Verona: Bruckner e Schönberg, passato e futuro messi a confronto da Esa Pekka Salonen
Una manciata di anni separa la Settima Sinfonia di Anton Bruckner, che vide la sua creazione nel 1884 a Lipsia, dalla schönberghiana Verklärte Nacht, eseguita nella sua prima versione per sestetto d’archi a Vienna nel 1902; eppure la distanza fra le due composizioni appare siderale, nonostante l’influenza di Wagner sia ancora marcata in entrambe. Due facce della Vienna polimorfa e vitalissima di fine Ottocento, ove gli epigoni del tardoromanticismo convivono con le avanguardie nascenti.
La sinfonia di Bruckner è tanto ridondante di materiale sonoro, quanto il poema sinfonico di Schönberg rifulge di cristallina essenzialità sia nella forma che nell’elaborazione.
Eduard Hanslick, animato dal suo odio verso tutto ciò che avesse un sapore ancorché vago di wagnerismo, fu spietato nel recensire l’impaginato bruckneriano all’indomani della prima, arrivando a definire così questa Settima: «Ammetto senza giri di parole di non essere in grado di giudicare con equilibrio questa Sinfonia di Bruckner, tanto mi sembra innaturale, rigonfia, malaticcia e putrescente. Come tutte le composizioni maggiori di Bruckner, anche la Sinfonia in mi maggiore contiene intuizioni geniali, passi interessanti, persino belli – qui sei, là otto battute – tra questi lampi però si spalanca un buio impenetrabile, una noia pesante come piombo e un’eccitazione febbrile». Scremando l’astio del critico tedesco qualcosa di vero nelle sue parole c’è; il sinfonismo di Bruckner soffre di ipertrofismo e troppo spesso in ansia per voler dire qualcosa in più di quel che già sta dicendo, come se un senso di insicurezza lo pervadesse fino a diventare dominante nella stesura del pezzo. Emblematico il terzo movimento, dove lo Scherzo sembra moltiplicarsi in un susseguirsi infinito di Trii arrivando quasi a non trovare definizione compiuta.
Verklärte Nacht, di contro, pur nelle sue eco wagneriane e un certo legame con la tradizione, mostra perfettamente i binari sui quali corre, e soprattutto correrà, l’idea estetica di Schönberg, ispirata ad una lucida politezza della forma unita ad una costante invenzione armonica e contrappuntistica. Certo, la versione per orchestra d’archi, del 1917, guadagna in ricchezza di suono ma perde parecchio del nitore dell’originale.
Esa Pekka Salonen, alla testa della sua smagliante Philharmonia Orchestra, propone le due pagine in un programma che si potrebbe definire in certo qual modo didattico, ponendole a confronto tra di loro, senza schierarsi apertamente per una o per l’altra e lasciando al pubblico assoluta libertà di scelta.
Nella versione 1917 di Verklärte Nacht gli archi britannici risultano sontuosi, guidati da Salonen in una narrazione che si dipana in un flusso continuo ed affascinante, ricco nella ricerca dinamica e capace di rinnovarsi in ritmi stranianti. Certo, con sessanta archi invece dei sei primigeni, i pianissimo e tutte le note a corda vuota risultano meno definiti. L’esecuzione è comunque di straordinaria bellezza.
Della Settima, con la Philharmonia al gran completo, Salonen offre una lettura tesa, poco incline ad indulgere al “bello per il bello” inteso come suono gratificante per l’orecchio, concentrandosi al contrario sull’essenza stessa della nota che diviene frase. I tempi, fin dall’Allegro Moderato del primo movimento, sono lucidamente tesi e improntati ad una stringente urgenza narrativa. Non prive d’ironia le scelte dinamiche operate dal direttore finlandese nello Scherzo infinito.
Pubblico concentrato, successo pieno e meritatissimo.
Alessandro Cammarano
(22 settembre 2018)
La locandina
Esa Pekka Salonen | Direttore |
Philhamonia Orchestra London | |
Programma | |
Arnold Schönberg | Verklärte Nacht (versione per orchetra d’archi) |
Anton Bruckner | Sinfonia n. 7 in mi bemolle maggiore |
Condividi questo articolo