Verona: al Settembre dell’Accademia i cigni di Järvi
Se il cambiamento non lo guidano i giovani, chi dovrebbe farlo? Il discorso vale per ogni aspetto delle umane attività, ma qui si parla in particolare del superamento delle cosiddette convenzioni nel fare musica, che poi sono speculari alle convenzioni (e alle aspettative) di chi quella musica organizza, promuove e soprattutto ascolta. Nel mondo dei concerti, la necessità di andare oltre, di cambiare qualcosa, è ormai da tempo all’ordine del giorno. Poi bisogna distinguere. Ci sono orchestre di giovani che vengono condotte secondo vetuste consuetudini e forse qualcuno misura il loro successo dal numero di zeri nelle pubbliche contribuzioni che ottengono. E altre che a prescindere dalle questioni finanziarie (ma provengono da Paesi nei quali la cultura e la musica non sono cenerentole come da queste parti, e quindi forse hanno meno preoccupazioni) non cessano di allargare i confini, di sperimentare in molti sensi, di considerare il repertorio un’opportunità e non un obbligo. Di violare alcune convenzioni, non necessariamente tutte, con il sorriso sulle labbra.
A questa categoria appartiene la Baltic Sea Philharmonic, una compagine multinazionale nordica (raccoglie giovani musicisti danesi ed estoni, finlandesi e tedeschi, lettoni, lituani, norvegesi, polacchi, russi e svedesi) alla quale da sette anni il presidente dell’Accademia Filarmonica di Verona, Luigi Tuppini, si affida per portare ogni tanto qualche proposta diversa nel Settembre dell’Accademia, festival che festeggia con questa edizione il suo trentennale. L’Orchestra del Mar Baltico ha tenuto sabato sera il suo terzo concerto al Filarmonico nel giro di sette anni, sempre diretta dal suo estroso e assai creativo fondatore, il quasi cinquantenne direttore estone-americano Kristjan Järvi.
Se nelle precedenti occasioni questa formazione giovanile si era fatta notare per scelte di repertorio singolari quanto inedite (ma non si può scordare il tradizionalissimo Concerto per pianoforte di Grieg, affidato per la parte solistica alla stella nascente – si era nel 2014 – di un diciannovenne Jan Lisiecki), questa volta si è presentata con un vero e proprio progetto allo stesso tempo culturalmente sofisticato e molto “comunicativo”.
Sotto il titolo Nordic Swans, ovvero Cigni Nordici, il programma riuniva una pagina di Arvo Pärt che era sicuramente una prima veronese, lo Swan Song composto nel 2013; quindi Il cigno di Tuonela di Jean Sibelius (brano che fa parte della suite Lemminkäinen, composto nel 1893) e una vasta, forse un po’ troppo vasta rivisitazione in “dramatic-symphony” del Lago dei cigni di Cajkovskij, un arrangiamento a volte piuttosto libero realizzato dallo stesso Järvi. In effetti, si trattava proprio di un itinerario musicale in certa nordica “mitologia del cigno”, peraltro rivisitata in queste pagine in maniere assai diverse: consolatrice nelle atmosfere sospese di Pärt, inquietante nel clima della mitologia finnica ripresa da Sibelius, secondo la quale il canto del cigno è anticamera della morte; magica e con lieto fine dopo innumerevoli traversie nel celeberrimo Balletto di Cajkovskij.
Il tutto è stato reso dai giovani della Baltic Sea con l’atteggiamento di chi realizza un happening musicale. L’orchestra ha una formazione piuttosto anomala, con pochi archi (quattro violini primi e secondi, altrettante viole, tre violoncelli), fiati schierati per due secondo tradizione e ottoni (corni e trombe) per quattro. Suonano tutti in piedi (tranne chi proprio ha bisogno di una sedia) e a memoria. Il che la dice lunga sul valore formativo di questo progetto. Suonano contravvenendo alla prassi storica delle esecuzioni orchestrali: divertendosi, muovendosi, lasciando via libera al linguaggio dei corpi, fra sguardi eloquenti e sorrisi, scambiandosi senza tanti problemi i posti. Usano l’amplificazione del suono, e certo questa è la più grossa violazione della convenzione nell’ascolto della musica cosiddetta classica realizzata da questa serata-happening: un’orchestra amplificata al Filarmonico non l’avevamo mai sentita, anche se varie volte è capitato di interrogarsi sulla problematica acustica della storica sala veronese.
Soprattutto, suonano bene per la qualità dei singoli e per la capacità di tutti di stare insieme con equilibrio e duttile prontezza al gesto attoriale di Järvi, uno che recita più che dirigere. E al quale non è difficile perdonare, in questo contesto, la disinvoltura con cui “personalizza” le meravigliose invenzioni di Cajkovskij e le riformula ad uso di un “sound” (permetteteci il termine) che non ne tradisce la comunicativa aggiungendo una strizzata d’occhio al gusto e allo stile di un’attualità comunque sorvegliata. Che parte dalla conoscenza e non è iconoclasta per il solo gusto di esserlo. Anzi, non lo è davvero in nessun caso.
Se all’inizio il pubblico distanziato del Filarmonico poteva sembrare un po’ sulle sue, alla fine si era sicuramente sciolto. Dopo un bis ancora nel nome di Sibelius, Järvi lo ha coinvolto nel supporto ritmico a un suo coloratissimo e non poco sofisticato brano, dirigendo anche i battimani. Alla fine, il “concert experience”, come si legge di questa serata sul sito Internet della Baltic Sea Philharmonic, ha mantenuto quel che l’espressione prometteva: un’esperienza musicale oltre le etichette.
Cesare Galla
(4 settembre 2021)
La locandina
Direttore | Kristjan Järvi |
Baltic Sea Philharmonic | |
Programma: | |
Arvo Pärt | |
Swan song | |
Jean Sibelius | |
Il cigno di Tuonela | |
Pëtr Il’ič Čajkovskij | |
Il lago dei cigni (suite da concerto elaborata da Kristjan Järvi) |
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