Verona: il Mahler “analitico” di Jurowski
Gustav Mahler, com’è noto, si definì una volta “il grande inattuale”. Certo, la definizione era in rapporto con quella da lui affibbiata al suo buon conoscente/concorrente Richard Strauss, “il grande attuale”, ma è sempre più chiaro, oggi, quanto generiche fossero queste etichette. Perché un conto era utilizzare questi termini paludati per definire una cosa che paludata non è mai, cioè il successo – e c’era molto di questo nelle “formule” mahleriane. Ma un conto è fare i conti con la storia, avendo la sufficiente “giusta distanza” dall’epoca e dalle composizioni. Da questo punto di vista, è evidente che il “grande attuale” era proprio Mahler, nella cui musica la crisi del suo tempo – estetica, musicale, di senso dell’umano – si rispecchia con una immediata evidenza drammatica e in non pochi casi anche traumatica.
Dopodiché, constatare che Mahler è stato un “figlio del suo tempo”, capace di raccontarcelo – nelle sue Sinfonie – con un’evidenza conturbante e disturbante, non toglie che una vera affermazione della sua arte resti questione aperta e problematica, per quanto oggi potenzialmente di lancinante attualità, a dimostrazione di una sostanziale universalità. E basti pensare a come, proprio quest’estate al festival di Aix-en-Provence, il regista Romeo Castellucci abbia solo apparentemente rovesciato il senso della Seconda Sinfonia, detta della “Resurrezione”, per proporne una drammaturgia completamente immersa nel senso della morte (lo si può vedere qui), raffigurata nella sua immagine più disturbante, quelle di una fossa comune.
Oggi come un secolo fa, insomma, Mahler è “difficile”. E questo può spiegare la cautela con la quale la sua musica si affaccia al repertorio. Sempre profondamente rispettata, talvolta ammirata, ma tranne poche commendevoli iniziative (rare in Italia) anche scelta in dosi poco più che omeopatiche. Un festival di alto lignaggio come il Settembre dell’Accademia Filarmonica di Verona, ad esempio, che raduna nella città dell’Arena il fior fiore delle orchestre di tutto il mondo, ha in Mahler una presenza costante eppure, come suol dirsi, molto selezionata. Una Sinfonia di Mahler, non di Beethoven, non di Brahms, è quella in assoluto più eseguita al Filarmonico da trent’anni a questa parte: la Prima. Il resto del corpus sinfonico, però, è quasi completamente assente. Figurano in sparse e rare esecuzioni solo la Quarta e la Quinta, tutto il resto non è mai stato affrontato.
La Quinta era mercoledì sera nel programma del concerto inaugurale dell’edizione 2022 del festival, affidato alla Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin diretta da Vladimir Jurowski. Si trattava della sua terza esecuzione veronese: in precedenza, 12 anni fa l’aveva diretta Daniele Gatti alla testa dell’Orchestra National de France e nel 2003 Georges Prêtre con l’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai.
Jurowski ha scelto un approccio analitico di evidente sensibilità a questa partitura ribollente, sofferta (e a lungo modificata dal suo autore), espressivamente multiforme. Non ha cercato un’omogeneità che solo a tratti emerge dalla scrittura, realizzando un’interpretazione accattivante nella sua cifra per così dire “diseguale”, fatta di dinamiche sorvegliatissime e dalle sfumature virtuosistiche, di evidenza nei colori, ora nitidi e quasi lancinanti ora sofferti e introspettivi. Il tutto con un fraseggio pronto alla metamorfosi continua dell’espressione, perché così accade non solo da una parte all’altra di questa Sinfonia, ma anche all’interno di ciascun movimento. L’attenzione del cinquantenne direttore moscovita, che guida stabilmente la formazione berlinese da cinque anni e lo farà per altri cinque, ha riguardato anche particolari apparentemente non decisivi. Come l’ampia pausa prescritta da Mahler nel passaggio dall’una all’altra delle tre parti in cui la composizione è suddivisa. Una prescrizione “interpretata” in maniera certo originale: ogni sosta ha visto infatti Jurowski sedersi in concentrazione all’angolo del podio.
Dal punto di vista strumentale, l’orchestra della Radio berlinese ha espresso il meglio nella sezione degli archi, apparsa compatta, duttile, estremamente espressiva e pronta alle sfumature dettate dal gesto del direttore. Così, la parte più conosciuta della Quinta Sinfonia, l’Adagietto (grazie a Visconti che lo scelse per Morte a Venezia), è stata proposta con una sorta di poetica sofferenza davvero coinvolgente. Concentrata e ben disposta la sezione dei fiati, con colori molto mahleriani in clarinetti e fagotti. Quanto agli ottoni, le trombe sono andate migliorando nel corso dell’esecuzione ma le importanti parti solistiche del primo movimento (a partire dalla celebre fanfara che apre la composizione) hanno patito qualche incertezza, mentre impeccabili sono apparsi sia i corni che i tromboni.
La Quinta di Mahler è stato il punto di arrivo di una serata corposa, di sommi autori. L’apertura è stata per il Preludio dal Tristano di Richard Wagner, risolto rifuggendo da ogni accentuazione retorica, evidenziando nel suono e nell’armonia il senso di questa pagina rivelatoria. E poi è stato proposto anche il primo Concerto per violino e orchestra di Béla Bartók, pagina che condivide con la Quinta mahleriana (della quale è quasi contemporanea: primi anni del Novecento) l’incessante ricerca di nuovi orizzonti espressivi, in una dialettica che vede lo strumento solista dialogare con l’orchestra, in un incessante intercalare di suggestioni etniche e memorie classiche. Esemplare e applauditissima solista è stata la giovane norvegese Vilde Frang, capace di cesellare una vasta gamma di colori con eleganza rarefatta, vivacità ritmica, arcata sempre eloquente in chiave intimistica e pensosa.
Teatro pressoché al completo. Alla fine vivi consensi per Jurowski e per l’orchestra. Giustamente, il direttore non si è lasciato indurre a un bis: dopo la Quinta di Mahler, non è il caso.
Cesare Galla
(7 settembre 2022)
La locandina
Direttore | Vladimir Jurowski |
Violino | Vilde Frang |
Rundfunk Sinfonieorchester Berlin | |
Programma: | |
Béla Bartók | |
Concerto per violino No.1 | |
Gustav Mahler | |
Sinfonia N. 5 in Do diesis minore |
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