Venezia: Tensione e controllo, gli Studi di Chopin secondo Lortie
Lunedì 28 ottobre il palco della Sala Grande del Teatro La Fenice di Venezia ha ospitato una delle grandi occasioni di Musikàmera: Louis Lortie e i 27 Studi di Chopin.
Di fronte ad un teatro piuttosto pieno, nonostante il lunedì sera, il pianista franco-canadese si è presentato con il suo solito approccio umile, dal sorriso sghembo e lo sguardo triste, quasi chiedesse scusa in anticipo: visto il concerto successivo, mi chiedo per cosa.
Certo, gli Studi di Lortie presentano alcune irregolarità non delle più canoniche: non vi si potrà trovare estetizzata eleganza, ogni sua scelta è votata e giustificata da un intento espressivo forte e marcato, a volte anche correndo il rischio di eccedere, ma con grande libertà agogica che mai è apparsa fuori controllo. Lortie suona in modo un po’ legnoso, con suono preciso e ruvido, con improvvise compressioni e decompressioni che persino di fronte ai conosciutissimi Studi è riuscito a ridare il colore dell’imprevisto. Nulla di tutto ciò da intendersi come lato negativo, sia ben chiaro: il controllo del pianista sullo strumento era pressoché totale, non semplicemente per disinvolta digitalità, di rara nitidezza, ma anche per gamma dinamica.
L’originalità dell’approccio inoltre non ha mai forzato la partitura né ha perso di coerenza, limitandosi a sottolineare analogie tematiche e fraseggi inaspettati. Sacrificando un po’ il colore, Lortie è riuscito a cavare dal Fazioli un suono ampio eppure non roboante, capace di percorrere tutta la Sala Grande della Fenice ma senza perdere di precisione.
Se a questo controllo uniamo i vertiginosi scarti di rubato e il suono scuro e greve, si potrà capire la mia affermazione sulla natura lignea del canadese, di cui ci si chiede perché non suoni più Brahms: tutta la tensione interiore che percorreva gli Studi, innervandoli, troverebbe nell’Amburghese una destinazione davvero ideale.
Non che l’effetto non sia riuscito negli Studi chopiniani: splendida l’op. 10, la più meccanicistica delle due, che dopo un inizio un po’ instabile nei primi due Studi e in particolar modo nel Secondo, cui sono spesso mancati gli appoggi nelle divisioni funzionali della mano destra, si è lanciato in una vertiginosa sequenza 4-5-6-7-8-9 di magnifico impatto.
Vermiglio e furibondo il Quarto, eppure mai urlato. Brillantissimo e danzante il Quinto. Mesto e teso il Sesto, con grande presenza dell’inciso alla mano sinistra, vero ostinato del brano, e una gestione delle due mani capace di sottilissimi rubati, che sfasavano il canto dall’ostinato giusto quel tanto da non rendere mai pedante il fraseggio.
Spettacolare il Settimo, forse il migliore di tutta la serata pur non essendo di certo uno dei più popolari: la gestione degli equilibri polifonici, unita alla ruvidità dell’elemento meccanico, ha creato davvero una propria identità timbrica allo Studio.
Ottimo anche l’Ottavo, leggero ma senza mai perdere appoggio o nitidezza nelle agilità, dalla grande uguaglianza.
A concludere questa sequenza fortunata, un Nono Studio di grande tensione espressiva, dalle frasi lunghe che hanno evitato il facile rischio di frammentarsi in un eccesso di respiri, pur mantenendone il tono affannoso.
Splendidi i Tre nuovi Studi scritti per il Metodo dei Metodi di Fétis-Moscheles: tra questi soprattutto il Terzo si è distinto, che ha mostrato tutto il carattere pre-skrjabiniano di questi brevi brani del 1839. Splendidi anche gli Studi op. 25, la cui scrittura più ampia avrebbe a volte però beneficiato di un maggiore legato e un suono più morbido.
Tra i migliori il leggero ed elegante Secondo, i saltellanti Terzo e Nono, quest’ultimo davvero meraviglioso, e con una certa sorpresa uno splendido Sesto Studio, con sgranate terze che non si sono mai beate di una confusione atmosferica pur senza perdere di suggestione grazie all’accompagnamento perfettamente fraseggiato.
Magnifico, abbastanza sorprendentemente, anche il Settimo, in cui pur senza abbandonare il proprio suono, Lortie è riuscito a creare dei climax espressivi soprattutto grazie alla propria prodigiosa abilità nel costruire (e controllare!) frasi lunghe, dettagliate ma mai spezzate nel fraseggio.
Splendido il suono sugli ultimi tre, nonostante un po’ di confusione nel fraseggio dell’op. 25 n. 10 (forse intenzionale per rendere il tempestoso caos delle ottave, ma non sempre ben controllato), e un suono che nell’op. 25 n. 12 poteva trovare più risonanze e un’ampiezza meno rigida. Ma su questo anche pianoforte e sala hanno avuto il loro bell’incidere.
Al pubblico acclamante, Lortie ha offerto due bis, anch’essi chopiniani: il Notturno op. 27 n. 2, dalla parte centrale di rara affannosità, e, apparentemente instancabile, la Prima Ballata.
Alessandro Tommasi
(28 ottobre 2019)
La locandina
Pianoforte | Louis Lortie |
Programma: | |
Fryderyk Chopin | Dodici Studi op. 10 |
Dodici Studi op. 25 | |
Tre nuovi Studi B. 130 |
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