Venezia: trionfa l’onore e il dissoluto si pente

Il Trionfo dell’onore – quasi un ur-Don Giovanni – è l’unica commedia nel catalogo delle opere di Alessandro Scarlatti e debuttò a Napoli nel 1718 al Teatro dei Fiorentini, specializzato in spettacoli di questo genere. In netta controtendenza rispetto all’usanza consolidata nella scena napoletana dell’epoca, Scarlatti impose l’uso esclusivo della lingua italiana – il libretto di Francesco Antonio Tullio è magnifico – per tutti i personaggi, evitando l’impiego del dialetto anche per le figure di estrazione più umile. Tale scelta si giustifica nell’ambientazione dell’opera, priva di elementi popolari e piuttosto affine a quella della futura commedia veneziana di matrice borghese.
L’opera riscosse un successo straordinario, con ben diciotto repliche, ma cadde successivamente nell’oblio, scomparendo dalle scene fino al Novecento.

La sua riscoperta avvenne nel 1937 a Loughton, in Inghilterra, mentre in Italia fu nuovamente rappresentata solo nel 1940 a Siena e in tempi più recenti, segnatamente nel 2018 al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca (qui la recensione).

A Venezia il Trionfo sbarca in un nuovo allestimento nel quale la giusta miscela di tradizione e regia moderna convince pienamente, al pari di un’esecuzione musicale che, pur non avvalendosi di strumenti storici, è in ogni caso storicamente informata.

Stefano Vizioli, uomo di teatro di raffinatissima cultura musicale, coglie con acume tutte le innovazioni introdotte nel suo lavoro da Scarlatti e le rende – complici le scene tutte quinte e fondali di Ugo Nespolo, autore anche dei costumi realizzati da Carlos Tieppo,  che reinventa un barocco fauvista con gli animali da cortile a richiamare i singoli personaggi, primo tra tutti un Riccardo-pavone – con ammirevole fedeltà storica senza tuttavia mai incappare nella tentazione di un calligrafismo stucchevole.
Tutto è “vero” secondo la verità del teatro, e dunque il meccanismo drammaturgico funziona benissimo sottolineando con intelligenza le differenze sociali e psicologiche delle quattro coppie attraverso una recitazione di grande equilibrio anche quando si tratti delle parti più squisitamente comiche.

Enrico Onofri – e con lui l’Orchestra della Fenice – concerta, assai bene, con metronomi brillanti ma scevri da qualsiasi concitazione, optando per agogiche ben equilibrate, il tutto in un costante dialogo tra buca e palcoscenico.

Di ottimo livello la compagnia di canto, a far principio dal Riccardo Albenori – dissoluto pentito – disegnato da Giulia Bolcato su una linea di canto impeccabile.

Non le è da meno Rosa Bove, capace di conferire al personaggio di Leonora Dorini un’aura di disincantata malinconia attraverso un fraseggio morbidamente introspettivo; così come Francesca Lombardi Mazzulli dà voce e corpo ad una Doralice Rossetti dalla vocalità rigogliosa e disinvolta nella recitazione.

Raffaele Pe si conferma interprete di prim’ordine dando vita ad un Erminio Dorini mosso da giovanili ardori ma anche da delicate introspezioni.

Giuseppina Bridelli e Tommaso Barea incarnano perfettamente la coppia Rosina Caruccia- Capitano Rodimarte Bombarda, ovvero i mezzi caratteri dell’opera, attraverso vocalità nitide e sempre centrate.

Da incorniciare il duo comico portato sulla scena da Luca Cervoni, irresistibile Cornelia Buffacci, e Dave Monaco come divertentissimo Flaminio Castravacca; ça va sans dire che entrambi cantano davvero bene.

Al termine delle tre ore di musica, che per inciso passano in un lampo, successo pieno e meritato per tutti.

Alessandro Cammarano
(7 marzo 2024)

La locandina

Direttore Enrico Onofri
Regia Stefano Vizioli
Scene e costumi Ugo Nespolo
Costumista realizzatore Carlos Tieppo
Light designer Nevio Cavina
Personaggi e interpreti:
Riccardo Albenori Giulia Bolcato
Leonora Dorini Rosa Bove
Erminio Dorini Raffaele Pe
Doralice Rossetti Francesca Lombardi Mazzulli
Flaminio Castravacca Dave Monaco
Cornelia Buffacci Luca Cervoni
Rosina Caruccia Giuseppina Bridelli
Capitano Rodimarte Bombarda Tommaso Barea
Orchestra del Teatro La Fenice

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