Concerto Camerata Salzburg al Filarmonico di Verona

Si potrebbe sostenere, con buone ragioni, che a un’orchestra non basta avere nell’insegna la parola “Salisburgo” per essere considerata titolare del “verbo musicale” del genio nato nella città austriaca 261 anni fa. E che neanche l’effettiva cittadinanza artistica – intesa come culla e sede operativa –  di una formazione strumentale nell’antico borgo sulla rive del fiume Salzach è sufficiente per garantire agli ascoltatori un Mozart da ricordare. Perché le targhe in queste cose non servono e si possono avere straordinarie esperienze d’ascolto di questo musicista anche in lande lontanissime da quelle in cui nacque e visse, e per mano di interpreti ugualmente lontani. Geograficamente, beninteso, non idealmente. Eppure è innegabile che il nome “Camerata Salzburg” eserciti un’attrattiva particolare. Si entra a teatro – il Filarmonico di Verona, per la conclusione dell’annuale festival settembrino organizzato dall’Accademia Filarmonica – con la ragionevole convinzione che si ascolterà un Mozart a denominazione d’origine controllata. E l’idea non cambia quando i suonatori prendono posto sul palco (tutti in piedi, secondo lo stile barocco) anche se ci si accorge dalle loro sembianze che sono, come è giusto e doveroso che sia, cittadini del mondo. Perché Mozart è universale, ma forse studiarlo e interpretarlo a Salisburgo (per poi portarlo anche in giro per il mondo, evidentemente), dà qualcosa di più. Il senso di una tradizione che non è poi neanche tanto antica – si parla di un’orchestra nata nel 1952 – ma che ha nel suo patrimonio genetico il pensiero e il magistero di alcuni dei più rispettati e storici “profeti” mozartiani del Novecento, da Bernhard Paumgartner – il fondatore – a Sandor Végh. Per tacere di Geza Anda, Clara Haskil, Alfred Brendel. E di tanti altri grandi direttori e solisti, anche di tempi più recenti.

A Verona, la Camerata Salzburg (a rigore, “Camerata Academica del Mozarteum di Salisburgo”) si è presentata senza direttore, ma con un “konzertmeister” di assoluta qualità nel primo violino di spalla Natalie Chee, che del resto prima di passare alla Radio Symphony Orchestra di Stoccarda è stata una colonna della Camerata per quasi un decennio. A differenza di altre serate veronesi (compreso un precedente al Settembre dell’Accademia, risalente a 13 anni fa), che avevano dato spazio anche ad altri protagonisti del Classicismo viennese, questa volta il programma era esclusivamente mozartiano e per palati fini, visto che non ne facevano parte i capolavori più popolari. Si trattava di un viaggio da Salisburgo a Vienna e ritorno: in apertura e in chiusura due Sinfonie destinate all’esecuzione nella corte dell’arcivescovo, composte quando il loro autore aveva 17-18 anni, nel periodo 1773- 1774 (K. 200 e K. 201); al centro, due Concerti per pianoforte  fra i primi ad essere scritti per il pubblico della capitale dopo che Mozart vi si era definitivamente trasferito: K. 414 (fine 1782) e K. 449 (inizio 1784).

Alla tastiera si è seduto il non ancora quarantenne pianista sudafricano Kristian Bezuidenhout. Tastiera “moderna”, beninteso, ma approccio mediato dalla consapevolezza dello stile e del suono degli strumenti dell’epoca mozartiana, i fortepiani. Peraltro in dialogo con un’orchestra che non fa uso di strumenti antichi e quanto alla “prassi esecutiva” punta soprattutto su una forte accentuazione dei contrasti dinamici, giustapposti in chiave espressiva. Bezuidenhout è parso efficace sul piano del tocco, dell’agilità digitale, della precisione di fraseggio, ma non altrettanto per quanto riguarda il colore. Forse inseguendo troppo rigorosamente un suono da fortepiano, ha finito per limitarsi a una medietà espressiva senza guizzi e senza brillantezza. Un Mozart di maniera, preciso e riflessivo, ma anche vagamente esangue, che non poteva essere riscattato più di tanto dalla pur impegnata Camerata, che ha invece suono di notevole duttilità espressiva.

Queste qualità sono emerse in parte nell’iniziale Sinfonia K. 200, non senza un’idea – probabilmente anche corretta – di vicinanza con l’esperienza tardo-barocca e in “stile galante”, e in pieno nella conclusiva Sinfonia K. 201. Questa pagina estroversa e anticipatrice delle future grandezze è stata cesellata al bulino di una sapienza strumentale che ha avuto un unico inopinato cedimento nei corni proprio alla fine (anche i “salisburghesi” sbagliano…) ma per il resto numerosi momenti di raffinatezza nelle arcate, nel gioco fra “staccati” e “legati”, nella brillantezza degli oboi, in uno spirito complessivo di trascinante eleganza.

Pubblico numerosissimo, accoglienze di estrema cordialità e bis per intenditori mozartiani, con il delicato e tenero Andante dalla Cassazione K. 63, musica di società nata quando il ragazzo prodigio di Salisburgo si affacciava all’adolescenza.

Cesare Galla

La locandina

Camerata Salzburg
Pianoforte Kristian Bezuidenhout
Wolfgang Amadeus Mozart
Sinfonia n. 28 in do maggiore K. 200 (189k)
Concerto per pianoforte e orchestra n. 12 in la maggiore K414 (385p)
Concerto per pianoforte e orchestra n. 14 in mi bemolle maggiore K449
Sinfonia n. 29 in la maggiore K201 (186a)

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