Venezia: Un Ballo di forti contrasti con Chung e Meli trionfatori.

Un Ballo in maschera è, secondo Gianmaria Aliverta che spiega il suo punto di vista in un’intervista contenuta nel programma di sala, un “dramma politico e passionale”; secondo noi, invece è vero l’esatto contrario, ovvero il Ballo è un dramma passionale e politico.

Il giovane regista, che si confronta per la prima volta nella sua carriera con un’opera “grande” che per giunta inaugura la stagione di uno dei templi della lirica non ci pare aver colto del tutto nel segno. Lo spostare l’azione dall’originale Diciassettesimo secolo al periodo finale della Guerra di Secessione, coincidente grossomodo anche agli anni di composizione dell’opera, non è cattiva idea, lo si è già fatto; quello che manca è, ad avviso di chi scrive, una certa qual coerenza nel portare avanti la linea drammaturgica prescelta. Il Ballo di Aliverta appare in realtà più sociale che politico, tutto incentrato com’è sui contrasti fra bianchi ricchi e neri poveri all’indomani della fine della schiavitù, estrinsecati in tentate violenze sessuali, omicidi a sfondo razzista compiuti giusto nell’”orrido campo”, vilipendi alla bandiera e croci incendiate da incappucciati del KKK. In questo battesimo del fuoco troviamo una comprensibile ansia da prestazione, una voglia di voler dire molto senza tuttavia riuscire pienamente nell’intento, il tutto accompagnato da qualche ingenuità nel movimento delle masse, che in realtà tendono a rimanere piuttosto ferme, spesso sul boccascena e nella cura dei particolari, come la lettera di denuncia della congiura contro Riccardo che Renato brucia in un caminetto spento.

Per noi, si diceva, il Ballo in maschera è storia di passioni e di fedeltà, la politica è sul fondo. Alcune passaggi sono comunque ben risolti; la scena seconda del primo atto, con l’antro di Ulrica, protettrice di ex schiavi non esattamente amichevoli, nel quale decine di specchi moltiplicano la realtà circostante in una sorta di straniante sovrannaturalità e decisamente ben risolta.

Le scene di Massimo Checchetto, nel complesso efficaci, risultano perfettamente funzionali all’idea registica; bella davvero l’idea degli specchi, meno interessante il capoccione della Statua della Libertà nel quadro conclusivo, preceduto dalla bandierona a stelle strisce davanti al quale Riccardo canta “Ma se m’è forza perderti”. I costumi di Carlos Tieppo sono bellissimi e il disegno di luci di Fabio Barettin è azzeccato.

Myung-Whun Chung, insieme ad un’Orchestra perfetta, è protagonista di una prova sublime attingendo ad una tavolozza di colori che pare infinita, il tutto a dar vita ad un dipinto in musica di struggente poesia ed al contempo di lucida nitidezza. Ogni frase è meditata, non un’agogica appare meno che intensamente pensata e sentita, non una nota va perduta, l’equilibrio buca palcoscenico ha del miracoloso. Capolavoro.

Francesco Meli scrive a lettere d’oro il suo nome fra quello dei grandi interpreti del ruolo. Il suo Riccardo palpita sulle ali di un fraseggio ispiratissimo e di un canto tutto sul fiato. Il colore della voce è quello splendido che conosciamo, ma qui ci pare ancora più bello e rotondo, posto com’è al servizio di un’interpretazione maiuscola.

Non esattamente ideale l’Amelia di Kristin Lewis, schiacciata in acuto, a tratti ingolata e tutt’altro che attenta all’intonazione; si aggiunga un’adesione al personaggio che ci sembra sentita a metà.

Vladimir Stoyanov, baritono grand seigneur, pone il suo canto nobile a disegnare un Renato dolente e dall’ira mal rattenuta ma mai sopra le righe, mentre Silvia Beltrami dà voce e corpo ad un Ulrica magnetica e ben risolta.

Serena Gamberoni è ancora una volta un Oscar perfetto, qui ancor più gamin che in altre occasioni; una delizia per occhi ed orecchie.
Bravo William Corrò, Silvano giustamente baldanzoso e dal bel canto spiegato e bravi Simon Lim, Samuel luciferino e Mattia Denti, Tom insinuante.
Completano con onore il cast Emanuele Giannino, il Primo Giudice e Roberto Menegazzo come servo di Amelia.

Il Coro impeccabile, preparato da Claudio Marino Moretti, si disimpegna con classe e brave risultano pure le voci bianche dirette da Diana D’Alessio.

Applausi per tutti, anche a scena aperta, trionfo meritatissimo per Chung e Meli e un paio di scarpe rosse offerte ad Amelia da una corista e poste al centro del palcoscenico a ricordare al pubblico la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne.

Alessandro Cammarano

(Venezia, 24 novembre 2017)

La locandina

Direttore Myung-Whun Chung
Regia Gianmaria Aliverta
Scene Massimo Checchetto
Costumi Carlos Tieppo
Luci Fabio Barettin
Movimenti coreografici Barbara Pessina
Riccardo Francesco Meli
Amelia Kristin Lewis
Renato Vladimir Stoyanov
Oscar Serena Gamberoni
Silvano William Corrò
Ulrica Silvia Beltrami
Samuel Simon Lim
Tom Mattia Denti
Un giudice Emanuele Giannino
Un servo d’Amelia Roberto Menegazzo
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Coro di voci bianche
Maestro del Coro Diana D’Alessio

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