Venezia: Steen-Andersen, Monteverdi e il Ritorno
Tutto quello che non avreste mai immaginato sull’Arsenale di Venezia. Ma anche, molte cose di grande interesse intorno a un’opera rappresentata in uno dei primi teatri pubblici aperti nella capitale della Serenissima Repubblica, opera che appartiene ancora oggi al repertorio (o almeno, all’interesse di molti interpreti e di molti teatri), pur con le molte incertezze che la pratica esecutiva odierna comporta rispetto a un lavoro nato nel 1640.
Non per caso “Out of Stage”, il festival progettato quest’anno dalla direttrice della Biennale Musica Lucia Ronchetti per indagare i confini e le prospettive della contemporaneità nel teatro per musica, si rivolge anche al passato. Perché, in fondo, la sperimentazione di cui oggi si vuole delineare la mappa presenta collegamenti niente affatto banali – per quanti riguarda il metodo creativo – con l’epoca in cui tutto nel neonato teatro per musica era in fondo sperimentazione. Quando prendevano forma non solo linguaggi musicali specifici per la scena, ma arti rappresentative ad essi collegate in maniera indissolubile e talvolta preponderante, determinante. Come anche oggi si torna a fare. Ovviamente nel segno delle tecnologie più attuali.
A proposito dei possibili elementi di contatto, creativi e metodologici, fra l’opera dei primordi e quella del XXI secolo, esemplare è parsa la novità di Simon Steen-Andersen presentata al Teatro Piccolo Arsenale, commissionata appunto dalla Biennale. The Return (a.k.a. Run Time Error @Venice feat. Monteverdi) è infatti una complessa e multiforme indagine in forma di teatro musicale contemporaneo (“Music Theatre per tre cantanti, ensemble barocco, oggetti e video” – dice il sottotitolo) su una delle opere veneziane di Claudio Monteverdi, appunto Il ritorno di Ulisse in patria. Si tratta di un’operazione composita e complessa, che nell’insieme raggiunge la forza espressiva e comunicativa di un prodotto multimediale sperimentale, nel quale video e musica interagiscono a scavalco e integrazione dei rispettivi “limiti” tecnici. Non manca l’elemento sonoro-visuale della video-installazione che di Steen-Andersen è un po’ il “marchio di fabbrica” più noto, quel Run Time Error nel quale l’autore insegue con il suo inseparabile microfono le evoluzioni casuali di una pallina, che scendendo attraverso accidentati percorsi a ostacoli mette in moto meccanismi di vario tipo ed effetti sonori conseguenti, rapportandosi peraltro anche con gli spazi nei quali l’installazione viene per così dire “ambientata”. E dunque, in questo caso, alla fine la pallina finisce per correre anche attraverso la platea del Teatro Piccolo Arsenale.
Coerentemente con il ruolo assunto dall’invenzione scenotecnica alla metà del Seicento, in questo Ritorno l’elemento più caratterizzante è quello visivo, realizzato con una fantasia pari alla sofisticatezza tecnica. Steen-Andersen si prende il ruolo del “raccoglitore di suono”, come nella citata video-installazione, ma soprattutto la sua impostazione registica costruisce un racconto per immagini che nello svelare angoli insospettabili dell’Arsenale, o di Venezia stessa, si basa spesso su lunghissimi “piano sequenze”, cioè riprese senza interruzioni (straordinario il “Camera Performer” Peter Tinning). Il risultato è che ogni spettatore viene messo in una condizione di visione soggettiva, come se avesse avuto egli stesso in mano la videocamera. Ma poi questo effetto è contraddetto, con notevole risultato rappresentativo, dall’interazione, non inedita ma costruita in maniera sofisticata, fra ciò che avviene nel video e ciò che fanno gli esecutori in palcoscenico. Cantanti e musicisti, in effetti, passano disinvoltamente dallo spazio reale della scena a quello della rappresentazione, grazie al montaggio “entrando” letteralmente nello schermo. E tramite il video attraversano il mondo rivelato dell’Arsenale o quello più noto delle calli veneziane.
Fra gli elementi dello spettacolo ci sono anche due telefonate-intervista, nello stile di un documentario. Nella prima, il critico musicale Stefano Nardelli offre gli indizi documentari più aggiornati per capire in quale zona di Venezia sorgesse fino al 1715 il teatro di San Giovanni e Paolo, dove ebbe luogo la prima rappresentazione dell’opera di Monteverdi e del quale non rimane alcuna traccia. (Per gli interessati: Calle larga Berlendis, alla fine di Calle de la Testa, ora Calle dello Squero, non lontano dalle Fondamenta Nuove). Nella seconda, di carattere squisitamente musicologico, il compositore-regista dialoga con la storica della musica americana Ellend Rosand, forse la maggiore specialista monteverdiana dei nostri tempi. Il tema è la scena del terzo atto con i fantasmi dei Proci, già sterminati da Ulisse, che non risulta musicata da Monteverdi, il quale scrisse “la si lascia fuori per essere malinconica”. Secondo la musicologa, non un giudizio espressivo, ma un modo per dire che non era necessaria dal punto di vista drammaturgico.
A quasi 400 anni di distanza, Steen-Andersen non si perita di ricreare questa scena, proponendo immagini dei luoghi più misteriosi dell’Arsenale e una musica improntata allo stesso eclettismo post-moderno con il quale un po’ a sorpresa si vira in soluzione da “stand-up comedy” di totale attualità la figura di Iro.
In generale, ciò che si ascolta risulta però largamente debitore della “matrice” originale monteverdiana, sia negli interventi del puntuale Venethos Ensemble guidato dal violoncellista Massimo Raccanelli, ragguardevole anche per la duttile partecipazione alla produzione video; sia specialmente nell’ottima prova del soprano Giulia Bolcato, del tenore Anicio Zorzi Giustiniani e del basso Davide Giangregorio. I cantanti sono fondamentali perché in questa produzione rappresentano l’anello di congiunzione fra lo stile antico del canto e la sua moderna resa in video. Un compito che realizzano con pertinenza vocale ma soprattutto con impeccabile efficacia attoriale, nelle scene “in presenza” come in quelle videoregistrate.
Dopo 80 minuti di un viaggio a più dimensioni (si sta dentro a un capolavoro teatrale di Monteverdi, si constata come la sua arte non sia poi così lontana da certe soluzioni della musica jazz o popolare di oggi, si esplora l’Arsenale, si cammina per Venezia, si naviga nei canali…), la reazione del pubblico è di genuino entusiasmo.
Cesare Galla
(17 settembre 2022)
La locandina
Libretto | Giacomo Badoaro |
Rielaborato da | Simon Steen-Andersen |
Soprano | Giulia Bolcato |
Tenore | Anicio Zorzi Giustiniani |
Basso-baritono | Davide Giangregorio |
VenEthos Ensemble | |
Flauti a becco | Fabiano Martignago, Anna Chiara Mondin |
Violini | Giacomo Catana, Mauro Spinazzè |
Viola | Francesco Lovato |
Contrabbasso | Leonardo Galligioni |
Tiorba | Simone Vallerotonda |
Cembalo (anche regale) | Alberto Busettini |
Violoncello, direzione | Massimo Raccanelli |
Ideazione, regia, microfoni e joystick performer | Simon Steen-Andersen |
Camera performer | Peter Tinning |
Audio e video-interviste | Ellen Rosand, Stefano Nardelli |
Commissione | La Biennale di Venezia |
Con il sostegno di | Ernst von Siemens Music Foundation |
Produzione | La Biennale di Venezia |
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