Verona: Cappella Dresda e Alan Gilbert, simbiosi in nome del suono
Dopo un po’ che scrosciano gli applausi alla fine dell’esecuzione della Prima Sinfonia di Mahler, Alan Gilbert si concede un colpo di teatro. Richiamato sul podio per l’ennesima volta, si gira fulmineamente e spegne di colpo il fragore in sala con il fremente attacco del Preludio al terzo atto di Lohengrin, vetrina del fulgore degli ottoni esattamente come lo era, pochi minuti prima, il movimento conclusivo del mahleriano Titano.
Per quanto ovvio, il richiamo storico disegnato dalla scelta del bis non è meno peculiare ed emozionante. Sul palcoscenico del Teatro Filarmonico è infatti schierata la Staatskapelle Dresden, l’antica e gloriosa orchestra sassone che ebbe fra i suoi direttori anche Richard Wagner e che rimane oggi una delle istituzioni musicali tedesche nelle quali con maggiore evidenza si fondono tradizione, cultura e spirito della grande musica non solo della Germania, ma dell’Europa.
Il concerto inaugurale del Settembre dell’Accademia Filarmonica offriva un doppio “debutto” di prestigio, per Verona: mai prima la Cappella di Dresda era stata protagonista nella storia pluridecennale di questo festival, frequentato da tutte le più importanti formazioni internazionali; mai prima sul podio del Filarmonico era salito Alan Gilbert, il direttore che ha guidato per quasi un decennio e con risultati unanimemente considerati eccellenti, la Filarmonica di New York. E che si appresta ora a vivere un importante capitolo tedesco della sua carriera, visto che è stato chiamato alla testa della Elbphilharmonie di Amburgo, che ha sede nel nuovissimo e straordinario auditorium della seconda città di Germania.
Una primizia era data anche dalla presenza della giovane violinista georgiana Lisa Batiashvili, protagonista nella prima parte della serata del secondo Concerto di Prokof’ev. È questa una pagina di singolari trasparenze strumentali (l’organico orchestrale richiesto non è particolarmente ampio) nella quale il violino solista s’incarica di disegnare una trama espressiva delicata e densa di suggestioni melodiche, nondimeno legata a un peculiare virtuosismo del suono e dell’espressione. Caratteristiche queste che Batiashvili, con il suo splendido Guarnieri del Gesù, ha delineato con sottile eleganza e grande precisione, muovendosi con bella musicalità fra le suggestioni in certo modo neoclassiche di questa partitura scritta nel 1935 e lontana dalla vibrante energia del primo Prokof’ev. Il tutto non mancando di sottolineare con efficacia le allusioni del compositore al patrimonio popolare della musica russa nel primo e nel secondo movimento. Salutata da cordialissimi consensi, Batiashvili ha ringraziato proponendo come bis un’altra pagina dell’evidentemente prediletto Prokof’ev, l’adattamento per violino e orchestra di un noto e drammatico passaggio da Romeo e Giulietta.
La seconda parte della serata era dedicata a uno dei caposaldi del repertorio come la Prima di Mahler, capolavoro del sinfonismo di fine Ottocento. Lo stesso compositore la volle sottotitolata Titano non come omaggio a una generica sensibilità drammatica tardo romantica, ma in riferimento all’omonimo romanzo dello scrittore Jean Paul. Descrittiva o meno che si voglia considerarla, questa musica ha una straordinaria forza evocativa, dalle suggestioni naturalistiche quasi destrutturate del primo movimento al rigoglio sonoro un po’ retorico ma certamente coinvolgente del Finale, senza contare la ruvida evocazione delle danze popolari nel secondo movimento e soprattutto la grottesca parodia di una popolare canzoncina nel terzo movimento, che diventa pittura psicologica grottesca, affidata a una varietà timbrica spesso quasi teatrale, comunque di straordinaria modernità.
Pane per i denti della Cappella di Dresda. E se ne è avuto prova fin dalle primissime battute, quando il sottilissimo sfondo degli archi acutissimi è parso inciso al laser sotto le volute dei fiati. Per non dire del virtuosismo del primo contrabbasso, cui spetta la deforme (perché in tessitura sovracuta) enunciazione iniziale della canzone di “Fra Martino” (terzo movimento), dopo la cupa introduzione funebre dei timpani. Ma in generale, gli archi bassi, come pure le viole, sono sembrati capaci di una resa timbrica di eloquenza che non ammette repliche: compatta eppure duttile, di multiforme efficacia espressiva.
Se si aggiunge che Alan Gilbert ha offerto una prova davvero rilevante di interazione fra tecnica e profondità musicale, si avrà il quadro di un’interpretazione di livello superiore. Gilbert ha dimostrato un controllo assoluto sulla pur rodata ed equilibratissima compagine sassone. Con gesto limpido, mai sopra le righe ma straordinariamente efficace, ha condotto l’esecuzione fin dal primo momento nei territori di un sovrano equilibrio fra le sezioni, disegnando una gamma di colori e di dinamiche di affascinante eloquenza, lontanissima da certa maniera tardoromantica, capace invece di illuminare di luce radente le già affioranti inquietudini mahleriane, il suo gusto dissacrante per la contaminazione mai prima così “eversiva” fra il dotto e il popolare. Lettura lucida, mai ridondante, fervida di dettagli rivelatori all’interno di un fraseggio che proprio per questo non appare mai di maniera.
Della conclusione wagneriana s’è detto. Peccato solo che Gilbert e la Cappella Dresda non abbiano concesso altra musica.
Cesare Galla
(6 settembre 2018)
La locandina
Staatskapelle Dresden | |
Direttore | Alan Gilbert |
Violino | Lisa Batiashvili |
Sergej Sergeevič Prokof’ev | Concerto per violino e orchestra n. 2 in sol minore Op. 63 |
Gustav Mahler | Sinfonia n. 1 in re maggiore “Titano” |
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