e da Peter Van Praet) è solo una cornice e una pre-condizione rappresentativa. Da subito, e in un crescendo avvincente, è il gesto a essere protagonista. Un gesto teatrale scabro ed essenziale, che affianca, sottolinea e accompagna il gesto musicale di Battistelli. Che vive di cangianti dettagli rivelatori, che racconta con l’evidenza del linguaggio del corpo la natura proteiforme dell’usurpatore salito al trono d’Inghilterra in un terrificante bagno di sangue: uno psicopatico per il quale la violenza e la morte sono insieme la causa e l’effetto del potere; un uomo mai amato, disperato nella sua solitudine, respinto dalla sua stessa madre che lo maledice con orrore; un mostro fisico e morale, che si vendica orrendamente dell’infermità e della deformità che il destino gli ha apparecchiato.
Carsen non sposa nessuna di queste tesi, ma tutte le mescola: la luciferina potenza del suo protagonista ne esce ingigantita e ancor più inquietante. Il suo Riccardo III è un feroce guitto che rappresenta se stesso e nello stesso tempo ne prende le distanze, lucido e grottesco al contempo; uno che recita la deformità, quando gli serve, ma che soprattutto dice cose terribili e induce a nefandezze spaventose – perché mai egli si sporca le mani di sangue, se non durante la battaglia che gli costerà la vita. Uno al cospetto del quale i cortigiani, i pari, i suoi stessi fratelli e nipoti provano un terrore che sconfina nell’attrazione fatale, come se assistessero a qualcosa di spaventevole dal quale fallacemente si sentono al sicuro. Riccardo III, come dice il memorabile verso che Shakespeare affida a sua madre, la duchessa di York, è “un ragno nella bottiglia”: lo spettacolo del Male da cui ci si crede protetti. E invece il veleno fa ugualmente il suo lavoro.
Evidenza di una realizzazione nata dall’interazione fra tutti i suoi creatori, lo spettacolo di Carsen ha il ritmo incalzante e la forza suggestiva del libretto di Ian Burton, che ha dovuto giocoforza lavorare non di lima ma di mannaia sullo sterminato dramma shakespeariano, quasi mai lasciando scoprire i punti di sutura rispetto al plot, e sempre conservando l’energia icastica della parola – anche quella originale. Su di essa lavora con rapinosa forza comunicativa anche Giorgio Battistelli, che conferma il suo multiforme talento teatrale con una partitura di ricchezza a volte quasi stordente. Una musica libera da vincoli tonali ma non arbitrariamente astrusa, che spazia nell’armonia con duttilità e grande forza teatrale. Rendendo di fatto inutile ogni interrogativo sullo stile e sui suoi legami storici.
Ci sono grandi pagine sinfoniche, in questa partitura, specie nel primo atto, di impatto perfino brutale, quasi di marchio espressionistico, ma anche trasparenze di insinuante eleganza, grazie ad uno strumentale molto ampio e duttile, pronto a scendere nei dettagli. Il climax drammatico che porta al finale del primo atto, quando Lord Hastings viene mandato a morte, è uno dei momenti più alti dell’opera e culmina in una pagina corale di formidabile sapore “arcaico”, che prontamente Carsen sviluppa portando i cantori a muoversi come il coro di una tragedia greca. La scrittura vocale è declinata secondo una multiformità che passa dal canto spiegato al declamato, dal recitativo al parlato vero e proprio, sempre mantenendosi dentro alla parola ed esaltando la sua drammaticità con immediatezza di forte impatto comunicativo.
La compagnia di canto è ammirevole sia sul piano musicale che su quello teatrale. Il baritono Gidon Saks è un Richard III di formidabile tenuta scenica, un mattatore a tutti gli effetti, che affascina e inquieta per come si muove, per il gesto, per gli sguardi (o le smorfie) non meno che per una tenuta vocale che spazia lungo tutta la vasta tessitura disegnata da Battistelli, fino al perfetto raggelante acuto che segna la sua morte in battaglia. Intorno a lui, nel foltissimo cast, autorevoli e intensi il Buckingham sornione e astuto di Urban Malmberg, ultimo a cadere sotto la violenza del suo re e l’Hastings di Simon Schnorr; desolato e attonito l’Edoardo IV di Philip Sheffield, rassegnato il Clarence di Christopher Lemmings. Fra le donne, spicca l’amareggiata Lady York, la madre di Richard, disegnata da Sara Fulgoni: nella gran scena della maledizione al figlio ha l’altera disperazione dei grandi personaggi melodrammatici ottocenteschi. Annalena Persson è una Lady Anne di ottima caratterizzazione scenica ma di vocalità un po’ forzata, specie nella zona acuta (ma bisogna tenere conto che la scrittura della sua parte è particolarmente spinta). Precisa Christina Daletska, dolente Lady Elisabeth. Impeccabile il coro istruito da Claudio Marino Moretti: ottimo nei movimenti di scena, anche complessi, che Carsen gli affida; musicale e preciso nel dare conto dei vasti passaggi corali delineati da Battistelli, che lo impegnano anche fuori scena. Dal podio, Tito Ceccherini ha dipanato la complessa ma non astrusa materia sonora con grande energia, forti accensioni dinamiche, dettagli ben distinti nello strumentale (in cui grande evidenza hanno le percussioni) ottenendo dall’Orchestra della Fenice una risposta di grande efficacia.
Teatro al completo, accoglienze trionfali per tutti. Resterebbe da chiedersi perché un lavoro di tale importanza, con musica di un autore italiano, abbia dovuto attendere tredici anni prima di essere rappresentato in Italia, grazie alla Fenice. Ma è inutile: la risposta sarebbe tristemente ovvia.
Cesare Galla
(Venezia, 29 giugno 2019)
La locandina
Direttore | Tito Ceccherini |
Regia | Robert Carsen |
Assistente regia | Frans Willem de Haas |
Scene e Costumi | Radu & Miruna Boruzescu |
Light designer | Robert Carsen e Peter Van Praet |
Drammaturgo | Ian Burton |
Regia del suono | Davide Tiso |
Richard III | Gidon Saks |
Duchess of York | Sara Fulgoni |
Lady Anne | Annalena Persson |
Queen Elisabeth | Christina Daletska |
Buckingham | Urban Malmberg |
Richmond | Paolo Antognetti |
Edward IV | Philip Sheffield |
Clarence/Tyrrel | Christopher Lemmings |
Hastings | Simon Schnorr |
Lovell | Zachary Altman |
Catesby/Rivers | Till von Orlowsky |
Ratcliffe/Brackenburry | Szymon Chojnacki |
1st Murderer/Archibishop | Matteo Ferrara |
2nd Murderer/Mayor | Francesco Milanese |
Prince Edward | Jonathan De Ceuster |
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice | |
Maestro del Coro | Claudio Marino Moretti |
Kolbe Children’s Choir | |
Maestro del coro | Alessandro Toffolo |
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